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LA PUNTA DELLA LINGUA 2006 – Poesia Festival
Ancona e Falconara
La punta della lingua 2006 – Poesia Festival nasce da un ciclo di laboratori di poesia, organizzati negli ultimi due anni ad Ancona dall’Associazione Culturale NIE WIEM in collaborazione con il poeta Luigi Socci.
Incoraggiati dal successo dell’edizione 2005, NIE WIEM ha deciso di sviluppare l’esperienza, organizzando il primo Festival di poesia del capoluogo marchigiano, che si svolgerà lunedì 28 agosto, giovedì 7 e sabato 9 settembre 2006, ad Ancona e Falconara.
Considerando la poesia in senso non museale o ancor peggio sacrale, ma, al contrario, una funzione comunicativa e vitale della lingua, “La punta della lingua 2006 – Poesia Festival” abbina forme di lettura tradizionali e forme più sperimentali, occasioni di approfondimento e eventi ludici come il Poetry Slam.
di Christian Raimo
Ho sempre odiato qualsiasi forma di nostalgia paternalista… ah, la letteratura di trent’anni fa, la scuola di quando eravamo giovani, la passione politica degli anni ’70. Avendo vissuto la mia infanzia e giovinezza – e con estrema lucidità – in decenni di aridità sentimentale e ideale come gli anni ’80 e ’90, ho sempre comunque diffidato di chi cercava di liquidare con snobismo le derive post-ideologiche o quello che nonno Pasolini bollava come genocidio culturale. Sono cresciuto guardando tra sei e otto ore al giorno di televisione, e questo ho voluto/dovuto affermarlo come valore, non potendo a un certo punto della mia vita fare un’epurazione del mio immaginario, o una cura Ludovico per cambiare le mie abitudini di perfetto consumatore culturale. Dico questo come attestato di mediocrità appunto; autoammissione che per me è il presupposto però di qualsiasi discorso critico.
Mio amato
Con la pace ho depositato i fiori dell’amore
davanti a te
Con la pace
con la pace ho cancellato i mari di sangue
per te
Lascia la rabbia
Lascia il dolore
Lascia le armi
Lascia le armi e vieni
Vieni e viviamo o mio amato
e la nostra coperta sarà la pace
1.
stella polare
a mia sorella Adriana
l’infanzia le farfalle mi uccisero gli occhi
forse come le pezze che piangono nel mezzo
perdendo l’accogliente ciclone
perché anche la poltiglia è semplice
la donna perfettamente tesa come per polvere
di un ragno spaventato dalla bocca
la fronte si è abbassata
fino all’assalto delle tenaglie
sono venuto qua
dico vado e vado a colpire quei pali
e nulla il tempo
di Linnio Accorroni
Appresa la notizia giorni fa ( la scomparsa di Uri, figlio ventunenne dello scrittore israeliano David Grossman, uno degli ultimi a morire fra i 117 soldati israeliani, vittime di questa guerra ancora più sporca ed assurda delle altre) ho sperato che, almeno per questa volta, ci fosse risparmiata l’infausta rappresentazione che viene approntata in occasioni di questo genere: la ridda di interviste, ricordi, memorie personali e private che, insopportabile corollario, sempre consegue ad eventi similari, la sfilata di immagini dal book fotografico di famiglia accompagnato da una stomachevole, iperdolciastra colonna sonora.
di giuliomozzi
Nel supplemento del venerdì del quotidiano “La Repubblica” distribuito il 18 agosto c’è, alle pagine 86-89, un articolo di Emanuele Coen intitolato: «Nuovi talenti? Gli editori li pescano con la Rete». Nelle due pagine d’apertura, foto belle grandi di Roberto Saviano e di Valeria di Napoli alias Pulsatilla, e un po’ più piccole di Andrea Bajani e di Marco Rovelli; nella pagina a seguire, una foto di Julie Powers (blogger newyorchese che ha pubblicato un libro di un certo successo) e un banner – praticamente una piccola inserzione pubblicitaria – del blog di Beppe Grillo.
Attenzione: questo non è il solito articolo nel quale si dice che i giornalisti della carta stampata non capiscono niente della rete. No. Qui riassumo un po’ l’articolo, poi cerco di esporre una questione, e di passaggio faccio notare un furto. Il pezzo è un po’ tirato via, sto scrivendo in un internet point con una tastiera impossibile.
di Francesco Forlani

L’Origine du Monde, de Courbet
Quando Silvie mi dice che siamo arrivati, che quello è il punto esatto in cui abbandonare i vestiti e stendere gli asciugamani, davanti a noi c’è il mare. Azzurro con qualche vaga onda che scuote una superficie altrimenti piatta e immobile.
Siamo distesi uno accanto all’altro e se è vero che ci conosciamo da molti anni è la prima volta che ci vediamo come natura crea – che a fare il resto ci pensa il tempo.
di Christian Raimo
Oggi ha scritto una lettera, o meglio, ha cominciato a scrivere una lettera piena di frenesia mal dissimulata al cardinal Martini, con una grafia che stentava a riconoscere come sua (come si scrive a un cardinale? si mette il nome per esteso? è ancora cardinale? si resta cardinali a vita? forse dovrebbe chiedere ai suoi). Cerca di essere naturale è una bella contraddizione in termini, aveva considerato. Una volta si erano incontrati a Malpensa, all’aeroporto: una coincidenza che fu difficile non scambiare per un segno. Lei l’aveva riconosciuto come fosse un divo del mondo cattolico, non era vestito con la tonaca rossa come voleva l’immagine che aveva in mente, ma con una camicia con il colletto; le aveva accarezzato la testa con un gesto che a lei non era parso affatto scontato.
terza puntata dell’inerzia, sull’inerzia, nell’inerzia, dialogo tra Maria Luisa Venuta e il sottoscritto, con qualche commento indiano:
Caro Antonio, come procedere in quest’afa che porta dall’inerzia al desiderio dell’immobilità totale? Getti il sasso nello stagno dei pensieri estivi: stabilità e moto rettilineo uniforme: Che cosa è stabile nel moto rettilineo uniforme? Il permanere del movimento del corpo in assenza di altri agenti contrastanti?
Mag e Tashtego colgono la tendenza che hanno i corpi a rimanere o tornare nella posizione di quiete. È vero, i bambini sono fantastici per questo tipo di osservazioni, non si stancano di ripetere esperimenti cercando di capire come funziona l’universo che li circonda. Osserviamo un bambino che in riva al mare gioca con i sassi, li raccoglie lanciandoli in aria e vedendo che cosa accade dopo il lancio. Alcuni cadono vicino, allora il bimbo aumenta la forza impressa e l’arco che fa il sasso diventa più ampio, così come il tempo di caduta. Ad un certo punto con la stessa forza, cerca di mandare il sasso in alto verso il cielo, ma l’oggetto ricade a pochi metri da lui, se non sulla sua testa, in modo quasi imprevedibile, perché ci ha impiegato meno tempo a ritornare in una posizione di quiete Ma allora la spinta inerziale ha una direzione? E che cosa intende per spinta inerziale? È stabile e uniforme?
Cara Maria Luisa, proprio ora che il caldo ci rallegra tutti, è arrivato un punto cruciale di questa faccenda dell’inerzia; che cosa è mai che fa andare avanti i corpi, dopo che “più niente” li spinge.
di Elio Paoloni
Le banane mi sono sempre piaciute. Fui contento di apprendere, dalla relazione del prof. Gerard Porte a un convegno internazionale promosso dal CONI, che i ciclisti russi continuavano a vincere con il tascapane zeppo di banane, smentendo i sussiegosi medici delle federazioni occidentali che le avevano frettolosamente ripudiate adducendo la scarsa digeribilità di cellulosa, proteine e grassi. Ma ora si sta esagerando.
di Andrea Raos
Getto via tempo se per me mi fingo
una mano che consoli.
Mai unguento consolerà il mio corpo.
Guardo il mondo e
le sue vaghe ipocrisie su
del vivere essenziali fondamenti,
guardo la pioggia sul lago imprevista
da un angolo di caldo e di condensa,
chissà quand’è che arriverà il mio lampo.
di Sergio Garufi
Sul rapporto fra autori e lettori J. M. Coetzee ha riflettuto a lungo, soprattutto nel libro intitolato Elizabeth Costello. La protagonista è un’anziana e celebre scrittrice australiana, una sorta di alter ego del narratore sudafricano, che gira il mondo per tenere conferenze e ricevere premi; e due delle sei lezioni in cui è diviso il testo trattano appunto la questione della relazione ancìpite che s’instaura fra uno scrittore famoso e il suo pubblico.
di giuliomozzi
[a parte il titolo, credo che questo pezzo non c’entri niente con quello che ha pubblicato Gianni Biondillo qualche giorno fa. gm]
Io sono un uomo orientato. Se mi fermate in centro a Milano, di notte, con la pioggia, dopo una serata magari allegra, e mi domandate all’improvviso: “Dov’è il Sud?”, io di scatto alzo un braccio e dico: “Di là”. Fate un segno per terra, prendete nota, fotografatemi, fate come vi pare, e tornate sul posto la mattina dopo. Controllate, e vedrete che davvero il Sud sta lì, dove dico io.

immagine di Marco Giovenale
Il catalogo delle cose inutili
Nell’armadietto della casa di nonno c’è il “pisasale”, e dentro ci abita un ragno vecchio, che quasi non si muove più. C’è la foto fatta in Abissinia, prima che gli cadessero i capelli; è infilata nel vetro di un esile armadio, dove ci sono ancora le caramelle – vecchie di dieci anni – che la buonanima di mia nonna regalava ai nipoti. In cucina c’è una vecchia copia della “Gazzetta del Mezzogiorno”, con i caratteri più grandi, e la foto di Licio Gelli in prima pagina. La casa di mio nonno è abbandonata così come fu abbandonato Laino Borgo, in provincia di Cosenza, all’indomani del terremoto del 1980. E’ un paese spettrale, rimasto fermo a quel giorno.
1
Se vi chiedessi di farmi il nome di cinque registi, o di cinque scrittori o musicisti italiani viventi, so che non avreste particolari problemi a risolvere la richiesta. Se, viceversa, i cinque nomi fossero di altrettanti architetti italiani viventi, sono convito che anche una persona di buona cultura avrebbe difficoltà a rispondermi con immediatezza.
Il Papa se ne frega di Zapatero e attacca il capitalismo
di Roberto Santoro
Il pensiero tende a relativizzare il male, a ridurlo a mera apparenza e, ciò fatto, procede tranquillo per la sua strada, credendo di averlo eliminato dal mondo, dal mondo, cioè, del vero essere. La coscienza religiosa invece esige un reale superamento del male; essa parte dal profondo convincimento del reale potere del male, e non può quindi pacificarsi con l’ammissione che il male – riconosciuto come realtà – sia eliminato attraverso artifici dialettici, sia pure assai acuti.
Gershom Scholem
Al V Incontro Internazionale della Famiglia di Valencia non c’è stato il temuto pronunciamento di Benedetto XVI contro Zapatero.
Il Papa non è andato oltre il Catechismo della Chiesa Cattolica, l’abc della famiglia, luogo di “libertà” e “responsabilità”, “scuola di umanesimo”. Vedremo che questa posizione, conservatrice, nel peggiore dei casi retriva e inattuale, in realtà è stata una mossa difensiva, un freno alla dissoluzione dei sentimenti umani che il capitalismo leggero sta riducendo a cianfrusaglia emotiva, semplice indifferenza emozionale.
Se vuoi, puoi usare i commenti qui sotto come spazio per segnalazioni e discussioni a tema libero durante il mese.
di Sergio Garufi
Com’è noto, solo una piccola parte dei dipinti del Rinascimento ci è giunta firmata dai loro artisti. A volte questo succede perché furono smembrati delle loro cornici, sulle quali gli ebanisti avevano inciso il nome dell’autore, ma in molti altri casi questo càpita perché firmare non era ancora un’usanza diffusa. Quando siglavano le proprie opere, quasi tutti i pittori si attenevano a regole precise, codificate nel tempo. Tranne il caso eclatante, citato come unicum da tutti i manuali di storia dell’arte, della cappella Baglioni a Spello affrescata dal Pinturicchio, in cui l’artista introduce orgogliosamente nella rappresentazione un piccolo riquadro col proprio ritratto, in genere il modo più semplice e tradizionale di rivendicare la paternità di un’opera consisteva nell’apporre in calce il proprio nome, al più seguìto dalla data di esecuzione. Le formule più comuni erano, per esempio, “questa opera fece X” (hoc opus fecit X), oppure “Y dipinse”(Y pinxit).
di Diego Ianiro
[Questo articolo è stato segnalatoscritto da Diego Ianiro a commento di Un dogma culturale (sulla critica alla politica israeliana) qui su NI]
“La politica di Israele consiste proprio nel tenere in ostaggio intere popolazioni”
Gilbert Achcar[1], intervista di Paola Mirenda per Liberazione – 15/7/2006
Il 20 luglio 2006, esattamente un anno dopo il nostro ritorno dai Territori Occupati[2], Tsahal (l’esercito israeliano comunemente noto come IDF – Israeli Defense Force) è al settimo giorno di bombardamenti sul territorio libanese.
Esattamente un anno dopo il nostro ritorno mi trovo su un autobus diretto verso il posto dove lavoro (e neanche per un istante penso ai brividi provati percorrendo Tel Aviv – Old Yafo sullo stesso tipo di mezzo un anno prima): è estate, sono circondato da ragazzi in tenuta da spiaggia, apparentemente lontanissimi da qualsiasi “idea” di guerra. Uno di loro ha un giornale, in prima pagina un’immagine delle macerie di Beirut cattura la sua attenzione: il ragazzo, credo abbia più o meno la mia età, si lascia scappare un commento, un commento che include un “…peccato per Hitler …poteva almeno finire il lavoro”. E’ un commento che, in un contesto simile, può scappare. Ma è un tipo di commento destinato a trovare sempre più spazio tra le parole e nella mente dei ragazzi, degli uomini e delle donne che percepiscono, al di là della fittissima rete di controllo dei media ufficiali, l’arroganza e il disprezzo per la vita umana che caratterizza la “sproporzionata” (questo l’aggettivo più in voga nei discorsi del nostro Ministro degli Esteri) reazione della politica dello stato d’Israele a fronte del “rapimento” di tre suoi militari.
E’ un tipo di commento che, in qualsiasi caso, non può tuttavia essere giustificato. Perché è sulle parole, anche e soprattutto su quelle del “senso comune”, del commento estemporaneo, del giudizio sarcastico frettoloso, della generalizzazione saccente, che si edificano i risentimenti e le ragioni di un conflitto.
di Christian Raimo
L’ossessione che da sempre perseguita la coscienza intransigente di David Foster Wallace è quella per l’empatia, per la comunicazione dei sentimenti, per la spontaneità. In “Caro vecchio neon”, uno dei soli due racconti straordinari della sua ultima raccolta (Oblio, edito l’anno scorso da Einaudi), il protagonista – omonimo dell’autore – è un suicida che dal tempo impossibile della propria morte racconta il suo peccato senza redenzione: “Per tutta la vita sono stato un impostore. E non esagero”.