di Matteo Serpente
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Uno dei giorni più felici della mia vita è stato quello in cui per la prima volta non ho dovuto chiedere aiuto.
Era poco più di un anno fa, allora avevo all’incirca sedici anni e da quanto mi ricordo la logica delle cose aveva abbandonato il mondo, o almeno così si leggeva sui giornali e nelle pagine delle maggiori riviste nazionali. Il mio patrigno, uomo di grande sensibilità ma incapace di legami profondi, mio tutore in sostituzione del mio padre naturale morto in un incidente aereo quando avevo dodici anni, mi ripeteva in continuazione che un cammello poteva anche passare attraverso la cruna di un ago ma se accadeva, in nessun caso (e ci teneva davvero molto a ribadire con braccia piedi e testa quel suo “in nessun caso”) si trattava di vita reale, quotidiana, concreta, quella vita per capirci fatta di uomini in carne e ossa. Nella vita reale, mi ripeteva il mio patrigno, i miracoli e le rivoluzioni quotidiane non accadono mai. Davanti al tv color che aveva deciso di regalarsi per il suo compleanno, mi ripeteva sempre che: “La realtà è come una pietra durissima e pesantissima, fino a che la guardi non hai problemi, il brutto inizia quando decidi che ti appartiene!”


