Osservazioni su Il libro di Egon di Stefano Zangrando
di Gianluca Gigliozzi
“Ebbi un principio di nausea. Di che si trattava? Il vino, la Brezel, la pagnotta al formaggio? Macché era qualcos’altro. Quell’improvviso voltastomaco era un malessere interiore, spirituale […]”.
Apparentemente Il libro di Egon (Greco & Greco Editori, Milano 2005) è il solito libro del giovane scrittore sulla giovinezza, del giovane scrittore che usa la scrittura per mettere in scena (e rimettere in sesto…) la propria incontenibile o anche desolata giovinezza, per ricostruirne le linee di tensione e di dispendio, mostrarne le deboli configurazioni e gli emeriti collassi. Ma la differenza è grande rispetto al modello imperante, anzi, a mio avviso, la sua caratteristica è proprio nel rovesciamento del modello. In questo testo leggiadro e crudele viene scalzata l’astuzia della giovinezza che si rispecchia in forme complici: è azzerata cioè la complicità pornografica, anche se ben accetta non solo dai giovani lettori, tra la giovinezza rappresentata e la giovinezza dei lettori (che a volte non sono neanche anagraficamente tali, ma vogliono sembrare e dire di esserlo).