di Raul Montanari
1. Sparare su Michael Moore e su Fahrenheit 9/11 (con entusiasmo perfino maggiore di quello che ci metterebbe Charlton Heston) è diventato l’hobby preferito di un certo tipo di intellettuale di sinistra micragnoso, minimalista, precisetto, analitico, concentrato non dirò sull’albero, non dirò sulla foglia, ma sulle nervature della foglia, al punto di non vedere più non dirò la foresta (sarebbe troppo facile), non dirò l’albero, ma nemmeno la foglia stessa.
Come è stato giustamente osservato, questo intellettuale è rimasto orfano del soggetto politico della sinistra tradizionale, l’operaio. Essere di sinistra, per lui, è diventato essenzialmente votare in un certo modo (quando ci va, a votare: spesso il disgusto o le sirene del weekend glielo impediscono) nella famosa “gabina” elettorale, esibendo nel resto della sua attività quotidiana e, appunto, intellettuale un mix di noia e rassegnazione, di acida consapevolezza, il cui oggetto preferito non è quasi mai la destra, le sue facce, le sue parole d’ordine, le sue prassi politiche – la cui indegnità è data più o meno per scontata quando non sotterraneamente ammirata (vedasi il mito di Giuliano Ferrara) e frequentata in salotti, feste e occasioni televisive – bensì gli errori dei suoi compagni di orfanaggio, le virgole sbagliate, l’accento grave o acuto sulla “e” di perché.