di Marco Palasciano
A un terzo del mio secolo di vita, tra gli sterpi correndo in infinito cerchio con strani animali ansiosi d’asciugarsi dopo l’ultimo lachrymoso diluvio, sempre incalzato dallo spettro di quel Poeta dal buffo copricapo rosso il quale io in corsa rattamente volgendomi a guardare vedevo a sua volta avere alle spalle tutta una folla di personæ nonché archetipi antropomorfi e zoomorfi e teratomorfi quali già sguinzagliò sir Peter cineasta enciclopedico sull’isola di Prospero chi brandendo un sestante chi una lira chi una sciabola chi un libro aperto, io, in affannata corsa verso non sapevo piú che zenith e partito da non sapevo piú che nadir o viceversa, affatto lasso, mezzo infangato da un paio di cadute da far ridere les hommes d’équipage, maglietta lacerata dagli spini e sbrendolata come la veste di madonna Philosophia, io, Poliphilo/Pollicino/Palasciano, mi ritrovavo in quella che per metafora obbligata chiameremo una selva oscura, o bosco iniziatico dal quale l’adolescente di turno non è piú uscito senza però per questo ricevere in dono fatato l’aeromobilità di Peter Pan; e in questa selva che è piú un ipnolabirinto o, spostando l’interesse dalla sua oniricità alla sua multidimensionalità, iperlabirinto, non solo la diritta via mi si era smarrita ma, poiché nell’ultimo terzo di millennio cadde dal trono anche la Geometria euclidea, ora, se pure avessi ritrovato quella via, per diritta che vi sarebbe parsa, avrebbe intersecato diosà quante vie ad essa parallele e potuto perfino guidarmi, con crudele inganno, io distratto da bachi e da conigli, a precipitare nelle fauci titaniche di un buco nero, intorno al cui orlo, come stelle sul mare palpitanti, i Quanti ognora saltellano, irridendo il decrepito Apollo storte frecce, nella teoria o danza del Caos che tutto move.… Leggi il resto »