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Gentilissimo Paolo Di Stefano


[Paolo Di Stefano sul Corriere, il 24 giugno, ha scritto alcune cose che non condivido. Gli ho risposto di getto dalle pagine dell’Unità.]

di Gianni Biondillo

Gent.mo Paolo Di Stefano,
se lo faccia dire fuori dai denti: che palle! Mi sono sempre chiesto se sia una condizione anagrafica o di rendita di posizione quella che porta alla tentazione del pulpito. In fondo conosco scrittori della mia età che studiano per diventare i nuovi tromboni delle patrie lettere quindi non mi stupisco più di nulla, ma vedere che anche lei ci sia cascato in pieno mi deprime assai. Nella sua rubrica sul Corriere della Sera dal titolo “autori vicini, grandi e già dimenticati”, il 24 giugno scorso, ha saputo inanellare una tale serie di luoghi comuni letterari che mi ha davvero impressionato, facendomi venir voglia di scrivere di getto queste righe “risentite”.
Il primo dei luoghi comuni è quello della tanto vituperata categoria dei “giovani scrittori”, che qualcuno mi deve spiegare qual è, dove si trova, in quale ufficio anagrafe, e, soprattutto, da chi è composta. Ragionare per generazioni è così inconsistente che non meriterebbe neppure un appunto. Per farle un esempio: è da anni che mi ritrovo iscritto nell’elenco e non so più come uscirne. Ho 42 anni, una moglie, due figlie, e pure qualche capello bianco, che mi coccolo come in quella bellissima poesia di Wole Soyinka: quand’è che riuscirò ad essere considerato uno scrittore e basta? Quando, per dirla con Arbasino, si passa dalla fase “giovane promessa” a quella di “solito stronzo”?
Bene, dato che io mi considero davvero l’ultimo degli stronzi le voglio dire che rigetto in pieno l’immagine che dà dei “giovani scrittori”, dimentichi del patrimonio culturale del passato, remoto o prossimo che sia.
Parlo di me non certo per l’alta opinione che ripongo nelle mie cose. Le assicuro che non scrivo per essere ricordato nelle antologie future, come molti miei colleghi fanno, anzi ho la certezza che sopravviverò alla mia opera: i miei libri verranno dimenticati presto, gusterò la vecchiaia nell’assoluto anonimato. Resta però il fatto che fra le poche miserande cose che ho pubblicato in volume ci sono saggi su Pier Paolo Pasolini, Carlo Levi, Elio Vittorini. Che colleghi a me cari, come Girolamo De Michele, hanno scritto pagine accorate su Rigoni Stern, che i Wu Ming lavorano da anni sul tema della lingua in Beppe Fenoglio, che Raul Montanari ha scritto uno dei più bei ricordi della figura umana e artistica di Pontiggia, che Marino Magliani chiosa da anni, paziente, l’intera opera di Francesco Biamonti, che Sergio Garufi conosce a memoria intere pagine di Giorgio Manganelli, che su Nazione Indiana (lo conosce? Ci viene a trovare in rete?), grazie a Francesco Forlani, abbiamo pubblicato inediti per la prima volta tradotti in italiano di Saul Bellow o di Céline, che Andrea Inglese ha scritto saggi densissimi su Volponi, che continuiamo a pubblicare e scrivere su Adriano Spatola o Amelia Rosselli, che proprio l’altro giorno un nostro lettore commentava nel blog, affranto, la notizia della scomparsa di Fabrizia Ramondino, stimolandoci a parlarne più diffusamente. E questi sono solo una spicciolata di esempi dei moltissimi che potrei ancora farle.
E poi questa storia dell’egemonia dei gialli, ma insomma, basta davvero! “Parli per interesse personale”, potrebbe dirmi. Al di là del fatto che della decina di volumi da me pubblicati solo tre appartengono alla categoria suddetta – ma l’abitudine a incasellare l’opera di chi scrive è così connaturata in certi giornalisti che non potrò certo io estirparla – io mica mi tiro indietro: mi trovo in ottima compagnia fra i “giallisti”, quanto meno fra loro manca quella sete dell’altrui sangue che continuo a percepire fra gli “scrittori laureati”. Ma l’egemonia, dai, per piacere! Vada a vedersi le cinquine di tutti i premi prestigiosi o meno del territorio nazionale (lei li conosce bene, dato che li frequenta): non c’è un giallista neppure a piangere in cinese. “Guardare le classifiche per credere”, lei dice. Bene, guardiamole. Ho sottomano la classifica della scorsa settimana: dei primi dieci della narrativa italiana solo due (Faletti e Camilleri) rientrano nel genere. Al primo posto Saviano, al secondo Giordano. Ma di che stiamo parlando, insomma? Vogliamo dimenticare che i casi editoriali degli ultimi anni, da Piperno giù giù fino a Giordano, tutto sono tranne che gialli? Che la tiratura media di un giallo italiano (smettiamola di baloccarci con i vari Faletti o Carofiglio) è di circa 800 copie (spessisimo invendute)? Oppure ci siamo dimenticati che gli italiani hanno da sempre letto i cosiddetti gialli (spesso scritti da autori italiani sotto pseudonimo), con la sola differenza che al posto di comprarli in edicola ora lo fanno in libreria? E cioè che grazie anche al vituperato genere, un po’ di italiani sono entrati per la prima volta in una libreria?
E infine, quel guardare con disprezzo i “giovani scrittori” (ho i brividi ogni volta che lo scrivo) che “fanno il tifo” a loro stessi: ma mi scusi, dove sarebbe la novità? Che forse dagli Scapigliati fino ai Cannibali (roba del secolo scorso, le rammento), non è sempre stato così? È vero che le pagine culturali dei quotidiani più in auge sono spesso o lenzuolate di cose accadute fra il 1943 e il 1950 oppure articoli che trattano la letteratura contemporanea come fosse una guerra di posizione – con gossip della peggior specie, inventando fazioni inesistenti l’uno contro l’altro armate, e lei forse leggendoli davvero ci ha creduto – ma dove sta scritto che questi autori millantano di aver inventato l’epica italiana? Chi di loro l’ha detto? Condivisibili o meno, ha letto con attenzione le parole di Wu Ming 1? Oppure le sono arrivate di straforo, un po’ ammaccate? Si aggiorni, Di Stefano, provi a leggerli questi scrittori. Non parlo di me, insisto. Io sono l’ultima ruota del carro. E guardi, per non turbarla troppo, non le consiglio alcun giallista (anche se ce n’è di bravissimi). Legga però, oltre a quelli succitati, Helena Janeczek, legga Alberto Garlini, Giacomo Sartori, ammiri la compostezza di quelli ancora più giovani, come Luca Ricci, Andrea Bajani o Marco Missiroli, si inoltri nella poesia contemporanea di Biagio Cepollaro, Francesca Matteoni o Andrea Raos. Mai come in questi anni la letteratura italiana è viva e variegata.
Tutto il resto, se lo faccia dire con le parole del Califfo, “tutto il resto è noia”.

Suo devoto lettore,
Gianni Biondillo

[pubblicato su L’Unità il 4 luglio 2008]

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91 Commenti

  1. Questo sì che è parlare… ho letto l’articolo di Di Stefano e , prima di apprezzare la tua (salvifica) risposta, sono stato parecchio male. Quanti luoghi comuni e preconcetti…

    Applausi a te, Gianni.

  2. Non ho letto il pezzo di Di Stefano ma devo dire che quello che dici mi sembra condivisibile

  3. Una cosa bisognerebbe aggiungere alla tua risposta, Gianni: che spesso ad assecondare le mode o a far passare per miti dei vuoti a perdere sono gli stessi giornali, compreso quello per cui scrive Di Stefano: basti pensare a quanti “più grandi scrittore italiano vivente” o “più grande scrittore del mondo vivente” ha creato il suo Magazine.

  4. il problema però, e su questo si può aprire una questione, non è la quantità di cose che si dicono, ma la qualità; come sempre ovviamente;

  5. il problema non è l’oblìo postumo – e mi pare che Biondillo smonti l’assunto – sugli autori citati da Di Stefano : ciò che mi sembra più grave è il silenzio pre- e postmortem su autori non meno degni di attenzione come Cristina Campo, Emilio Villa, Gianfranco Ciabatti, Giorgio Cesarano…

  6. NEL LIMPIDO DEGLI INCENDI RITROVATE, PER UN ISTANTE INTIERE

    Giorgio Cesarano.
    Curioso vederlo menzionato proprio oggi.
    Ieri, in un momento di relax, ho ripreso la raccolta di poesie “Romanzi naturali” (raccolta postuma, pubblicata da Guanda nel 1980).
    Ho letto tutto di fila il romanzo breve in versi “Ghigo vuol fare un film”, cronaca del tentativo fallito di girare un lungometraggio militante/controinformante sulla repressione (1969).
    Quel testo, per certi versi molto datato, per altri tocca ancora problemi con cui deve fare i conti – oggi – chi voglia fare comunicazione “altra”.
    Mi viene però da dire che se nel movimento di allora fosse passata del tutto la linea (chiamiamola così:) di “anti-autorappresentazione” auspicata da Cesarano (soprattutto nei testi di critica radicale scritti una volta abbandonata la poesia), oggi l’unica versione sul G8 di Genova sarebbe quella della polizia, e crederemmo Carlo Giuliani ucciso da un sasso.
    …estremizzo e provoco, certo, ma anche Cesarano estremizzava e provocava. In cerca di una coerenza ultima e pura, accompagnò i propri enunciati tanto lontano da trovarsi sul ciglio del vuoto, come i Mietitori di “Serenity” che, giunti ai confini del cosmo conosciuto, vedono l’infinitezza del Nulla e la finitudine degli sforzi umani, diventando esseri cannibali e dediti all’automutilazione. E’ una forma di suicidio.
    Di sicuro, Cesarano è un personaggio con cui fare i conti, e di cui apprezzare il *lavoro*. Se in certi ambienti libertari sopravvive – grazie a ristampe ed edizioni critiche – il ricordo di lui come “saggista” (ma è un’etichetta riduttiva), il Cesarano poeta è consegnato all’oblìo. Il fatto che egli stesso se lo fosse augurato non significa che si debba accontentarlo…

    […]

    Non si sa dove sia finito Ghigo.
    Trafficava tra qui e Roma per finanziamenti permessi.
    Si dice che Stefano sia stato incarcarato
    oppure è una spia della polizia, fa lo stesso.
    Se il film verrà fatto in qualche modo lo si vedrà.
    Anche il discorso che Stefano voleva fatto:
    nel film non poteva entrare per questioni materiali
    o tecniche di capienza di incompatibilità strumentale,
    ma appunto non essendo cosa di mero linguaggio
    non essendo cosa non finendo nel linguaggio
    sarà intanto la piega che eventi prenderanno
    a mano a mano che flash si faranno
    con fuochi accesi per collera da persone separate
    nel limpido degli incendi ritrovate
    per un istante intiere
    con una strangolante rabbia
    voglia di vivere voglia di non morire
    molto banalmente così, siccome è così banale
    voler vivere voler non morire.

    Per un istante intiere nei limpidi incendi.

    O per sempre: dipenderà dalla qualità,
    la qualità che duri nella luce
    là dove sbianchiranno altri film.

  7. ciao

    (premessa)

    Non ho letto l’articolo di Paolo Di Stefano. I “luoghi comuni” annoiano e non servano a nulla, sono d’accordo con te.

    MA…

    (postilla a margine)

    Domando a Gianni (domanda retorica): la letteratura (narrativa e poesia) è in crisi? So che mi risponderai di no (lo deduco dal post). Secondo me, invece, sì. Non è solo cosa italiana, è cosa di tutta l’Europa occidentale. Non è solo cosa di questi anni, è cosa di venti-trent’anni. Forse più.

    La letteratura occidentale non esprime più i contrasti e la tensione della vita umana e della società in cui viviamo; e le differenze fra scrittore e scrittore si riduce a pura diversità.

    Forse è la vita occidentale ad essere omologata e, di conseguenza, la letteratura. Non saprei. Io non sono un sociologo né un critico militante. Leggo molta letteratura contemporanea, ma non tutta (è impossibile). Quindi, non metterei mai la mia mano sinistra sul fuoco acceso da Biondillo.

    Però inviterei gli scrittori a nutrire il sospetto che, sotto sotto, la qualità letteraria oggi non sia granché in termini Assoluti (parlo naturalmente in generale). Forse una forte autocritica servirebbe più di un’autodifesa.

    Per esempio, si tende un po’ troppo a sopravalutare questo o quel scrittore per carità di patria (letteraria e non).

    suo infedele lettore [sorriso]

    f.s.

  8. è vero, c’è forse qualche luogo comune nell’articolo di Di Stefano, ma il tono non mi è sembrato acceso, mi sembrava più una sincera celebrazione di alcuni nomi che un attacco agli altri; c’è forse qualche sfumatura di cattiveria che i più non colgono e voi addetti ai lavori forse sì e che ha scatenato l’incazzatura di Biondillo?

  9. Francesco,
    la letteratura è in crisi (a detta dei critici di ogni tempo) da circa 150 anni. Facciamo 200, dai. E comunque qui non si parlava di “crisi della letteratura” (tema che a me interessa relativamente. La letteratura, per quanto ne so, può anche morire. Non muore, comunque, la narrazione).

    Ilse,
    io non ho nulla contro Di Stefano, che non conosco, ben inteso. E apprezzo il suo desiderio di non perdere memoria di molti scrittori appena defunti. Però che chi scrive dovrebbe evitare di cascare nel comodo maglione dei luoghi comuni. Meglio prendere un po’ di freddo ogni tanto.

  10. ciao Gianni

    Comunque, la mia era una postilla alla conclusione del tuo pezzo.

    “Io sono l’ultima ruota del carro. E guardi, per non turbarla troppo, non le consiglio alcun giallista (anche se ce n’è di bravissimi). Legga però, oltre a quelli succitati, Helena Janeczek, legga Alberto Garlini, Giacomo Sartori, ammiri la compostezza di quelli ancora più giovani, come Luca Ricci, Andrea Bajani o Marco Missiroli, si inoltri nella poesia contemporanea di Biagio Cepollaro, Francesca Matteoni o Andrea Raos. ***Mai come in questi anni la letteratura italiana è viva e variegata.***”

    dici:

    “Non muore, comunque, la narrazione” (luogo comune).

    Certo, finché ci saranno spettatori per la Tv e il cinema… (altro luogo comune)

    felice estate

    francesco

  11. La “crisi del romanzo” e della letteratura è il cliché più frusto di tutti, ed è nato insieme al romanzo. E’ come il declino dell’Occidente: è iniziato insieme all’idea stessa di Occidente. Nulla di nuovo, è la vecchia geremiade reazionaria del “Che tempi!”. Ogni decennio ha conosciuto il proprio dibattito sulla crisi del romanzo, mentre il romanzo se ne fotteva e continuava bellamente a evolversi, forzare le proprie regole, tradire le aspettative dei custodi/congelatori del canone. Il romanzo era già finito negli anni dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, soprattutto settanta, e poi ottanta, novanta, ed è finito pure adesso, e ogni volta la profezia che cercava di auto-avverarsi non si è auto-avverata. Già il grandissimo Gian Carlo Fusco, più di mezzo secolo fa, faceva satira del cliché:
    «Era il 25 ottobre e mancavano esattamente dieci minuti alle sette. Fu allora che Mario Pannunzio, direttore del Mondo, si avvicinò al gruppo scorrendo un manoscritto. Senza alzare gli occhi, entrò nella conversazione, con una voce calma che aumentò l’inesorabilità delle sue parole: “Io credo che il romanzo sia morto”, egli disse»
    Era il 1952. E si dà il caso che dal 1952 a oggi la letteratura mondiale abbia prodotto opere più che eccelse.
    E’ un po’ come la profezia della fine del mondo: era annunciata per il 1982, perché marte, giove e saturno si sarebbero allineati provocando grandissimi sconvolgimenti. L’Italia vinse i Mondiali di calcio, e il mondo è proseguito. Allora si è detto che l’apocalisse sarebbe stata nel 1996, e avrebbe coinciso con la visibilità della cometa Hale-Bopp. Due o tre scoppiati si ammazzarono, ma il mondo è andato avanti. Ci sono culti che tirano avanti da decenni spostando avanti le lancette e barrando nuove caselle del calendario. E’ come la morte del romanzo (o della letteratura): il romanzo è morto nel ’52, nel ’63, nel ’68, nel ’72, nell’89, nel ’93, nel 2000, nel 2008… E continua a morire nelle fantasie degli allucinati.

  12. “il sospetto che, sotto sotto, la qualità letteraria oggi non sia granché in termini Assoluti ”

    Ebbeh, certo, se c’è chi crede che in letteratura esistano termini “Assoluti” (mi raccomando la A maiuscola) in base ai quali giudicare un’opera, nessun libro sarà mai all’altezza, nemmeno “Guerra e pace” o “La montagna incantata”. Se qualche critico letterario è salito in cima al Sinai per ricevere da Dio tavolette coi comandamenti del romanzo, dev’essere accaduto mentre gli autori non guardavano, e per fortuna! Se davvero esistessero tavolette del genere, andrebbero fatte a pezzi.

  13. Francesco: “Non muore, comunque, la narrazione” non credo sia un luogo comune ma una esigenza dell’animale sociale che siamo. Lo attestano centinaia di migliaia di anni della nostra specie. Poi se cambieremo ulteriormente evolvendo in qualcos’altro probabilmente morirà anche la narrazione. Figurati se è un problema per me.

    “Certo, finché ci saranno spettatori per la Tv e il cinema… (altro luogo comune)”
    io questo NON l’ho detto. Non mettermi in bocca cose che non dico.

    felice estate anche a te.

  14. Signor Gianni Biondillo,

    non condivo una sola ‘acca’ di quello che Lei ha qui scritto, cercando invano di portare acqua al suo mulino in nero, o in giallo se preferisce. Solo questo. Aggiungo però che non saranno né i Wu Ming, né Lei o Giancarlo De Cataldo a fare la Letteratura; né servono i dozzinali articoli scritti in memoria di Pier Paolo Pasolini, Beppe Fenoglio, Amelia Rosselli, ecc. ecc. per riportare nelle biblioteche e nei cuori degli italiani il vero spirito della Grande Letteratura. La critica minimalista adoperata oggi, quando non addirittura di carattere revisionista, è soltanto un male portato in maniera piuttosto subdola a esclusivo sfavore dei classici. Il New Italian Epic, ad esempio, è il sublime manifesto al Niente Assoluto; e non ci sarebbe poi niente di male nell’esaltarlo, se solo non ci si proponesse di revisionare i classici per occultarli di peso nel Niente.
    Semplicemente, oggi, la Letteratura non esiste più, se non per tre o quattro nomi: Umberto Eco, Aldo Busi, Sebastiano Vassalli. Quelli che Lei indica, Alberto Garlini, Giacomo Sartori, Luca Ricci, Andrea Bajani, Marco Missiroli, Biagio Cepollaro, Francesca Matteoni, Andrea Raos, Giordano e Piperno e Saviano, sono piccoli – davvero piccoli – calibri, innocenti per compostezza retorica di stili e di contenuti. Domani di questi autori non rimarrà nemmeno una virgola. O un epitaffio.
    Non mi sento di essere pessimista come Paolo Di Stefano: Mario Rigoni Stern era già Storia della Letteratura, ben prima dei coccodrilli dedicategli in occasione della morte. Così anche Giuseppe Pontiggia. Di Pontiggia, di Rigoni Stern, di Gina Lagorio si continuerà a parlare ancora a lungo; ma, soprattutto, questi autori di così grande calibro non verranno presto dimenticati né dai lettori (quelli che resistono all’imperante medioevo che oggi fa strage di idee e ideali per mezzo di mode e di veline improvvisatesi scrittrici), né dagli editori, i quali prima o poi dovranno pur uscire dallo stato di cecità che oggi gli ha serrato gli occhi.

    Giuseppe Iannozzi

  15. Ciao
    Scusate, scrivo di fretta e furia, ma mi preme rispondere a Roberto.

    Il tuo commento è una presa per il culo verso chi non conosci. Su questo piano io non ti seguo.
    Inoltre, il mio commento si inseriva su un piano diverso. Mi potevo spiegare meglio, certo. Ma tant’è.

    A riguardo, ho letto il tuo manifesto. A me pare il canto del cigno di “certa letteratura”. Potrei dire di più, ma non mi va di dialogare con te.

    Divagando, Lo so che non è vera l’affermazione “si viveva meglio quando si viveva peggio”.

    Per esempio, nel 2001 mi dedicai allo studio del realismo in
    letteratura. Seguii il duello culturale innescato dalla pubblicazione
    di Metello (alcuni protagonisti del dibattito erano Fortini,
    Parronchi, Pampaloni, Cecchi, De Robertis, Bo, Piccioni, Salinari,
    Vigorelli, Cases ecc, non li ricordo tutti). Mi spostai sulle tracce
    delle polemiche nate da Ragazzi di vita & Una vita violenta. Infine,
    mi dedicai a Moravia, Pasolini e Pratolini. Insomma, studiai il
    fenomeno. Soprattutto lessi gli articoli apparsi sui quotidiani e le
    riviste letterarie.
    Bene, sai meglio di me che molti critici di immenso valore non
    compresero, per esempio, l’importanza e la forza dei romanzi di
    Pasolini (solo Fortini intuì qualcosa), mentre puntarono il loro
    sguardo e le loro energie critiche su un fenomeno che nei fatti non
    esisteva e non è mai esistito: il realismo nella letteratura italiana
    declinata da Salinari e da György Lukács in Marxismo e la critica
    letteraria. Inoltre, la discussione su Metello fu furibonda e
    violenta. E poi, a conti fatti, Metello concluse e non inaugurò una
    lunga fase di impegno etico-politico della letteratura italiana.

    Bene, il tuo manifesto, secondo me, è la pietra tombale di “certa” letteratura. E avrei voluto dialogare, ma davanti alle prese per il culo, io chiudo.

    A The God Delusion

    Diamo valore alle cose: Guerra e pace è un capolavoro, i libri dei Wu ming non lo sono

    Statemi bene.

    f.s.

  16. Curioso che qualcuno abbia letto un mio “manifesto”. Se è vero che quando si pensa da martello qualunque problema avrà parvenza di chiodo, evidentemente quando si pensa da parete qualunque testo avrà parvenza di… manifesto.
    Dopodiché, trovo divertente che dalla lettera aperta di Biondillo si sia tanto in fretta sbandati fuori tema ad inveire contro il sottoscritto e/o il New Italian Epic, di cui non si stava discutendo.
    Si vede che quando rode il culo ogni panchina ricorda il male.
    Emblematico anche che nel giro di pochi commenti si sia scivolati nelle comparazioni tra Wu Ming e i grandissimi del passato. Comparazioni polemiche e irrisorie, certo, ma che hanno valore di lapsus.
    Bene così.
    Buona estate a tutti.

  17. La pensi pure come vuole, Signor Roberto Bui, non è che la cosa mi possa portare disturbo: è un libero pensatore in una democrazia (apparente!!!), per cui è liberissimo anche di mandarmi a quel paese e di dichiarare che ho pruriti in basso o in alto e che i miei naturali pertugi sono rosi dal male. Ma gli autori, per lo meno alcuni di quelli citati dal Signor Biondillo in questa sede, sono stati inseriti, non si sa bene con quale criterio, nel manifesto del New Italian Epic o in articoli ad esso inerenti o ad esso collegati. Forse a Lei potrà non piacere che si indichi il New Italian Epic come un manifesto, allora glielo spiego altrimenti: autoesaltazione fine a sé stessa, una molta piatta forma di autocelebrazione, sperando forse in un ritorno pubblicitario. E con linguaggio più diretto e fantozziano: “una cagata pazzesca”.
    Sinceramente, con rispetto parlando, Signor Roberto Bui, farebbe bene a riprendersi, ad aver più cura di sé stesso invece di sparare castronerie che non stanno né in cielo né in terra.

    Bene, dopo questa dovuta risposta al Signor Bui, ringrazio: il primo commento lasciato era poi solo quella sostanza che mi premeva di evidenziare.

    Buona estate,

    Giuseppe Iannozzi

  18. “Bisognerebbe continuare a parlare di Luigi Malerba, anche dopo i coccodrilli. Bisognerebbe parlare di Rigoni Stern, Pontiggia, Lagorio, Meneghello, Malerba, Volponi per non appiattirsi sui trionfalismi del presente. Perché a volte anche in letteratura sembra di essere dentro certe telecronache calcistiche descritte ieri da Aldo Grasso, fatte di «ci temono» e di «noi, noi, noi». Con la differenza che in letteratura a dire «ci temono» e «noi, noi, noi» non sono i cronisti, ma gli scrittori, tifosi di se stessi.” Questo è il finale del discorso di Paolo di Stefano. Io non mi sento davvero di criticarlo. Vedi Bui, saresti dovuto essere tu a scrivere la risposta non richiesta a di Stefano, mettendoci tutta la tua retorica. Perchè è evidente che si parla di te e dei tuoi epici. Tu che ti sei creato l’autocanonizzazione, per te e per gli amichetti tuoi, secondo convenienza. Per te che non sei certo lontano da certe logiche da “famiglia”. Da te che usi sempre un tono tale, da professorino stizzoso, che è già poco se chi ti legge prova il rodimento di culo. Che viene dal fastidio, non dall’invidia, come malignamente pensi tu.
    Biondillo ha scritto la sua lettera mettendo nel calderone gente varia, citando anche te e gente che con te non ha alcun rapporto, come Francesca Matteoni, che non mi risulta sia stata affiliata alla tua epica.
    Il discorso però che fa Di Stefano è tanto semplice quanto essenziale: se siamo costretti a crearci un canone implicitamente di buoni (gli epici nuovi, che non parlano più da impersonali tinelli medi) grazie all’appoggio di certi importanti giornali, vuol dire che siamo messi male, soprattutto nel comparto “critica”. Una critica pigra e spesso incapace di creare valutazioni sul lavoro altrui, rende il “ladro” (assolutamente consentito il suo lavoro) possibile. E dunque tu, e gli amichetti tuoi, venite qui a darci le lezioni sulla letteratura contemporanea, includendo buoni ed escludendo cattivi secondo regole inventate da voi, dunque non con regole accettate da tutti. Fate il lavoro che la critica non vuole fare, ma lo fate giustamente per voi stessi. Siete come scolari che si danno il voto, senza passare dalla maestra. Ma con la sua approvazione.
    Ecco, la rabbia verso di voi e verso quello che fate è tutta qua, e non è solo mia: è che i critici fanno i disertori e allora spontaneamente certi scrittori fanno lega e si autoproclamano epici, o assirobabilonesi, o arrampicatori, non importa.
    E’ qui che sta il vizio di fondo. E’ un problema che ci investe tutti. La critica viene superata e implicitamente resa una serva, la letteratura non rende conto che al pubblico (che spesso non capisce).

  19. basterebbe evitare di leggere il corriere della sera, storicamente incline alla facile schedatura.
    ma non è una novità caro biondillo.

    è come lamentarsi di un venditore di spazzole perchè ti ha venduto una spazzola..

    poi se ci si vuole sfogare, liberi tutti. ma rischia di diventare un leit motiv poco avvincente e sinceramente sterile

    come io credo da qualche tempo sia anche nazione indiana, nascosta nel suo mondo virtuale, pochissimo presente in quello reale. sob.
    o per paura o per incapacità o per comodità o per quieto vivere.
    ripeto, basta non lamentarsi poi se un venditore di merda ti ha venduto della merda non proprio fresca..

    scusate

  20. ciao

    a Gianni

    “Certo, finché ci saranno spettatori per la Tv e il cinema… (altro luogo comune)”

    l’ho detto io, non tu. Era una battuta. Forse non si capiva, scusami.

    ————

    Sottoscivo parola per parola il commento di Franz.

    E aggiungo che sarebbe stato utile un approccio critico vero, in cui la particolare angolatura del giudizio equivale ad un necessario strumento di conoscenza piuttosto che ad un punto di vista poetico- ideologico personalissimo.

    il problema non è quello di formulare o favorire questa schematizzazione o di applicarla come tu hai fatto acriticamente con i libri da te segnalati negli “appunti di lettura” (non manifesto, sia mai, ma neanche saggio letterario). Il problema è un altro. Ma lascio perdere, ché se ti poni in termini arroganti, un “va a quel paese” nessuno te lo nega

    p.s.

    Altra cosa: a me il culo non rode. E la cosa va da sé. Non sono un ragazzo invidioso. Non ho nessuna ambizione letteraria. Non mi sei né simpatico né antipatico. Non desideravo polemizzare con nessuno. Leggo di tutto, anche i tuoi libri. Raramente intervengo nei commenti dei blog o delle riviste on-line.

    Però se intervieni per prendere per il culo la gente, non ti lagnare se ti rispondono a tono.

    alla prossima

    francesco

  21. franz, sei stato lucido e preciso, anche quando dai una giustificazione agli epici. onestamente io non riuscirei a farlo.
    l’autocanonizzazione porterebbe vergogna a me e al mio lavoro.

  22. Una serie di considerazioni che vorrei fare (intanto già sento il fiato di canea sul collo):

    devo dirti Gianni che anche io non ho sentito “particolarmente” criticabile il discorso fatto da Di Stefano e devo dirti che in fondo nemmeno tu lo hai sentito così distante dal momento che ne hai abbracciata la tesi principale accennando al lavoro svolto su NI rispetto alla tradizione.

    Devo dire che “tradizione” – io la rivendico una tradizione, la cerco – non coincide sempre con il noto o con ciò che si traduce in “pubblico”.
    Come traduttore ho proposto dei testi molto meno noti di quelli che hai citato,(e te ne ringrazio) su un segmento che va da Philippe Muray a Jean Claude Michea, passando per Serge Gainsbourg e Jacques Brel.

    Per questi ultimi due poi accade quel che spesso succede ai classici ovvero che tutti sanno ma che nessuno conosce. E’ ovvio che il mio concetto di tradizione non si limita alla sola letteratura, ma appare forse meno politicamente imbarazzante se quell’orizzonte, la tradizione fin qui, lo definissi tempo.

    D’accordo con Roberto Bui, quando afferma che l’idea di romanzo si accompagna a quella di crisi. Crisi, evidentemente non solo del sistema che la forma “romanzo” tenta di decodificare, disinnescare, descrivere, raccontare, ma anche della forma che si dà.

    Due testi vorrei citare a proposito. Uno, illuminante e da poco ristampato di Giancarlo Mazzacurati, Pirandello nel romanzo europeo, e l’altro di Enrique Vilas-Matas, Bartleby e compagnia (sulla letteratura del No).
    Illuminanti proprio perché non solo identificano la crisi del modello “naturalistico” del romanzo moderno, ma per come si facciano portavoce della crisi dei romanzieri.
    E allora la butto lì e dico:

    “I romanzi dovrebbero essere scritti soltanto da romanzieri in crisi con la forma romanzo”.
    Soltanto quelli sarebbero romanzi onesti.

    Dissento invece da wu-ming quando attribuisce all’annuncio reiterato della morte del romanzo il solo valore autoriale. Tanto più paradossale ma non tanto se si pensa che il cuore del progetto Luther Blisset votato al sacrificio dell’autore ( ecco perché deve essere anonimo e collettivo) in nome dell’opera, è stato imbrigliato nell’autorialità dall’attuale società dello spettacolo. Al punto che credo sia auspicabile la definitiva metamorfosi da wu-ming 1 in Roberto Bui.

    Dissento allora da Wu-Ming 1 quando per l’appunto racconta e dice: ” (…) Io credo che il romanzo sia morto”, egli disse»
    Era il 1952. E si dà il caso che dal 1952 a oggi la letteratura mondiale abbia prodotto opere più che eccelse.”

    Io sarei un po’ più radicale dicendo che il romanzo esiste a prescindere dal contemporaneo. Quando un ragazzo o un anziano in questi nostri giorni imbraccia (come un fucile per ammazzare il tempo o capirci qualcosa, del tempo) Boccaccio o Flaubert (non quello delle cartucce…) lo fa rivivere ogni volta, lo rende contemporaneo. Altrimenti non si capirebbe come l nuovissimo Carmelo Bene potesse rileggere la tradizione. da Collodi ai poeti russi, passando per Dino Campana.

    Si è a un certo punto evocato, a riprova della non morte del romanzo, della forma-romanzo, il desiderio di raccontare o di farsi raccontare delle storie, (questo sì che è un luogo comune) il che è stato declinato da molti e in tanti si è teorizzato su come raccontare delle storie.

    Ecco allora che la tradizione mi viene in soccorso e vorrei citare il più bel saggio scritto dalla letteratura sulla letteratura, di Stevenson , les porteurs de lanterne, nella mia edizione francese ( the lantern Bearers), che spero vivamente essere tradotto in italiano. Quel saggio, che spero di mettere in home page quanto prima è illuminante per almeno tre ragioni:

    La prima per identificare il lettore ( dicitore e ascoltatore) con la figura del ragazzo, ovvero non dei quarantenni. I protagonisti sono infatti dei ragazzi che si danno appuntamento ogni notte per raccontarsi delle storie, dopo aver acceso le proprie “puzzolenti” lanterne, per farsi luce nel buio.

    La seconda per il fatto di mettere “en scene” l’esperienza del racconto come imprescindibile da quella della ritualità condivisa, del gruppo. In altri termini i ragazzi si differenziano dal resto del mondo attraverso il loro portare sotto il mantello, attaccata alla cintura, la lanterna “sourde”.
    Terza perchè si trattava di lanterne…(illuminante no?)

    Eccomi arrivare al punto chiave, lo spero, del mio discorso.

    Sbaglia Paolo Di Stefano quando non riconosce l’esistenza nel contemporaneo di una comunità o almeno del desiderio di comunità che Gianni mette giustissimamente in evidenza.

    Si sbaglia allora anche noi (Franz lo sa quanto fossi all’inizio perplesso dopo la lettura del saggio di wu-ming sul NIE) quando si considera quel progetto come chiuso, autoreferenziale, “forzato” nella mappatura proposta dello stato delle cose. A me però è sembrato, qualche tempo dopo, piuttosto un tentativo “onesto” di proporre un piano o più piani condivisibili sul piano narrativo, (e soprattutto politico) cui non si ponevano veti ai partecipanti. Io ci ho visto un invito a fare comunità. Cosa che accade talvolta, miracolosamente, come qui in questo thread in cui perfino la tribù Iannozzi ha sentito il dovere piacere di intervenire.

    tribù che si potrebbero riassumere così:

    La krauspenariana anarchica individualista
    La biondillana giallista cromista
    La wu minghiana epica razionalista
    La sassiana etica comportamentista
    La pillolista anti sistemista malecapista
    la Feendusiana anarco possibilista
    La sparzista decisionista nerosubianchista
    la distefanista tradizionalista

    e la forlaniana beh
    fancazzista
    così canea non mi azzannerà il collo…(o almeno spero)
    effeffe

  23. Franz,
    insisto: come ho scritto a Di Stefano, “condivisibile o meno” il saggio sul NIE di WM1 NON dice che l’epica l’hanno inventata loro, né fa una distinzione fra buoni (loro) e cattivi (gli altri). E’ una questione di onestà intellettuale. Se devo discutere di un testo devo prima leggerlo, analizzarlo e poi decidere se condividerlo o meno. Se non lo condivido non devo fargli dire cose che non ci sono scritte ma trovargli le pecche, gli errori.

    Effeffe,
    io a Di Stefano non contesto il “dovere della memoria” (che, anzi, condivido), ma il modo semplicistico di catalogare per luoghi comuni la realtà letteraria.
    1) i “giovani scrittori”
    2) l’egemonia dei gialli
    3) gli scrittori contemporanei che non conoscono la tradizione
    4) gli autoepici inventori di un neogenere
    5) la novità del tifare per se stessi come gruppo.

    Tutti questi sono LUOGHI COMUNI.

    Inanellati fanno il NEOSUPERLUOGOCOMUNE:
    i giovani scrittori, che sono tutti giallisti, lo sono perché non conoscono la tradizione, quindi si inventano un genere, la nuova epica, per farsi belli al mondo, dimostrando, cosa che in passato non si faceva mai, che come gruppo fanno letteratura e gli altri no. Ma sappiamo tutti che la letteratura è un’altra cosa! (ovviamente)

  24. Gianni, scrivi: “Conosco scrittori della mia età che studiano per diventare i nuovi tromboni delle patrie lettere”; “Non scrivo per essere ricordato nelle antologie future, come molti miei colleghi fanno”.

    O fai nomi e cognomi, e spieghi – anche brevemente, per carità – le strategie di potere dei “nuovi tromboni”, o il tuo intervento resta allo stesso livello di quello che critichi (ovvero: resta nel generico, e può essere sospettato di servire a privati, oscuri regolamenti di conti).

  25. Chi ti dice che non l’abbia letto, il testo? Sono intelletualmente onesto. Io cerco di interpretare. Se Bui si mette a fare il canonizzatore, deve trasformarsi in critico puro e leggersi quasi tutti i libri. Altrimenti la mappatura del suo stesso “genere” è monca. Di più: l’onestà intellettuale (questa poco conosciuta) gradirebbe – se fosse un essere umano – che ci fosse a monte una separazione delle carriere. Qui siamo alla totale anarchia, con gli scrittori che, in mancanza di una canonizzazione della critica, forti di un certo pubblico di fans e di un buon terreno di coltura sui media (giornali e web) si autoproclamano – per nulla innocentemente, sempre per guadagnarsi, con una sorta di “colpo di mano”, i galloni della rispettabilità critica- in tale e talaltro modo.
    Fatto singolare: buona parte di questi scrittori appartengono a un genere consolidato. Ma mentre prima gli scrittori di genere cercavano di darsi un contegno di fronte alla società letteraria affermando che non c’è grande differenza tra genere e mainstream, ora sono loro che “accolgono”, nel caso, gli altri, se ne notano le stigmate epico-politiche.
    Insomma, voi fate e disfate a vostro piacimento, con la benedizione (inconscia) della critica, che evidentemente ha altro da fare, altri di cui occuparsi.
    NIE cerca la scaffalatura a ogni costo, l’irregimentazione a ogni costo. La mappatura è un modo efficace per rafforzare i generi, le divisioni, le contrapposizioni. In pratica, NIE è al servizio del mercato. Docile come un agnello. Per quello che ho inteso io, c’è in questa manovra un asservimento totale alle logiche di mercato. A me questo basta. (Ma posso addentrarmi maggiormente, basta chiedere).

  26. In effetti sarebbe interessante conoscere i nomi e i cognomi di questi “nuovi tromboni”, e soprattutto perché definirli tali.

    Mi pare che “Manituana” dei Wu Ming abbia venduto intorno alle 50.000 copie o giù di lì: davvero poco per 5 teste, quando una ragazzina con un romanzetto rosa riesce tranquillamente a vendere 50.000 copie nel giro di pochi mesi, purché abbia alle spalle una casa editrice che non sia un piccolissimo editore. Forse anche da questa consapevolezza, o esasperazione che la si voglia considerare, alcuni scrittori hanno finito con il registrarsi nel New Italian Epic: la speranza, ovviamente, quella di riuscire a darsi maggiore visibilità, credendo che l’unione faccia in ogni caso e sempre la forza. Non mi pare però che essere nel New Italian Epic abbia portato sostanziali vantaggi a qualcuno, né ai Wu Ming, né a Giuseppe Genna, né a De Cataldo (ricordato soprattutto per “Romanzo criminale”), né a Valerio Evangelisti, ecc. ecc. C’è stato sì un po’ di polverone mediatico, fra i critici sostanzialmente, perché il comune lettore non è stato sfiorato dalle castronerie del NIE né da un orecchio né dall’altro, ma morta lì. Il tentativo di autopromozione, di autocelebrazione che è nel NIE ha portato, così a occhio e croce, più che altro inevitabili (e prevedibili) manifestazioni ironiche e di fastidio.
    Chi oggi crede di fare la nuova epica italiana si recensisce e si loda all’interno di una ristrettissima élite di scrittori, più o meno conosciuti: una sorta di club dove tutti si dicono “Bravi!” alzando a dismisura il tono di voce. Chi può dar loro credito? Soltanto chi fa parte di questo club, perché non ha alternative: ci è dentro e deve rispettare le regole non scritte dell’appartenenza al club. I critici, resisi conto di ciò, infastiditi da un simile spocchioso atteggiamento, hanno finito con il defilarsi del tutto, lasciando il NIE a sé stesso, preferendo guardare altrove, in lontananza. Credo davvero che non gli si possa dar torto.

    Iannozzi

  27. Si giusto. Personalmente ed a proposito “dell’uomo: animale sociale” considero il libro, all’infuori del cane, il miglior amico dell’uomo. Vecchia battuta. C’era pure quella di Hemingway, …vabé! Un saluto e buone vacanze Gianni. Stai facendo una bella carriera. Michele.

  28. … Mi pare che “Manituana” dei Wu Ming abbia venduto intorno alle 50.000 copie o giù di lì: davvero poco per 5 teste…

    questo è un metro di ragionamento veramente corto, iannozzi.
    lascia parlare chi ha cose interessanti da dire.

  29. Ziggy, Stardust forse?
    Se i miei commenti li trova insipidi li può saltare a piè pari: nessuno la obbliga a leggerli. Ma se li legge, si spera che sappia essere anche critico. E’ invece evidente che lei critico non è, ma che solo fa bang bang.

    Lei, in ogni caso, visto il suo comportamento non ha da dire proprio nulla, su nessun piano.

    Iannozzi

  30. sulla questione NIE sai fare solo striminziti riassuntini di cose intelligenti dette già da altri.
    di tuo tiri solo bordate sparate a caso, tanto per dire qualcosa, giusto per dare contro, come del resto fai sempre.
    iannozzi, hai una vaga idea di cosa vuol dire vendere 50.000 copie di un romanzo?

  31. Franz,
    “Se Bui si mette a fare il canonizzatore”
    Le intenzioni del saggio di WM1 non non sono quelle di istituire un canone ma di mappare una tendenza.

    “deve trasformarsi in critico puro e leggersi quasi tutti i libri.”
    concordo su questo punto. Leggendo il NIE sentivo la presenza, all’interno dele categorie da lui individuate, di testi che mi sembravano un po’ forzati in un senso o nell’altro, come quelli di Helena Janeczek o l’ultimo di Scurati. Mentre trovavo stridente l’assenza di testi come quelli di Altieri, che trovavo logici dentro quella categoria.

    Che gli scrittori, poi, facciano critica non è una novità del momento. Da Baudeleaire in poi, passando per Eliot o Pasolini, etc., s’è sempre fatto.

    Giulio,
    dici cose giuste e io non posso dimostrarti che non mi muove nulla di oscuro e privato. ma da sempre ho cercato di usare la tecnica di NON parlare di chi NON mi piace.

    Il miei silenzi su certi scrittori sono il mio modo di dire la mia. Lo so, forse non basta, ma il tempo che ho mi piace usarlo dando spazio a scritture che mi entusiasmano non dando spazio a chi già ce l’ha e lo pretende.
    Mi rendo conto dell’insufficienza di questa mia risposta, ma quello che più mi dispiace è che tutto possa diventare gossip, e non mi interessava.

    A me poi, in fondo, interessano i libri. Che uno umanamente sia una merda vale poco in questo discorso. In fondo con uno scrittore non ci devo andare a cena o portarmelo a letto. I suoi libri sì, invece. E di quelli bisognerebbe parlare.

  32. (torno più indietro, scusate, è più forte di me)

    Iannozzi ha scritto: > nei cuori degli italiani

    Qui, Iannozzi, si è giocato gi ultimi residui di credibilità che ancora gl’inventavo.

    pardon, e grazie per la discussione, una lode a forlani fancazzista!

  33. Sì, Ziggy, significa vendere niente. tanto più se si è in cinque. Avrebbero venduto 10.000 copie a testa. Orpo! Che gran risultato. “La cattedrale del mare” – di un autore esordiente spagnolo, Ildefonso Falcones, 350.000 copie… in quanti mesi? Ora sarà ben oltre le 350.000 copie.

    Melissa P.: Non si contano neanche le copie che ha venduto dei suoi libri, siamo nei milioni. Può non piacerti – a me non piace -, ma il dato di fatto è che Melissa P. ha venduto più di tutti i Wu Ming messi insieme da quando ci sono. Cifre da capogiro, che i Wu Ming per il momento non riescono a vedere nemmeno con il telescopio. Parlo di numeri, non di qualità.

    Per non dire di Giorgio Faletti – che invece mi piace: quanti milioni di copie ha venduto? Eppure è un autore esordiente, anche se ha alle spalle altre esperienze. Anche per lui cifre da capogiro. Milioni di copie.

    Quindi so cosa significano 50.000 copie per 5 teste: niente.

    Bene. Se a tua detta faccio riassuntini, vuol dire che vado dritto al punto senza perdermi in giri di parole, perché tutti quegli articoli e articoletti sul NIE messi insieme rivelano una sola cosa riassumibile con le parole del personaggio Ugo Fantozzi: “una cagata pazzesca”.

    Ziggy, torna a passeggiare, che è meglio. ;-)

  34. Signor Biondillo,

    la scusa “di usare la tecnica di NON parlare di chi NON mi piace” è un machiavellismo tanto palese che fa ridere i polli.

    Rimango in attesa di una risposta vera.

  35. Libri Autore(i) Lingua originale Prima pubblicazione Vendite

    1 Sacra Bibbia [1] Dio/dio dai 4 ai 6 miliard

    2 Citazioni del presidente Mao Zedong Cinese 1966 900 milioni

    3 Corano Maometto 800 milioni

    4 Don Chisciotte della Mancia Miguel de Cervantes Saavedra

    5 Xinhua Zidian (Dizionario Xinhua) Wei Jiangong 400 milioni

    6 Libro della preghiera comune Thomas Cranmer Lingua inglese

    7 I Progressi di Pilgrim John Bunyan Lingua inglese

    8 Libro dei Martiri Lingua inglese 1563 – Lingua inglese

    9 Libro di Mormon Joseph Smith Lingua inglese 1830 – 120 milioni[5
    ]
    10 Harry Potter e la Pietra Filosofale J.K. Rowling inglese 110 milioni

    11 Dieci piccoli indiani Agatha Christie inglese 1939 – 110 milioni

    12 Il Signore degli Anelli J. R. R. Tolkien Lingua inglese- 100 milioni [6]

    13 Harry Potter e la Camera dei Segreti J.K. Rowling inglese 77 milioni

    14 Harry Potter e il Calice di Fuoco J.K. Rowling 66 milioni

    15 Harry Potter e il Principe Mezzosangue J.K. Rowling inglese 65 milioni

    16 Il giovane Holden J. D. Salinger Lingua inglese 1951 65 milioni

    17 Il codice da Vinci Dan Brown Lingua inglese 2003 64 milioni

    18 Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban J.K. Rowling inglese 60 milioni

    19 Harry Potter e l’Ordine della Fenice J.K. Rowling 58 milioni

    20 Heidi Johanna Spyri Lingua tedesca 1880 52 milioni

    secondo quanto riportato da wikipedia mi risulta che J.K.Rowling abbia venduto dei suoi titoli complessivamente

    436 milioni di copie portandosi a metà strada tra Maometto e Cervantes.

    Potter più di Mao?

    E chi batterà colui che se dovesse percepire i diritti d’autore farebbe il culo a tutti, ovvero Dio?
    Anzi sapete che vi dico? Che questa è una prova della sua non esistenza, avaro com’è…
    effeffe

    ps
    scusate l’OT…

  36. Il 20 maggio 2008, quasi due mesi fa, io scrivevo questo:
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap22_VIIIa.htm#newitalianepic

    Da allora mi sembra che la discussione sia andata un bel po’ oltre, e continuerà ad andare oltre.
    Ventimila persone e più hanno scaricato il memorandum. Se ne discute, lo si critica, si organizzano incontri pubblici, il più delle volte con cognizione di causa. Nel frattempo, su Nandropausa, ho avuto modo di precisare meglio alcune cose. Prendendo, tra l’altro, come esempio supremo di ciò che intendo per NIE il racconto di Antonio Moresco incluso in “Controinsurrezioni”.

    Il mio memorandum (la parola non è scelta a caso) rifugge programmaticamente qualunque precettistica, dato che è un abbozzo di lettura comparata *a posteriori* di opere *già esistenti* (1993-1998), non di là da venire.

    [Aggiungo, Gianni, che Altieri è citato, come sono citati molti altri autori a me perfettamente estranei, nel senso che non ci ho mai scambiato una sola parola, né li ho mai incontrati. Di alcuni non so nemmeno in quale città vivano. So solo che, toccando legno, sono vivi e che hanno scritto opere che mi hanno stimolato.]

    Opere. In quel testo affermo subito in modo più che esplicito che il focus è sulle opere, non sugli autori.
    Nessun autore tra quelli citati ha scritto né scriverà soltanto opere “neo-epiche”, per questo ha poco senso parlare di club o cricca o circoletto, a meno che non si intenda un club fatto di opere.

    Nel primissimo post sul NIE apparso su carmilla (23 aprile scorso) scrivevo che coniugo New Italian Epic al maschile perché se lo coniugassi al femminile rischierei di presentare un filone parziale come LA nuova epica italiana, mentre per me c’è spazio per tante altre epiche che non abbiano le caratteristiche descritte da me.

    Poi, certo, se qualcuno vuole rimanere fermo alle false accuse e pseudo-obiezioni dei primi giorni, e continuare a leggere nel mio memorandum opinioni opposte a quelle esplicitamente dichiarate e argomentate (il che è facilmente riscontrabile, è nero su bianco), boh, ognuno ha il diritto di praticare lo sport che vuole.

    Per me, lo ammetto, tutta questa rabbia, tutto questo livore, tutto questo pervicace voler commentare una cosa non letta, ecco, per me sono buoni segni.

  37. Sì, hai ragione WM1, mi sono espresso male. Intendevo dire che le opere di Altieri meritavano, a mio modo di vedere, una lunga disanima perché da anni, in solitaria porta avanti una scrittura che pare, oggi a posteriori, calzare in molte parti a pennello con i punti del tuo memorandum.

  38. Ho invitato e continuo a invitare chi rinveniva lacune nel memorandum a colmarle lui/lei. Non mi sono soffermato, ad esempio, sulla “Trilogia di Magdeburg” perché ne aveva appena scritto in modo molto puntuale Girolamo De Michele. Ma chi ti dice che io non abbia quella freccia pronta nella faretra? Tempo al tempo. La discussione sarà molto lunga, perché avere fretta? :-)

  39. Bui, mi fa ridere che non ti periti nemmeno di rispondere a ME, ma, con parentesi quadra, parli a Biondillo. Tipico di quelli come te, peraltro.

    Ti periti solo di metterci il link del tuo discorso della montagna. O qualcosa del genere.

    E’ ovvio Biondillo che la NIE non è un canone. Solo implicitamente lo diventa. O meglio, è canone potenziale. Prudentemente, canone delle opere.
    Cosa c’entri Con la morte nel cuore, per dire, con Gomorra di Saviano sarebbe bello che Bui ce lo spiegasse, ma con valide argomentazioni.
    Io credo che c’entri poco o nulla. Ognuno è libero dio creare i “movimenti” che crede. Anche i totalitarismi sono nati in questo modo, seguendo le opinioni.
    E’ chiaro che gli scrittori si sono sempre occupati di critica, ma non mi risulta che canoni sottaciuti (travestiti da mappature) siano mai stati redatti al riguardo di una corrente letteraria artificiosamente messa in piedi. Perchè il punto è, signori miei, che questa trovata è artificiosa, che non porta a nulla, se non vantaggio e pubblicità a chi l’ha creata. Basta leggerti, Bui, dalle colonne di Lipperatura, che è sempre stata tua riserva di caccia, con la Madame De Stael del quartiere Babbuina (o roba del genere) che ti stende i tappeti rossi. Potete consorziarvi, ma poi non mi venite a parlare di critica, e nemmeno di giornalismo culturale.

  40. Se Biondillo dice una cosa, io rispondo a Biondillo, mica a terzi. Ma la vuoi finire di lamentarti perché non ti cago? E’ dall’inizio di questo thread che non fai altro: non ti ho “preso a bordo” su un’imbarcazione-canone che nemmeno esiste (una… canoniera?), e apriti cielo! :-) Comunque è proprio vero che bisogna rimanere cocciutamente focalizzati sulle opere e non sugli autori. Come ho già scritto a Martina, “Era mio padre” mi è piaciuto, è un libro toccante, ispido, contraddittorio, si possono trovare molte cose lì dentro. Poi leggo gli sfoghi di chi lo ha scritto e mi serve un sospensorio per impedire la caduta dei maroni. Cerca di somigliare più ai tuoi libri e meno alla caricatura dello scrittore frustrato, in questo thread si fatica a distinguerti da Iannozzi, perdìo.
    Vi saluto, sono in partenza per Procida, isola di miti e leggende.

  41. eh, insomma – io per non annoiarmi dovrei leggere “solo” (tutto il resto non discuto sia noia… ma non proprio tutto tutto, dai)… e che è! le opere dei dal signor Biondillo succitati variegati autori… cioè di mezza redazione (nuovi arrivi anche) di nazione indiana? mi sembra molto riduttivo anche quel bouquet lì: conosco alcuni loro testi avendoli letti su queste pagine)
    vabbè. non se ne esce mai da ste impegolature.
    un saluto
    paola

  42. Madame De Stael quella tizia che scarica putide deiezioni sul quotidiano peggiore d’Italia a proposito delle varie Pulsatilla e scemenze del genere? Da vomitare!!!
    Ridateci Marialivia Serini, Paolo Milano, Rosellina Balbi, Giancarlo Marmori, Enrico Filippini…

  43. Non m’interessa molto se hai apprezzato il mio libro, Wu Ming 1. Soprattutto non mi interessa saperlo da questo thread. Hai parlato con Martina… Ricordati che scrivi in pubblico, magari chi ti legge non sa chi è.
    Sei molto meschino a pensare e scrivere, Wu Ming, che sono uno scrittore frustrato perchè non mi hai imbarcato sulla tua barca a remi. Chi se ne fotte. Io ragiono su tutto. Se tu prendi per i fondelli il pubblico, se crei un canone implicito, se fai il furbo e non rispondi alle mie obiezioni ma ti fai bello dicendo che il mio libro ti è piaciuto, ecco, dimostri una volta di più di essere un individuo in malafede. Io mi batto per la Letteratura, spero lo capirai. (E se non lo capirai va bene lo stesso). E guarda, io credo che l’autore sia simile ai propri libri.

    Vai a Procida, vai, e “buona estate”.

  44. cara polvere,
    Girolamo De Michele, Raul Montanari, Marino Magliani, Wu Ming, Sergio Garufi, Alberto Garlini, Giacomo Sartori, Luca Ricci, Andrea Bajani, Marco Missiroli, Biagio Cepollaro non fanno parte della redazione di NI.
    e comunque ovviamente ho nominato i primi che mi venivano in mente, senza ragionare se fossero indiani o meno. Ne mancano tantissimi all’eventuale elenco. Il “tutto il resto è noia” non era inteso: “tutto il resto della scrittura nazionale”, ovviamente, ma “tutto il parlare per frasi fatte”.

  45. carissimi
    devo dire che da saltuario visitatore della nazione indiana provo un po’ di disgusto per tutto quello che ho letto.

    si legge pesantezza, fatica, piccole rivalse – non so se amorose ma a volte lo sembrano- invidie, cappe di vanità e rancore.

    si voleva fare una discussione – chiamatelo pure thread- sulla letteratura sui suoi derivati, i generi, sul ruolo della critica oggi, sulle etichette e le nomenclature.
    si è letto di odio di insofferenza di discorsi relativissimi, ognuno a mungere la propria vacca, ognuno a pensare al proprio pane. e giù insulti.

    non è bello, è squallido cari colleghi. sicuramente non giova il momento storico, ma della crisi dello stallo dell’incapacità di andare oltre tutti questi interventi ne sono manifesto evidente.

    forse può servire rifugiarsi al mare per tornare con idee e parole più limpide e profonde. ma forse serve ripensarci.

    memorie dal sottosuolo, ecco quale grande romanzo mi ricordavano

  46. Gianni, scrivi: “Ho cercato di usare la tecnica di NON parlare di chi NON mi piace”.

    Quindi Paolo Di Stefano ti “piace”.

  47. Franz, ti dico la verità, da un po’ di mesi mi sembri Nanni Moretti in quel film… ora non ricordo il titolo, comunque a un certo punto Nanni decide che vuole litigare: esce di casa e becca il povero Silvio Orlando che sta girando uno spot sulla pasta al sugo.
    Insomma non è che WM abbia tutti i torti.
    Tra l’altro la cosa è così evidente che susciti l’effetto opposto, viene da portarti in un bar per offrirti una birra…

  48. @in pillole

    … e pensare che trovo il thread in questione civilissimo. Noto (ma forse mi è stato fatto notare…) che ci sono poche femine tra i commentatori. Diciamo allora che si gioca maschio ma mi sembra col beneficio del terzo tempo…

    effeffe

  49. Sai, Giulio, sì, in un certo senso sì. Credo che Di Stefano sia sincero nel suo non voler perdere le tracce degli scrittori, piccoli o grandi del nostro passato. Lo reputo un interlocutore degno e proprio per questo gli chiedo di non cadere nella tentazione del qualunquismo letterario.
    Io di lui non ho personalemente nessuna ragione di acredine. Era dell’articolo in questione che parlavo.
    Ovviamente, laddove stimolato da un eventuale, ipotetico, pezzo dove venissi tirato in ballo in qualche modo (o reputassi che vesisse, secondo me, fatto un torto a chi non lo merita) da qualche scrittore/intellettuale, etc. che non apprezzo probabilmente non mi esimerei dal replicare. Ma non è nel mio stile fare “la prima mossa” tanto per fare cagnara.

    Mi viene in mente, ora, l’anno scorso, la discussione e la mia lettera aperta a Sgarbi. Si parlava di una inziativa, BIG, degnissima che non trovava fondi. lo trovai ingiusto, per questo scrissi quella lettera. Non avevo nessun interesse personale sulla questione.
    Tendo ad infervorarmi sulle questioni di principio, piuttosto che su quelle che riguardano la mia persona.

  50. Barbieri, che ti devo dire? Se tiro fuori la grinta sono uno che vomita bile e vuole fare la rissa a tutti i costi. Se mi batto (sicuramente invano, e perdendo tempo) per quello in cui credo con vigore forse esagerato sono un violento.

    Il bicchiere lo accetto molto volentieri, ma guarda che io sono molto più tranquillo di quanto pensi. Demoralizzato da certi commenti, ma tranquillo.

  51. Signor Roberto Bui, 20000 download sono niente. Il mio blog principale, jujol.com – visto che tanto lei si fa tanta propaganda ancora, me la faccio un pochetto anch’io ^___^ – fa 1.000 accessi unici giornalieri. E non mi chiamo Wu Ming. Ed è un blog nato da sei mesi.

    Non tocca a noi evidenziare le lacune del NIE.
    Non pensi a noi come a dei disonesti, perché purtroppo per noi ci siamo sorbiti quello che Lei ha scritto insieme ai suoi colleghi, punti e virgole comprese. Ma stringi stringi la sostanza è quella già espressa in luogo di commento qui.

    Poi Lei può continuare a crogiolarsi nell’idea alienante che il NIE non sia stato letto e tirare su quella sua aria spocchiosa, di quello che non risponde e passa avanti con indifferenza però non senza prima dire “Per me, lo ammetto, tutta questa rabbia, tutto questo livore, tutto questo pervicace voler commentare una cosa non letta, ecco, per me sono buoni segni.” Questo è solo il segno di chi è in malafede e ha in sospetto chiunque non condivide le sue idee.

    Si rilassi. Oppure no.
    Per me non c’è altro da dire né da aggiungere: tanto l’imputato principale chiamato in causa o non risponde o si crogiola nel ruolo di sédicente vittima.

    ‘Notte

  52. @ signor Gianni Biondillo

    si. è un terreno più facile da “attaccare”, che invece “a cui attecchisca” . e parlo anche per me, che spesso scrivo un po’ con faciloneria (appunto vedi l’ apponto che ti ho mosso: un appuntino, va, un acidino)
    difficile citare e tenere dentro tutti – difficile citare e lasciare fuori qualcuno-. questioni spinose.
    grazie della risposta, ad ogni modo, ho inteso meglio quello che intendevi
    un saluto
    paola

  53. ‘Tendo ad infervorarmi sulle questioni di principio, piuttosto che su quelle che riguardano la mia persona.’

    Eccheccavolo Gianni, fallo dire agli altri almeno…

    @ Franz, lo so che sei tranquillo, e la tua incazzatura è per così dire esistenziale.

  54. Il film era Aprile, ma il paragone non mi pare avere senso…
    Perché accusare uno scrittore che manifesti di non condividere il punto di vista critico espresso in una “canonizzazione”-“manifesto”, accusarlo di farlo perché non sarebbe stato incluso è poco logico oltre che meschino: dov’è l’accettazione ideologica del dibattito? Da parte di chi fa, peraltro, di quasi tutto una tediosa questione ideologica, come fanno i Wu Ming? Cosa risponde Wu Ming 1 ai partecipanti agli “incontri pubblici” organizzati per discutere del “memorandum” sul NIE quando non sono d’accordo? Se sono scrittori li liquida dicendo loro che hanno rosicato perché sono stati esclusi dal NIE? Nemmeno Silvio Berlusconi darebbe una risposta del genere per accantonare la critica che tanto poco gli piace…

    Diciamoci piuttosto un po’ di verità: riunire in un pacchetto e soprattutto attaccare un’etichetta (NIE, la gioventù cannibale, i racconti di ragazze che dovreste conoscere, il romanzo sul call-center) è innanzitutto una codifica commerciale, è notorio, lo sanno anche i mattoni dei muri delle sedi delle case editrici e dei giornali. Dunque perché non ammetterlo e poi procedere, magari, ad affrontare il discorso da un punto di vista critico-letterario?

    Trovo tristissimo che colui che dissente è sempre etichettato d’essere un livoroso o un imbecille, che le sue ragioni non vengono mai ascoltate, esattamente come fa chi detiene il potere nei confronti di quello che considera il popolino, ed è assurdo che questo malcostume liquidatorio sia esercitato proprio da chi fa di una stra-dichiarata dissidenza nei confronti delle regole che regolano il sistema commerciale editoriale la propria (in realtà commercialissima) bandiera di a-commercialità.

    E in tutta sincerità trovo tristissime le etichette che fanno il verso a quelle americane: New Italian Epic non è tanto diverso da Spaghetti Western.

  55. ciao

    leggo solo ora. Oggi ero lontano dal pc.

    concordo con Gemma Gaetani

    E chiudo con una piccola cosa tutta mia. Un esempio per me indicativo. Mi aiuta a distinguere colui che vuole discutere da chi desidera solo far scena.

    All’inizio, prima che mi girassero le scatole (cft Wu ming 1), ho accennato alla crisi del romanzo. Concetto non mio. Concetto non nuovo. Potrei fare una lunga lista di critici e scrittori (così su due piedi mi vengono in mente alcuni articoli di Mengaldo e alcuni saggi di Kundera. MA effeeffe ne sa più di me) senza dover “morire nelle fantasie degli allucinati”.

    Però vorrei farvi notare la confusione critica e storica in Wu ming 1. (Vedi il secondo commento del nostro: Pubblicato 7 Luglio 2008 alle 18:57)

    Ho parlato di crisi non di fine del romanzo (come bene ha evocato il grande effe effe). Le parole hanno un significato, credo. Ho scritto crisi, non fine.

    wu ming1 scrive:

    “***La “crisi del romanzo” ***e della letteratura è il cliché più frusto di tutti, ed è nato insieme al romanzo. E’ come il declino dell’Occidente: è iniziato insieme all’idea stessa di Occidente. Nulla di nuovo, è la vecchia geremiade reazionaria del “Che tempi!”. Ogni decennio ha conosciuto il proprio dibattito sulla*** crisi del romanzo***, mentre il romanzo se ne fotteva e continuava bellamente a evolversi, forzare le proprie regole, tradire le aspettative dei custodi/congelatori del canone. ***Il romanzo era già finito ***negli anni dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, soprattutto settanta, e poi ottanta, novanta, ed è*** finito pure adesso***, e ogni volta la profezia che cercava di auto-avverarsi […]

    a me pare chiaro che Wu ming 1 sia troppo preso da sé per capire che una cosa è dire “fine”, un’altra è dire “crisi”.

    Tuttavia, Wu ming 1 dovrebbe sapere (?) che il cammino del romanzo occidentale (moderno) è una successione di crisi, altrimenti non ci spiegheremmo come da Don Chisciotte si sia giunti a kafka, passando per Balzac e i russi.

    Mentre della fine del romanzo ne hanno parlato i futuristi, i surrealisti e la neoavanguardia (ma su quest’ultimi ho dei dubbi). Certamente non io.

    Il romanzo non muore, non scompare, ma a volte la sua “successione di scoperta” si arresta e “riproduce la forma svuotata del suo spirito” (Kundera).

    A me interessa capire a che punto siamo. domandavo.

    Ingenuamente l’ho chiedevo a Biondillo prima che lo showman Bui inscenasse il suo spettacolo senza una pur minima attenzione critica. Quindi, senza nessun desiderio di dialogo. Peccato! Comunque, speriamo che l’uomo Bui non assomigli ai suoi romanzi (vuoti).

    Scusate.

    Saluto i redattori di NI e chiudo.

    Francesco.

  56. Gemma ciao!
    mi fa piacere risentirti, davvero.

    Tu dici che NIE è una ‘codifica commerciale’. Mettiamo che questa sia l’intenzione di WM1, anche se io avrei un bel po’ di dubbi che tutto non sia un sincero tentativo teorico.
    Resta il fatto che in libreria qualcosa è arrivato. Non sono un fan di noir e simili, però per esempio Lucarelli secondo me è sconvolgente, sento le sue cose come importante letteratura civile. E quello che fa in tv, i suoi bellissimi programmi, li sento come la continuazione della sua scrittura. Oppure i libri ‘storici’ di Evangelisti, non sono importanti? non è ‘letteratura’?
    Oppure la scrittura di Saviano, che secondo me è assolutamente testimoniale e ha il pregio di non fare mito dei fenomeni che racconta, però bisogna riconoscere che arriva al lettore con una forza particolare, che non si era mai vista. Perché è così?
    Ecco, tutto questo ‘è’, lo abbiamo davanti agli occhi. Allora se NIE non va bene, bisogna smontare quel testo con la stessa pazienza con cui è stato costruito, cioè evitare di criticarlo dicendo semplicemente ‘etichetta commerciale’.

    La mia idea di libreria è un luogo in cui, faccio solo un esempio, i libri di Lucarelli e Evangelisti convivono con quelli di Voltolini Moresco, e con le storie disegnate di Gipi e Igort. La cosa divertente è che magari sui giornali infuriano battaglie montate, mentre nella realtà spesso tra gli autori c’è stima reciproca e amicizia, come tra Lucarelli Voltolini e Igort, o tra Evangelisti e Moresco.

  57. Vorrei anche dire una cosa su Franz.
    Nonostante mi sia capitato di litigarci, per Franz ho una sotterranea stima per le sue scelte di vita, per quello che scrive e anche per alcune cose che fece in rete.
    Faccio un esempio. Due anni fa, quando una persona prudente sarebbe stata zitta e avrebbe lisciato, specialmente avendo in cantiere un noir, Franz intervenne sulla questione noir-realtà per dire che era un vecchio mantra quello per cui il noir oggi sarebbe il miglior modo per raccontare la realtà. Sono cose che a me restano impresse.

  58. Nazione indiana è una straordinaria costellazione. Penso che la questione della letteratura è pensata con sincerità nel blog.
    Penso anche che dentro si ascoltano voci che saranno essenziali.

  59. Sarò lunga.

    Per “codifica commerciale” intendevo una maniera (e non a caso dico “maniera” e non “modo” o “modalità”, sarebbe a dire che dico “maniera” perché si tratta dell’esercizio di una tecnica vecchia come il cucco, si potrebbe addirittura compilare una Storia della Maniera degli Scrittori di Far Parlare di Sé), una maniera, dicevo, di porre gli scrittori sotto il naso di un sempre più disinteressato e inesistente pubblico che faccia incuriosire questo gruppo che versa in stato comatoso, e quindi lo invogli a comperare. Tizio non è più soltanto Tizio, è Tizio che per Wu Ming 1 è un rappresentante della NIE. Caio non è soltanto Caio, Caio ha detto Sempronio che. E così via. Non colpevolizzo a priori tutto questo, ma se voglio esaminarlo devo dirmi che accade per una ragione semplice e triste: il mondo, della letteratura, della scrittura, fa benissimo a meno. Chi legge davvero è davvero una minoranza, forse inferiore perfino a quella minoranza che scrive. Inoltre non c’è contatto reale tra reale critica e reale pubblico (cioè la massa, quella che ti compera tutte le copie di una prima edizione di una sconosciuta Pulsatilla e la fa diventare un caso “letterario”, quella che compera Moccia e Faletti e che non saprà mai chi sono Francesca Matteoni e tanti altri), o qualcuno vuol sostenere che oggi sui giornali si faccia VERAMENTE, MA VERAMENTE la critica letteraria? Di quali libri m’informano i giornali, di quali libri che non siano usciti meno di sei minuti prima che il giornale stesso vada in stampa? Quali saggi critici coi controtesticoli mi vengono spadellati su quei giornali che anche i cittadini tengono in vita pagando le tasse? O forse non sapete che anche i giornali usufruiscono di sovvenzioni che li tengono in piedi?
    Mentre in passato il testo critico (mappatura, manifesto, antologia commentata, manuale, memorandum, in qualsiasi forma esso s’inverasse, anche se dubito del fatto che Benedetto Croce avrebbe mai potuto stilare un memorandum) era un testo critico appunto coi controtesticoli, e il dibattito che avveniva anche sui giornali era altrettanto sostanzioso, volto a fare il punto sullo stato delle cose letterarie di quella cronaca della letteratura che poi forse sarebbe diventata la storia della letteratura, oggi lo scrivere della scrittura altrui assume sempre più la forma e la sostanza del consiglio per gli acquisti. L’intensità di grado che oggi, a chi voglia parlare di letteratura, è permessa, è minimissima. Si deve intrattere, cazzeggiare, preferibilmente provocare così una polemica permetterà un altro pezzo di risposta e il cadavere della critica resusciterà per un paio di settimane. Intanto, il mondo se ne frega. Nelle librerie i classici sono stipati nel numero di una copia che viene prontamente sostituita appena venduta, gli esordienti nel numero di una copia che se non vende entro un mese verrà resa indietro, esistono soltanto le novità a inciampare il passo di qualcuno che trovi ancora la libreria un posto da frequentare. Il dibattito intorno a Metello, citato da Francesco Sasso, si studia ancora oggi, i “dibattiti” che leggo oggi in giro non credo che verranno studiati fra decine di anni, e mi auguro con tutto il cuore che non lo siano.
    Ora non è che ci possiamo impiccare ad un palo per tutto questo: il vero appassionato un po’ come il tossicodipendente sa sempre dove andare a rifornirsi, sa dove e come trovare ciò che vale, e sa che quando non trova roba buona si deve sucare anche la robaccia. Ma ciò che mi appare un adeguamento a questo sistema degradato e ipercommerciale delle cose è quando gli stessi scrittori o i loro amici, fratelli e cugini diventano gli autori di quelle che si dichiarano “ricognizioni critiche” che raramente lo sono davvero, e che al contempo negano di avere e di voler avere effetto anche e forse soprattutto come: indirizzamenti d’acquisto presso il pubblico.
    Io non sono nessuno per sapere se il lavoro di Wu Ming su NIE è sincero o meno, per quanto non stimi per nulla il loro lavoro letterario che non mi piace e mi indispone per tutta quella presunta “ideologicità” e “politicità” che fa da collante, perché per me lo scrittore vero è un solitario, e ha repulsione di parlare di sé e di teorizzare intorno a sé, non può di questo fare un progetto che poi è anche un’idea di marketing, volenti o nolenti, e non ama l’idea di essere venduto. Ma è certo che se mi tocca leggere una risposta come quella data da Wu Ming 1 a Franz, allora non m’importa più di andare a leggere il memorandum sul NIE: in me decade ogni desiderio di dare fiducia a colui che si dichiara santo, intanto linka il link, poi zittisce il dissidente e infine saluta, ché deve andare a Procida. O forse a Procida ci va per scrivere in loco un saggio critico sull’Isola di Arturo che poi il mondo potrà scaricare gratis dal Web?

    Ripeto: niente di personale, ma se si deve parlare di stato delle cose letterarie e critiche, be’, che se ne parli veramente… Che come si dice che se Faletti non fosse stato già noto il suo primo romanzo non avrebbe fatto notizia, al di là del suo valore prettamente letterario o semplicemente narrativo, si dica che se Saviano non avesse pubblicato con Mondadori e non avesse ricevuto minacce e di conseguenza una scorta non sarebbe arrivato presso le case di chi non legge mai un libro e le scuole, al di là del valore prettamente letterario o semplicemente narrativo di Gomorra, che si dica che Carlo Lucarelli non sarebbe diventato noto quanto noto è oggi se non fosse passato per la tv, al di là del valore prettamente letterario o semplicemente narrativo di ciò che ha scritto, che si dica che se i Wu Ming non si fossero inventati il collettivo di scrittori quando ancora si chiamavano Luther Blisset nei centri sociali e in ogni libreria non troveremmo i loro libri in vendita, al di là del valore prettamente letterario o semplicemente narrativo di ciò che hanno scritto. Tutto questo non è una colpa, almeno per me, ma che lo si dica. Tutti sono nudi oggi, non solo i re, e che lo si dica. Perché la storia che uno critichi negativamente per invidia è veramente patetica.

    Un’ultima cosa riguardo al “collettivo”: sul sito, sulla biografia, leggo:

    Questa la dicitura presente sui libri di Blissett/Wu Minga partire da Q:
    “Si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.”

    Ora mi si deve spiegare che rivoluzione, che scelta anticommerciale sarebbe permettere di fare delle fotocopie di libri che per leggere per intero devo comunque comperare in libreria. Non ch’io pretenda di avere gratis quei romanzi, ma mi si spieghi dove finisce l’esca del copyleft, perché per me non finisce, è un’esca punto e basta, e non mi pare diverso da quanto il governo attuale ha fatto per aiutare chi non ce la faceva più a pagare un mutuo a tasso variabile che in pochi anni è aumentato rovinosamente: non la riduzione per legge dei tassi, magari con effetto retroattivo, ma la dilazione nel tempo del totale comunque dovuto fino ad oggi. Questo è un aiuto? E quella è una rivoluzione?

  60. Riporto una frase di Antonio Gramsci da “Letteratura e vita nazionale”:

    “E’ proprio del dilettante, nei personaggi di un’opera d’arte, andare a cercare le intenzioni oltre la portata delle espressioni letterarie dello scritto”.

    Questo continuo accanirsi sulle intenzioni nascoste, sui disegni occulti ecc. di questo e di quello è da dilettanti. Si discuta sulle parole, sulle idee, sulle affermazioni, sugli stili, sui contenuti.

  61. Poi non ho altro da aggiungere.
    Tu forse non volendo centri il problema, Baldrus, citando queste parole di Gramsci. I personaggi un tempo erano nei romanzi. Ora sono fuori, interpretati dagli scrittori. (E dagli editori, e dagli editor, e dai critici e dai presunti tali). Notarlo a mio avviso non è affatto da dilettanti. Fingere di non saperlo, addirittura negarlo, lo è.

  62. biondilli vari, che palle !!!
    magari ce ne fossero ancora di quelli come byron, che anzichè rimbalzarsi dalle pagine di un giornale all’altro si davano appuntamento l’alba del giorno seguente, in piazza, per sfidarsi col fioretto o darsele di santa ragione.

  63. Sull’attuale stato della Letteratura italiana…

    Sull’attuale stato della Letteratura italiana
    Appunti a uso e consumo di Biondillo e Wu Ming 1
    di Giuseppe Iannozzi
    Signor Gianni Biondillo,
    non condivo una sola acca di quello che Lei ha scritto, cercando invano di portare acqua al suo mulino in n…

  64. “Si vede che quando rode il culo ogni panchina ricorda il male”.
    questa formulazione è bella & profonda, mi piace.
    mi resterà impressa, senz’altro.
    più di Manituana, perfino.

  65. A volte Roberto Bui ci regala delle perle di saggezza: “Si vede che quando rode il culo ogni panchina ricorda il male”. (già evidenziata da Tash) Speriamo che non s’inalberi e venga qui a dire che tanto sono perle buttate ai porci. :-D

    Concordo con te, Tash: una simile perla vale più di tutti i libri dei Wu Ming. E’ che entra dentro. ;-)))

  66. Non sono un fan dei WM e con Bui mi sono scannato un sacco di volte. Però il lavoro di qualcuno va tenuto distinto dalle antipatie (e anche dalle simpatie) personali.
    Sto leggendo per esempio “Stella del mattino” e lo trovo un bel lavoro. Diverso da molte cose che mi piacciono, con una lingua che non osa nulla, con un immaginario non particolarmente dirompente, eppure sentito e bello. Mi fa piacere leggerlo, sono contento che WM4 lo abbia scritto.
    Allora paragonare una battuta di WM1 al lavoro di scrittura di Manituana, per trarne la conclusione che il libro non vale nemmeno la battuta, è un comportamento intellettuale che fa cascare le palle fino al nucleo terrestre.
    E la cosa buffa è che molta gente semplice, senza pubblicazioni alle spalle, sa trattare con più rispetto e perfino più rigore intellettuale i libri.

  67. Grazie Andrea Barbieri. :-)

    Contento che ti piaccia “Stella del mattino”.

    Ma noi poveri mortali, che non siamo Wu Ming né Leonida o Nerone o Giulio Cesare o Napoleone, dicevo, noi poveri mortali senza una pubblicazione alle spalle – però se pubblicassi venderei almeno 5 volte tanto, altro che! – le sparate di Bui, che pensa sempre male e che pensa sempre che ci siano dei livorosi pronti ad attaccarlo tanto per attaccarlo alle spalle, bene, dicevo a noi simile comportamento ci dà fastidio. Fastidio, che è una cosa diversa dal livore di cui si crede vittima Bui. T’è chiaro il concetto?

    Non c’è proprio più un piffero da aggiungere, tanto più che la mia era una battuta: leggi gli *** smiles ***. O forse pensi che i Wu Ming e i chi gli ruota intorno sia intoccabile, che non possa essere soggetto a una battutina tanto per sdrammatizzare? e che solo chi è targato Wu Ming o giù di lì possa aprire becco e aprirlo per giunta male?

    Ecco, adesso sì che mi stanno cadendo le palle “al centro della terra”, un viaggio trito e ritrito che conosco a memoria e che vorrei evitare, quindi mi ritiro nei miei appartamenti.

    Iannozzi

  68. barbieri.
    distinguere una battuta da un pezzo critico non dovrebbe esserti difficile.
    lo stesso non ti si chiede per i buoni e i cattivi libri, voglio dire non è obbligatorio.
    nemmeno per il wu n. ecc. era obbligatorio avere un simile scatto d’orgoglio e formularlo in modo così elegante.
    non ho letto nulla di questa discussione, nemmeno il post di biondillo.
    mi è solo caduto l’occhio sulla cosetta del wu e ho pensato: ma avrà fatto parte del “gruppo” che ha scritto manituana?
    e poi ho pensato: se sì, di quale rodimento parla?
    del suo?
    in ultimo: chi è andato in libreria e ha pagato per un libro e lo ha letto fino a pagina 182 (mi pare) ha anche diritto di ironizzare per le vie brevi, qualora non gli sia piasciuto.
    o no?
    ultimissima domanda: è SEMPRE necessario attrezzarsi per un pezzo critico, per passare la notte al computer col caffè a portata di mano, oppure possiamo usare ancora la parola “brutto” e passare ad altro?

  69. Tash, che c’entra il pezzo critico?
    Qui c’entra la distinzione tra battuta intelligente e battuta che è soltanto greve. Quei mattoncini di carta che sono i libri, belli o brutti sono comunque anni di lavoro: meriteranno un po’ di acume, di attenzione no?
    Del resto questo è anche l’argomento del topic se non sbaglio…

  70. Barbiere di Siviglia :-D,

    nessun libro è sacro. Il libro è libero, è quindi del lettore che l’acquista e se lo fa come meglio crede. Daniel Pennac insegna in tal senso. Ovviamente tu puoi riscaldarti, eccitarti anche, perché si è fatta una battuta sui Wu Ming, che peraltro prendono a pesci in faccia tutti, peggio di Cristo che scopre la moltiplicazione dei pesci. Wu Ming 1 è stato qui interrogato, gentilmente, non solo da me, ma Roberto Bui, nella sua riconosciuta signorilità, ha pensato bene di sparare dalle parti basse e di rispondere solo a chi gli è convenuto a lui. Forse crede che così si renderà simpatico o che finalmente gli si darà il ruolo di agnello sacrificale; ma può sognare quanto vuole perché un simile privilegio non glielo concederà nessuno mai. Non è un agnello, non è bianco, non è vergine, non è nemmeno nero, è uno dei tanti al pascolo, quindi non si vede proprio perché lo si dovrebbe investire del ruolo di agnello sacrificale. Uno, un ruolo così se lo deve meritare sul serio e i Wu Ming sono tutt’altro che vittime.
    Piuttosto che impari un po’ di umiltà e di signorile disponibilità verso tutti portando risposte a tutti, invece di rispondere solo a chi gli sta simpatico o gli fa complimenti spropositati.
    E le battutacce gravi, da bettola di quart’ordine, qui, caro Barbieri, le ha fatte solo Wu Ming 1. Mettiamoli ‘sti diavoli di puntini sulle “i”, almeno di tanto in tanto.

    Iannozzi

  71. Non sto dicendo che il libro è ‘sacro’.
    Sto dicendo una cosa semplicissima: verso il libro è più costruttiva l’attenzione della disattenzione.
    Sembra una cosa ovvia, ma evidentemente non lo è se Biondillo scrive una lettera a Di Stefano chiedendogli di essere più attento; se si parla così facilmente di libri non letti; se spesso il giudizio di un ‘non addetto ai lavori’ è più vivo, o addirittura più acuto, di quello di un ‘addetto ai lavori’, eccetera.
    Ecco, molto volentieri aspetto da te, Iannozzi, o da Tash o da chiunque altro un’argomentazione che mi convinca che sono nell’errore, che è meglio essere disattenti verso i prodotti culturali, piuttosto che attenti.
    Sono qui, aspetto con le orecchie dritte…

  72. ciao Andrea,

    Ho una curiosità. Fuori tema.

    Entrambi apprezziamo lo scrittore Moresco, se non erro.

    Ricordo che nel 2005 (tre anni fa), in Lo sbrego, Moresco scriveva:

    “L’arte per l’arte, l’arte per l’arte… io non ne posso più di queste chiacchiere da professori! Cosa se ne fa un artista dell’arte? Tutti questi scrittori che si prendono per il culo da soli con delle piccole formule, si danno da fare per rendere il lavoro più facile agli abatini.”

    Qualche giorno fa scopro che, secondo Wu ming 1 e il suo promemoria, vedi NANDROPAUSA #14/15, anche Moresco ha scritto un opera New epic.

    “Questa è senz’altro una delle opere più pop di Moresco.”[…] “A conti fatti, L’insurrezione rispetta tutte le premesse e ben 6 su 7 caratteristiche distintive del New Italian Epic. Ciò colloca questo racconto al pieno centro della nebulosa. Il che non significa che Moresco stesso stia al centro della nebulosa, che Moresco stesso sia… “neo-epico”. Il New Italian Epic non è un movimento di autori, ma un campo elettrostatico prodotto da un insieme di opere. Parlare di “autori neo-epici” è un’idiozia, l’attenzione va posta sulle opere, e il medesimo autore può scrivere opere diversissime tra loro per intenti, mezzi espressivi e risultati.”

    Anche l’ultima fatica letteraria (non lo scrittore in toto, attenzione) galleggiare “al pieno centro della nebulosa” del New Italian Epic.

    Ho sorriso… chissà se lo scrittore mantovano prenderà una posizione chiara a riguardo come ha fatto Franz o Scarpa (ognuno a modo suo). Oppure pensi che, come scrive Biondillo, “I miei silenzi su certi scrittori sono il mio modo di dire la mia.” ?

    Oppure quelle righe di Moresco non offrono presa all’interno della corrente della sua vita?
    Insomma, letteratura, parole messe lì per ingannare il lettore. Frasi ad effetto.

    Le mie sono chiacchiere estive.

    Saluto tutti

    francesco

  73. Non so se posso intervenire lo stesso, a prescindere da quello che dirà Jannozzi.
    Rimetto in fila le tessere di questa coda di polemica nella quale mi sono andato a cacciare per pura, genetica, rissosità.
    Leggiucchiando i commenti a un post che non ho letto, mi cade l’occhio sulla formulazione del Wu Ming circa il rodimento di culo, che mi pare supponente et prevaricante: insomma, giuro che non so di cosa si stesse parlando, ma introdurre ad un certo punto di una discussione l’insinuazione non velata che il mio interlocutore sia roso dall’invidia (rodimento di culo, sic) non è bello.
    La cosa non mi riguardava, quindi potevo lasciar perdere, poi mi sono ricordato di Manituana, di quelle ferali 192 pagine (non 182, ho ritrovato il segno) e non mi sono tenuto.
    Uno che pensa che lo si invidi, non ostante abbia scritto, o partecipato alla scrittura (collettiva: è dai dai tempi di fruttero & lucentini che sono curioso di sapere come si fa a scrivere a molte mani), di Manituana, forse ha tralasciato qualche essenziale elemento di valutazione, di quelli che ci aiutano a definire il nostro posto nel mondo.
    Non arriccio mai il naso quando una formulazione efficace e acuta è anche volgare, o più semplicemente vera (vedi caso Guzzanti/Carfagna), me ne frego della volgarità, ma gonfio i miei flaccidi muscoli al primo accenno di supponenza, altrui.
    Della mia mi accorgo spesso, non ne sono esente.
    Barbieri scrive
    «Quei mattoncini di carta che sono i libri, belli o brutti sono comunque anni di lavoro: meriteranno un po’ di acume, di attenzione no?»
    La risposta è no.
    Non sono tenuto a sapere quanto tempo e quanta fatica, applicazione, lavoro, ha richiesto un testo. Un film, un quadro, eccetera.
    Come lettore, spettatore, osservatore dell’arte, l’unica cosa che sono tenuto a fare è a tirare fuori i soldi per comprare un libro, un biglietto.
    Poi la mia attenzione deve guadagnarsela l’opera.
    Se non ci riesce, amen.
    192 pagine non sono poche: se un libro è bello, se ti piace te ne accorgi.
    Manituana si è preso parecchio del mio tempo (leggo lentamente) e lo ha sprecato malamente.
    Ho guadagnato il diritto al giudizio estetico, o se vuoi di gusto (raggruppamento bello/brutto).
    Che naturalmente è diverso, come sai, dal giudizio critico (riuscito/non riuscito/importante/eccetera) del quale non sono capace e che comunque nella specie dei fatti non mi interessa.
    Sto andando su un terreno minato, mi fermo qui.

  74. Non ho mai detto di essere disattenti nei confronti dei libri, o dei prodotti culturali.
    Dove l’avrei detto/scritto?
    Non è però pensabile che si dedichi attenzione superflua a uno o più autori. Né si può pretendere che la Critica dedichi ai Wu Ming un tempo maggiore rispetto ai tanti tantissimi scrittori che eppur ci sono in Italia.

    Il Signor Biondillo ha ricevuto già delle risposte da parte mia. Tuttavia non le ha prese in considerazione, ed è passato oltre. Di certo non si può poi lamentare e scrivere lettere a Di Stefano, quando dimostra d’essere tra i primi duri d’orecchio. Forse qualcuno pensa che l’indifferenza spocchiosa possa in qualche modo contribuire ad assurgere autori e libri: ma così, è mio parere che si indispettisce solo il lettore e il critico, anche il più santo o sulla via della santità, nonché il più micragnoso. Il discorso è che simili atteggiamenti dànno fastidio, molto. Sono dell’avviso che così non ci si conquisti il pubblico né la critica, a prescindere da quello che uno possa o no pensare del New Italian Epic.

    Wu Ming 1, ma anche altri (vedi Genna, ad esempio), ha in un modo o nell’altro lasciato a intendere che non si leggono i loro libri, che non si legge tutto quello che loro scrivono sul New Italian Epic, e che eppure ci sarebbero tanti – fra cui anch’io – pronti a criticarli. Se a loro fa piacere crogiolarsi nell’idea del tutto sbagliata che non li si legga per così tentare di ascendere tra chi agnello sacrificale, che si crogiolino pure, però nessuno mai – lo ripeto – gli concederà un ruolo che non è loro.

    Ora, sinceramente, smettendo i panni del critico e indossando quelli di un perfetto essere umano che si sente dire simili castronerie:

    “Cerca di somigliare più ai tuoi libri e meno alla caricatura dello scrittore frustrato, in questo thread si fatica a distinguerti da Iannozzi, perdìo.”

    e “Si vede che quando rode il culo ogni panchina ricorda il male”…

    e via di questo passo, qui, o altrove… BIP.

    Chiudendo il discorso una volta per tutte: era uso degli spartani gettare in un dirupo gli infanti malformati o deboli che fossero, senza pensarci su due volte. La critica, una Critica seria, ha il dovere deontologico di indicare quei testi che sono malformati e di non consigliarli al pubblico. Tutto qui. Evidentemente la severità della Critica non è piaciuta ad alcuni scrittori e così hanno pensato bene di costituirsi nel NIE. Il risultato? Chi farebbe parte del NIE si critica da sé. Le critiche sono acriliche, nel senso che ogni autore del NIE è detto fondamentale se non di più… eccetera, eccetera…

    Se vado all’Opera e il tenore stecca, piovono i fischi. Se vado allo stadio e i Radiohead steccano di brutto, i fischi piovono. E’ giusto che sia così.
    Sono d’accordo con Tash: il suo discorso non fa una piega. Tiro fuori i soldi per il libro, sono dunque padrone di farne quel che voglio: libro libero. Anche di emettere una mia impressione di lettura che non piacerà magari agli autori. Ma tant’è.

    Mi sono guadagnato di slegarmi da questo thread, a questo punto: risposte non sono venute dagli interessati, e si continua a perdere tempo, a mio avviso, su delle cavolate, su delle acrimonie dei Wu Ming, ecc. ecc.

    Buona estate

    iannozzi

  75. Boh!
    Forse Il Mente è Roberto. :-D

    In effetti si sente solo lui urlare in rete: “Wuminghiani, vincere o morire!” :-D

    Comunque bisogna che spezzi una lancia in favore di Wu Ming 4: “Stella del mattino” è il più bello dei romanzi solisti dei Wu Ming, forse migliore, per certi versi, dei lavori collettivi, escludendo però “Q”. Intendiamoci, non è “Guerra e Pace” di Tolstoj, ma è intrigante. Speriamo solo che non venga rovinato dal peso del NIE. Sarebbe un peccato.

  76. Ho leto qualche Wu Ming, Luther Blisset e via dicendo.
    La sensazione è stata quella di trovarmi davanti dei libri artificiali surgelati.
    Sogliole clonate messe nel congelatore.
    Ma di narrazione vera, carne e sangue, di quella che fluisce da sola quasi per libera spontaneità, neanche il più vago sentore/sapore.

  77. Io non sono salito sul Sinai, però adesso, per esempio – ed è soltanto un esempio – sto leggendo il Malamud di “Una nuova vita”. Ed è un’esperienza sorprendente e straordinaria. E’ sorprendente e straordinario come la “letteratura” possa essere intelligente e ironica, malinconica e comica, geniale e vera. Molto più vera di tanti polpettoni pseudorealistici che ci vogliono far ingollare.
    Di fondo, volendo semplificare., è sempre una differenza tra “narrare” e “dire”: ci sono scrittori che hanno il dono della narrazione, altri che invece, non avendolo, si limitano a dirle le cose, a enunciarle. E a presupporre una realtà già data, non a istituirne una propria. Con proprie leggi e infrazioni.

  78. Se una mappatura critica s’ha da fare che sia chiara e libera e non serva di se stessa.
    La risposta di WM a FK è stata una pessima risposta,ne ho provato vergogna,ma anche un’ulteriore conferma che se anche ci fossero punti di riferimenti critici attualmente, non andrei a cercarli nel NIE che devo dire ha dalla sua l’essere accattivante, moderatamente trendy e poi vuoi mettere : NEW ITALIAN EPIC by WU MING….più snob di così…

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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