LUNGO VIAGGIO DALL’OSCURITA’ – per Carlos Montemayor

di Danilo De Marco

O probabilmente ci troviamo dentro la pagina bianca del suo viaggio/là alza le braccia e ci chiama/ siamo parte di quella festa che non finisce/ parte di quel lungo viaggio che/ continua a cercare e accogliere ciascuno di noi./ Lo scorgo laggiù, lontano./ Alzo la mano per salutarlo./ Pur sapendo che viaggia fra di noi.
Con queste parole Carlos Montemayor ricordava Tito Maniacco meno di un mese fa, mentre lui stesso era gravemente malato di cancro allo stomaco.
Quando mi presentai a casa sua nel 1996 a Citta del Messico, non servirono molte parole. Carlos Montemayor mi accolse come gli uomini accolgono gli uomini.
Raramente ho incontrato un uomo, un grande intellettuale, un poeta, uno scrittore più umile di Carlos Montemayor. Umile nel senso etimologico della parola,che proviene dal latino humus, terra. E come la terra generoso. Perché Carlos è stato e rimane nel nostro comune viaggio uno degli uomini più generosi, altruisti, disponibili, attenti e sensibili alle necessità del prossimo che io abbia conosciuto. E questo non è poco in tempi di egoismo sfrenato, di disinteresse verso il prossimo, di megalomanie da spettacolo da quattro soldi. Di mancanza completa, se non addirittura di derisione di una ‘pietas’ nei confronti dell’esistere.
Carlos Montemayor è stato e rimarrà – pur sapendo che viaggia tra di noi – anche un combattente tenace, deciso, senza alcun timore nell’affrontare e denunciare le malefatte dei potenti. E non senza tenerezza quando serviva: cantava, ballava, si meravigliava di fronte alle piccole cose, fraternizzava subito e ti avvolgeva con la sua voce da tenore e il suo gigante abbraccio.
La sua lotta inizia presto. Da studente all’Università di Chihuahua entrò in contatto con i quadri politici del frente campesino, cosa che gli servì per capire la situazione sociale terribile in cui vivevano i poveri. Molti amici della sua età allora radicalizzarono la lotta e impugnarono le armi. Costituirono il primo movimento guerrigliero in Messico dopo la Rivoluzione Cubana.
Il padre di Montemayor per sottrarlo a quelle scelte radicali – intanto i suoi compagni erano entrati nella clandestinità – lo obbligò ad abbandonare Chihuahua e a continuare gli studi a Città del Messico.
A Città del Messico fu solo attraverso i giornali che apprese, quasi un anno dopo, la morte di quasi tutto il gruppo di cui faceva parte “mi scosse profondamente vedere nelle foto i cadaveri dei miei compagni, ma soprattutto rabbrividii nel constatare il tono con cui l’informazione ufficiale parlava di loro: li trattarono da delinquenti, da pistoleros, da ladri di mucche, da banditi. Io invece sapevo della loro onestà, della loro generosità, della loro integrità. Compresi allora quanto una versione ufficiale poteva distruggere brutalmente la verità della vita umana. L’impressione fu tale che mi segnò per sempre”. Quarant’ anni dopo Carlos scrisse la loro storia “era un debito mio personale che sentivo di avere” in Las armas del alba da cui fu tratto anche un film.
Da allora l’impegno di Carlos fu incessantemente, tenacemente, assieme al suo essere analista politico, storico, scrittore e poeta, rivolto a contrastare tutte le ingiustizie, i soprusi e le mal-versioni ufficiali che coprivano le malefatte di qualsiasi potere, per dare dignità e verità alla vita nel suo insieme.
Carlos Montemayor fu amico intimo anche del Friuli. Di quel Friuli onesto, altruista, aperto,  certo fortemente minoritario, sotterraneo, ma che ancora esiste ed è pronto più a dare che a ricevere. Più a opporsi che a obbedire.
E’ stato ospite indimenticato ai Colonos dove più volte, anche assieme a Erri De Luca, ha presentato i suoi libri. In una serata memorabile assieme a Tito Maniacco e alle opere di Roberto Micheli, sempre ai Colonos, per presentare il libro delle sue poesie  lette da Andrea Trangoni e Pierluigi Cappello In un altro tempo io ero qui, edito dal Menocchio.
Ospite dell’associazione culturale il Caseificio a Spilimbergo in occasione  di Messico l’ombelico della luna. Al Pabitele assieme a Gigi Sullo direttore di Carta per parlarci della lotta degli indigeni del Chiapas.
Con Forum e assieme a Giorgio Ferigo, altro amico e compagno che ci ha lasciato. La prima volta che venne in Friuli su mio invito fu nell’ottobre del ’99, in occasione della mostra Il sale della terra nell’ex Convento di San Francesco. Dopo il suo arrivo alla stazione di Udine, ci incamminammo verso il centro città per andare a dare un’occhiata in anteprima alla mostra. Per arrivarci ci vollero però tre bicchieri di Refosco e l’incontro con tanta gente con cui subito si mise a parlare.
Poi all’interno di San Francesco, dove ancora c’era un pianoforte lasciato dall’ultima iniziativa, Carlos si mise a suonare. Fu magia per me e per lui: in uno spazio come quello, in quell’atmosfera. La musica che usciva dalle mani di Carlos. Le fotografie che ci circondavano. Capimmo che stava iniziando un’ amicizia fraterna.
In Fiuli incontrò anche il partigiano Cid: “Un pomeriggio a Venzone mi chiese con voce lenta e grave, di riflessione, di confidenza, con lo stesso tono che aveva la voce di mio padre: Chi sei? Perché sei venuto ora? Cerco di ricordare chi tu sia. Siamo uguali, siamo della stessa pasta. La sua forza interiore, la sua presenza familiare provocavano, in effetti, la particolare sensazione di averlo conosciuto da sempre, di averlo rincontrato” scrive Montemayor in Cid il partigiano.
“Così il grande cerchio che traccia la poesia lungo la storia degli uomini si aggira all’antico e al diverso e lo ri-forma, lo ri-crea come antichissima modernità” (Tito Maniacco nella presentazione al libro di poesie di Montemayor).
Mandi Carlos: un calice di refosco, un pugno di terra e una poesia per esserti fedeli come tu lo sei stato con i tuoi amici, e continuare assieme quel viaggio sempre incerto che ci rende tutti uguali.

[il fotografo De Marco ci manda questo suo ricordo, e una sua foto, dello scrittore messicano Carlos Montemayor, deceduto ieri]

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4 Commenti

  1. “La violencia de Estado en México” è l’ultimo studio di Carlos Montemayor – uno (tra l’altro) dei maggiori esperti a livello mondiale della storia dei movimenti indigeni e guerriglieri latinoamericani -, che esce oggi, postumo, per le edizioni messicane della Jornada. “Proporre le costanti minime che ricorrono in questo tipo di violenza sociale aiuta a capire la decisione di un governante quando smette di essere amministrativa e si trasforma in violenza di Stato” è la premessa analitica del libro.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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