Michele Mari e le fonti del mondo

(Pubblichiamo il racconto di Michele Mari «Le fonti del mondo», seguito da una nota di lettura di Antonella Falco. D.O.)

Michele Mari, disegno per «Di bestia in bestia»
Michele Mari, disegno per «Di bestia in bestia»

***

LE FONTI DEL MONDO
di Michele Mari

William Shakespeare, Romeo e Giulietta
«No, se pinne o artigli sono queste, e non mani, se altro è il nome mio che Romeo, allora questa notte non ti ho pensata»

Giacomo Casanova de Seingalt, Storia della mia vita
«… poi, per quella notte, non la pensai più»

Marcel Proust, La fuggitiva
«… così, se alla fine ero riuscito nell’intento di non pensarla per una notte, ero destinato a pensarla per tutte le notti che si sarebbero seguite in quell’estate, e poi ancora per parte dell’autunno, a Parigi»

NO, STANOTTE AMORE NON HO PIÙ PENSATO A TE

*

Edgar Allan Poe, Gordon Pym
«Fu solo dopo molto tempo, quando aprii gli occhi su tutto quel bianco…»

Jack London, La legge del ghiaccio
«Aprì gli occhi, e non capì subito. Poi, appena la ferita alla gamba…»

Adolfo Bioy Casares, L’invenzione di Morel
«Riaprii gli occhi: tutt’intorno a me non si vedeva altro che…»

HO APERTO GLI OCCHI PER GUARDARE INTORNO A ME

*

Giordano Bruno, De l’infinito Universo et Mondi
«… perciocché il movimento del nostro mondo è pur poca cosa appo il moto del sole, e idem di quello entro il rotar delle galassie, e di tutti li cieli, e di quelli altri che non cieli, ma “cieli” per defetto di lingua eziandio nomansi, attorno ad essi volvonsi»

René de Chateaubriand, Il genio del Cristianesimo
«Fu allora che quel grande titano colse nella rotazione del suo e nostro pianeta il sorriso d’Iddio, che lo compativa nel momento stesso in cui lo rivestiva di una patina d’oro…»

Antonin Artaud, Al paese dei Tarahumara
«… mentre tutto continuava a girarmi attorno, sempre più vorticosamente, finché lo stregone…»

E INTORNO A ME GIRAVA IL MONDO COME SEMPRE

*

Fiabe italiane trascritte da Italo Calvino
«Gira gira mondo intonò il calzolaio, e di colpo la casetta… »

Dino Buzzati, L’ora del babau
«… il girotondo stava volgendo al termine, quando Tommasino…»

Stephen King, Quell’ultima cosa
«…ricordi, Teddy? Giro giro tondo, non sei contento? È tornata a girare ora, solo per te…»

GIRA IL MONDO GIRA

*

Gottfried Wilhelm von Leibnitz, Physica nova
«… e come è della quantità più piccola, che nondimeno non possa essere ulteriormente suddivisa, così è della più grande, che di estensione in estensione…»

Howard Phillips Lovecraft, L’orrore di Dunwich
«… mentre la sua anima gli veniva strappata per essere scaraventata nell’orrore di un abisso senza fine, dove LORO…»

Robert Sheckley, Gli orrori di Omega
«…oltre, e poi oltre, nell’orrore di uno spazio senza fine…»

NELLO SPAZIO SENZA FINE

*

Stendhal, De l’amour
«Non peraltro avviene sovente che dopo la fine di un amore l’immagine dell’amata torni a visitarci intatta, così come ci si era presentata all’inizio di quell’amore»

Fabrizio De André, Ballata dell’amore nero
«e quando / capirai / che gli amori appena nati / sono amori già finiti…»

Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso
«… che è poi la mise en abîme del paradosso per cui l’inizio e la fine di un amore…»

CON GLI AMORI APPENA NATI CON GLI AMORI GIÀ FINITI

*

John Steinbeck, Furore
«… ma a Salinas avrebbe ancora e sempre incontrato gente come lui, con le sue misere speranze, le sue piccole gioie, i suoi dolori, e la stessa illusione: che ci fosse una valle, qualche miglio più in là, dove una cassetta di pesche fosse pagata mezzo centesimo in più»

Albert Camus, Il primo uomo
«… sentivo che le generazioni, con tutte le loro gioie, tutti i loro dolori…»

Cesare Pavese, La luna e i falò
«… sì, la gioia e il dolore di quella gente, uomini come Nuto di cui mi sapevo fratello»

CON LA GIOIA E COL DOLORE DELLA GENTE COME ME

*

Joseph Conrad, Lord Jim
«… come se il suo sguardo si fosse posato su di lui per la prima volta, prima che tutto avesse inizio…»

Franz Kafka, Nella colonia penale
«Era il tenente: ma al tempo stesso era un altro uomo, perché ora per la prima volta lo stava considerando non in sé, ma in relazione alla macchina»

Raymond Chandler, Marlowe indaga
«La guardò solo dopo il terzo scotch. Nuda, sfigurata da quella violenza bestiale, non era più lei, ma una estranea»

SOLTANTO ADESSO IO TI GUARDO

*

Giacomo Leopardi, Le ricordanze
«… ismisurato / arcano e silenzioso, in che smarrìasi / il pensier mio…»

Alphonse de Lamartine, La Notte
«Nel tuo silenzio, o Notte! / mi perdo e mi ritrovo / e poi mi perdo / e mi ritrovo: / non sia che l’alba, hélas! / mi colga ritrovato»

Eugenio Montale, Libeccio a ponente
«cigola lo zinco fucinato / nel silenzio in cui sperdi il tuo contorno»

NEL TUO SILENZIO IO MI PERDO

*

S. Caterina da Siena, Lettere
«… ma anche al colmo dell’estasi, mentre il tuo spirito mi invade, io resto il nulla che di nulla è fatto, e il mio nome è: testimonianza»

Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov
«Ascoltami Aljosa: io non sono niente per la Russia, niente, hai capito?»

Thomas Mann, La morte a Venezia
«Capì che la sua cultura, la sua memoria, la sua altissima tradizione, tutto ciò che aveva sempre considerato come il suo mondo e la sua identità, non erano niente di fronte a quella pelle liscia e a quei riccioli biondi»

E SONO NIENTE ACCANTO A TE

*

Dante Alighieri, Paradiso
«e tutto involve in sempiterno moto»

Francesco Guicciardini, Ricordi
«Ché a ragion potrebbesi comparare questo mondo a una trottola che mai spegnesse suo moto, tanti e di tal fatta sono gli accadimenti che…»

Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore
«nell’incessante lavorìo delle terre, dai secoli, a germinare! di tra quarzi e piriti, senza pausa o riposo, mai»

IL MONDO NON SI È FERMATO MAI UN MOMENTO

*

S. Giovanni, Apocalisse
«… e verrà a gran falcate un cavaliere pallido e nessuno riuscirà a sfuggirgli, come la sera del giorno non può sfuggire alla notte…»

Brigham Young, Il Libro di Mormon
«Tremate! Perché io vi dico: ci sarà il giorno, ma poi verrà la notte: e vincerà»

Cormac McCarthy, Cavalli di notte
«… perché anche quel giorno, come tutti i giorni che dall’inizio dei tempi avevano illuminato quella sabbia, era inseguito dall’incubo della propria notte…»

LA NOTTE INSEGUE SEMPRE IL GIORNO

*

Vangelo secondo Matteo
«Ma ecco io vi dico che verrà il Giorno che ogni vostro peccato vi sarà pesato a stadera e cribrato a setaccio»

François Villon, Ballata degli impiccati
«Verrà il mattino / e il corvo porterà con la cornacchia / a banchettare delle vostre carni…»

Primo Levi, Se questo è un uomo
«Il giorno in cui gli uomini deporranno la spada, quel giorno, anche quando ci si rivela come risibile utopia, non dobbiamo mai smettere di custodirlo dentro il nostro cuore come un pegno»

ED IL GIORNO VERRÀ

*

NO, STANOTTE AMORE NON HO PIÙ PENSATO A TE
HO APERTO GLI OCCHI PER GUARDARE INTORNO A ME
E INTORNO A ME GIRAVA IL MONDO COME SEMPRE
GIRA IL MONDO GIRA
NELLO SPAZIO SENZA FINE
CON GLI AMORI APPENA NATI CON GLI AMORI GIÀ FINITI
CON LA GIOIA E COL DOLORE DELLA GENTE COME ME
SOLTANTO ADESSO IO TI GUARDO
NEL TUO SILENZIO IO MI PERDO
E SONO NIENTE ACCANTO A TE
IL MONDO NON SI È FERMATO MAI UN MOMENTO
LA NOTTE INSEGUE SEMPRE IL GIORNO
ED IL GIORNO VERRÀ

(Il racconto è stato pubblicato su Vanity Fair del 20 agosto 2014, numero 33).

***

LE FONTI DEL MONDO DI MICHELE MARI
di Antonella Falco

Pensate al centone della tarda letteratura greca e latina, o se preferite, al suo derivato postmoderno, il pastiche. Pensate a Roland Barthes secondo cui «ogni testo è una nuova tessitura di passate citazioni». Pensate all’intertestualità teorizzata alla maniera ‘ortodossa’ da Julia Kristeva o riconsiderata alla maniera di Chambers e di Riffaterre secondo i quali il rapporto intertestuale è da considerarsi più in relazione ai lettori che alla produzione del testo: sarebbero i lettori, infatti, e non gli autori, a individuare i nessi di affinità tra i vari testi, a farli dialogare gli uni con gli altri, a intuirne i legami più o meno nascosti. Pensate infine alle potenzialità combinatorie e agli infiniti accostamenti resi possibili dall’utilizzo informatico degli ipertesti. Pensate a tutto questo e avrete l’orizzonte formale entro cui collocare Le fonti del mondo, il racconto sui generis nato qualche mese fa dalla penna geniale di Michele Mari e pubblicato la scorsa estate su Vanity Fair. Il mondo è quello cantato da Jimmy Fontana nella omonima canzone del 1965. Tutto il resto, ossia le fonti, deriva da quel meraviglioso labirinto di luoghi letterari, citazioni, sogni, incubi, storie e ossessioni che da sempre si agitano irrequieti e fecondi nella mente visionaria di Michele Mari: un centone essa stessa, a ben vedere, un collage di pagine e pagine di autori antichi e moderni, italiani e stranieri, rimescolati e ricombinati all’infinito in opere ogni volta originali e tuttavia già classiche.

Le fonti del mondo prendendo spunto dalla canzone di Fontana individua per ciascun verso tre ipotetiche fonti, tre piccoli brani dalla più svariata provenienza che in modo autonomo e nondimeno pertinente esprimono un analogo concetto. Nella concezione di Mari «le tre “fonti” di ogni verso non sono in alternativa fra di loro, ma cooperanti, come se il verso in questione nascesse alla loro intersezione-convergenza». Eccone un esempio:

William Shakespeare, Romeo e Giulietta
«No, se pinne e artigli sono queste, e non mani, se altro è il nome mio che Romeo, allora questa notte non ti ho pensata»

Giacomo Casanova de Seingalt, Storia della mia vita
«…poi, per quella notte, non la pensai più»

Marcel Proust, La fuggitiva
«…così, se alla fine ero riuscito nell’intento di non pensarla per una notte, ero destinato a pensarla per tutte le notti che si sarebbero seguite in quell’estate, e poi ancora per parte dell’autunno, a Parigi»

NO, STANOTTE AMORE NON HO PIU’ PENSATO A TE

Le fantomatiche fonti si susseguono verso dopo verso chiamando in causa Edgar Allan Poe, Jack London, Adolfo Bioy Casares, Giordano Bruno, René de Chateaubriand, Antonin Artaud, Italo Calvino, Dino Buzzati, Stephen King, Gottfried Wilhelm von Leibnitz, Howard Phillips Lovecraft, Robert Sheckley, Stendhal, Fabrizio De André, Roland Barthes, John Steinbeck, Albert Camus, Cesare Pavese, Joseph Conrad, Franz Kafka, Raymond Chandler, Giacomo Leopardi, Alphonse de Lamartine, Eugenio Montale, S. Caterina da Siena, Fedor Dostoevskij, Thomas Mann, Dante Alighieri, Francesco Guicciardini, Carlo Emilio Gadda, S. Giovanni, Brigham Young, Cormac McCarthy, il Vangelo secondo Matteo, François Villon, Primo Levi.

L’elenco è di quelli che fa tremare le vene ai polsi, ma il gioco combinatorio e l’enormità di questi voli pindarici certamente non sorprende i più affezionati lettori di Mari, ormai da tempo edotti a vedere nel loro scrittore preferito una sorta di ventriloquo che estrae da sé voci altrui con stupefacente naturalezza.
Quello descritto fin qui è tuttavia solo l’orizzonte formale del testo, il semplice impianto strutturale: ma dietro l’ossatura citazionistica, dietro il pretesto ‘nazionalpopolare’ della canzone di Jimmy Fontana, dietro lo sfoggio erudito qual è l’intima scintilla che ha risvegliato il demone dell’ispirazione marista?

Certo non è dato sapere la scaturigine profonda dell’estro creativo dell’autore, nota a lui soltanto e conoscibile da pochi, ma chi ha dimestichezza con i processi narrativi dello scrittore milanese riesce senza troppa difficoltà a intuirne anche i processi mentali. Mi viene allora da pensare che quanto affermato da Gianfranco Contini a proposito della mescolanza, nella lingua letteraria dell’amico Carlo Emilio Gadda, di tecnicismi arcaismi e dialettismi, ossia che tale pastiche di linguaggi non sia altro che il palesarsi di una commistione «di risentimento, di passione e di nevrastenia», sia applicabile anche al presunto divertissement congegnato da Mari in questo racconto. Come dire che se chiodo scaccia chiodo, ossessione scaccia ossessione e quello che di primo acchito sembra un semplice divertimento letterario può nascondere invece un occulto malessere: può essere un gioco erudito dietro cui celare una segreta inquietudine, un oscuro turbamento, il quale se non può essere eliminato può almeno trovare una ‘distrazione’ letteraria, una cristallizzazione su carta e quasi uno smemoramento di sé nello stemperarsi di un’ossessione nell’altra: quella personale e privata in quella letteraria condivisibile col pubblico dei lettori.

D’altronde più volte Mari ci ha avvisati che più la materia si fa intima e incandescente, a tratti scabrosa, più questa viene trattata attraverso le pinze formali del mascheramento, dell’erudizione, del gioco colto e citazionistico. E d’altra parte, sono parole di Mari, «la letteratura libera l’inconscio e più lo libera quanto più è sorvegliata».

Quanto allo spunto mediato dalla cultura “pop”, in tal caso la canzone di Jimmy Fontana, bisogna dire che il più colto, inattuale ed elitario scrittore che abbiamo oggi in Italia non è nuovo ad occasioni di questo genere. Scorrendo la sua bibliografia infatti ci imbattiamo in altri titoli, soprattutto di racconti, che si ispirano a un immaginario musicale e cinematografico non alieno alla cosiddetta “cultura di massa”. In Tu, sanguinosa infanzia è presente il racconto L’uomo che uccise Liberty Valance che nel titolo chiama in causa l’omonimo film del 1962 diretto da John Ford, con John Wayne e James Stewart. In Fantasmagonia, la sua ultima raccolta di racconti uscita nel 2012, gli esempi si moltiplicano: si va da Non aprire quella porta il cui titolo si riferisce chiaramente alla nota saga horror e il cui testo è tutto costruito facendo riferimento a film horror e thriller (bastano le prime sei righe a darvene un’idea: «Non aprire quella porta. E io la apro. Non varcare quella soglia. E io la varco. Non nuotare nel mare di Amity. E io ci nuoto. Non andare ad Amityville. E io ci vado. Non accogliere l’husky nella base artica. E io lo accolgo. Non fermarti nel motel di Norman Bates. E io mi fermo. Non scegliere la camera 237 dell’Overlook Hotel. E io la scelgo») a Johnny Concho, che cita l’omonimo western del 1965 diretto da Don McGuire e interpretato da Frank Sinatra. Si prosegue con Tre postille a un soffitto viola, ovviamente quello della canzone Il cielo in una stanza di Gino Paoli e si arriva a L’ultimo buscadero, racconto il cui titolo cita quello del film di Sam Peckinpah con Steve McQueen girato nel 1972.

Non va dimenticato inoltre che le Cento poesie d’amore a Ladyhawke sono un canzoniere amoroso nato da un’esperienza autobiografica ma modellato secondo uno spunto tratto dal film Ladyhawke diretto nel 1985 da Richard Donner con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer, film ambientato nella Francia del XIII secolo (sebbene quasi totalmente girato in Italia) e incentrato sulle peripezie degli amanti Etienne Navarre e Isabeau d’Anjou che una maledizione scagliata da un malvagio vescovo, geloso del loro amore, ha condannato ad essere falco lei di giorno e lupo lui di notte, «sempre insieme, eternamente divisi» perché mai contemporaneamente in forma umana.

Una menzione a parte merita il romanzo Rosso Floyd che ripercorre l’epopea floydiana, e in ispecie barrettiana, tra realtà storica e folgoranti intuizioni al limite del soprannaturale.

Dunque uno scrittore iperletterario come Michele Mari supera brillantemente l’annosa dicotomia tra alto e basso non solo traendo ispirazione da materiali generalmente catalogati come popolari e di largo consumo – che riesce a trasformare in raffinati giochi da esteta – ma anche attingendo ai generi, alle forme, ai modi di quella letteratura d’appendice, si pensi all’ultimo Roderick Duddle, di fronte alla quale i critici più trincerati su posizioni accademiche storcerebbero il naso. Forse perché la dicotomia tra alto e basso in letteratura è solo una pedante invenzione di esegeti troppo miopi per capire che l’unica vera opposizione degna di essere presa in esame è quella tra libri scritti bene e libri scritti male? Ad ogni modo mi tornano in mente le parole con le quali Italo Calvino nel 1985 inizia il suo saggio introduttivo all’edizione francese di Centuria di Giorgio Manganelli. Per presentare ai lettori di Francia l’autore che tanto ammirava, Calvino esordisce così: «Da vent’anni la letteratura italiana ha uno scrittore che non assomiglia a nessun altro, inconfondibile in ogni sua frase, un inventore inesauribile e irresistibile nel gioco del linguaggio e delle idee…» Ho sempre pensato che queste parole descrivano alla perfezione anche Michele Mari: la letteratura italiana ha uno scrittore che può permettersi il lusso di parlare con le parole di chi più gli aggrada e tuttavia di non assomigliare a nessun altro che a se stesso. Da vent’anni in qua, o poco più.

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46 Commenti

  1. La cosa piuttosto sconcertante è che la critica letteraria italiana, da anni assetata di “realismo”, mi pare ignorare o quasi Michele Mari, il cui unico difetto è quello di non poter essere ridotto a un’etichetta o “tendenza”. Temo che molto dipenda anche dal suo essere fuori dal mondo virtuale, di essere insomma assai poco “social” e impregnato in discorsi extraletterari.

    • caro Simone, ah sì? davvero ti sembra che Michele Mari venga ignorato? Non so, a me sembra un vertice assoluto della letteratura italiana contemporanea, e riscontro questo come un pensiero largamente condiviso, invero.
      (il suo essere “poco social”, come dici, giustamente, è ancora qualcosa che lo rende, forse, ancora più “grande autore”.)

      • A parte che ancora non ho incontrato la mediocrità nei testi di Mari, mi sapresti indicare, Catone, dei testi di critica letteraria dove si prende in considerazione la sua opera?

        • Mediocrità ne trovi quanta ne vuoi, ad esempio, in Fantasmagonia. Se parli di testi accademici, in generale non è che parlino molto di contemporanea. La critica militante è molto piccola nell’università italiana.

        • infatti Simo, la domanda mi pare un po’ perniciosetta, nel senso: se parli di articoli, ne trovi a bizzeffe. se parli di testi, allora ti rigiro la domanda: quali sono i testi di critica letteraria sugli autori contemporanei che “escludono” Michele Mari?

          • Francesca, l’ho scritto nel primo commento che la critica letteraria italiana degli ultimi anni si è occupata in principalmente di “ritorno al realismo”, almeno in maniera sistematica (cito a caso: Giglioli, Mazzarella, Casadei, Donnarumma). Non mi riferisco insomma a recensioni o articoli singoli, ma a studi più corposi, che mettano poetiche in connessione. Naturalmente parlo da non critico, che ha solo letto qualcosa in qua e in là, ma questa è la mia percezione e non si tratta di un giudizio negativo o che, semplicemente di una constatazione.

          • @Simone, non mi fa rispondere sotto :-)
            Dunque, sì, infatti siamo d’accordo, per sommi capi, proprio per quello dicevo che non è Mari in quanto Mari ad essere poco studiato, ma come lui moltissimi.
            Credo in questo, almeno, la poesia sia più avanti. (per gli studi critici contemporanei, almeno)

    • Ahinoi, quanto v’ingannate! Del gioco postmoderno rimarrà ben poca traccia in futuro. Il postmoderno genera e ha generato e può generare solo talenti o talentacci, ma il genio è ben altra cosa. Voi oggi applaudite entusiasti la trovata ingegnosa d’un lettore stra-ordinario e tanto appassionato (lo riconosco), ma come ve ne sono tanti, che riesce a inscatolarvi in modo originale tanto sentimento… Ma credete che un giorno costui possa reggere il confronto con un Dante o uno Shakespeare o un Bulgakov o un Joyce!?
      Signori, la Letteratura è ben altra cosa. Io v’invito ad essere più giudiziosi nell’uso delle parole. Qui nessuno nega abilità e talento (ma oggi non siamo forse tutti “creativi”?), pensate forse che io non apprezzi un simile lavoro o un simile scrittore (che peraltro non conoscevo prima di pochi minuti fa)? E quanto credete basti a un occhio esperto per capirne la natura e il valore? Di creativi ne abbiamo fin troppi (più o meno bravi), e così anche di scienziati o di filosofi della penna. Riprendiamoci il genio!

      • Che tu non conoscessi “un simile scrittore… prima di pochi minuti fa” è cosa che si deduce chiara e lampante dalle parole del tuo commento. Magari ne riparliamo dopo che avrai letto l’opera omnia di Michele Mari. Quanto al postmoderno io non ho mai detto che il postmoderno abbia prodotto il talento di Mari, ho solo descritto un orizzonte formale entro il quale questo racconto potrebbe inserirsi senza tuttavia rimanervi impigliato. Chi conosce l’opera di Mari sa che quella del postmoderno è una gabbia troppo stretta per un autore come lui. Chiedi se “costui possa reggere il confronto con un Dante o uno Shakespeare o un Bulgakov o un Joyce”? Lasciamo la sentenza ai posteri, ma di certo posso con cognizione di causa affermare che Mari è uno dei pochi, pochissimi, che almeno non rifugge il cimento del confronto (direi quasi del corpo a corpo) con i grandi della letteratura. Per Mari il confronto con la tradizione non è paralizzante o angosciante, al contrario è uno stimolo, una sollecitazione oserei dire euforizzante.

        • Il suo stile critico tanto manierato da accademia è sufficiente. Lei non ha afferrato il centro della questione. In ogni caso, io con lei non ho da discutere un fico secco, al più accetterei un confronto con il Mari. Buona campagna.

          • Con i maleducati non ho da discutere nemmeno io, questo è certo. Discuta con “il Mari”, ma prima se lo legga bene, mi raccomando.

          • Punto primo, la maleducata è lei. Il mio commento era al testo del Mari, non alla sua analisi critica (per altro buona, e badi, io criticavo il suo stile e non i contenuti!). Lei si è vista o sentita citata in causa dal sottoscritto? Non mi pare. Oppure vuol far suo un testo di altri… e ancora di tanti altri?
            Invece il suo transfert emozionale l’ha tradita. Sia più accorta a vagliare i commenti (ai testi degli altri, figuriamoci ai suoi!). Punto secondo, le ribadisco che non ho bisogno (né tempo né voglia) di confrontarmi con “l’opera omnia” del “nostro” autore, per esprimere un giudizio critico. Lei forse penserà che mi esprimo con sufficienza e senza ragioni valide… ma a questo punto lei sarebbe talmente presuntuosa da sapere con certezza con chi ha a che fare. Mi creda, ho tutto il tempo per ricredermi eventualmente sulla caratura di questo scrittore, ma nel frattempo resto della mia idea. E lei cerchi di non caricare emotivamente i giudizi altrui. Se si rilegge il mio primo commento (con più attenzione), finirà per porre il suo giudizio a rischio di subire una leggera (leggera, per carità!) incrinatura.

  2. Questo racconto ha tutto il sapore di un elisir. un infuso di parole liquorose. Un gioco di prestigio? No, piuttosto un gioco prestigioso.

    • Gianni,tutto il racconto è un falso letterario. Mentre i titoli delle fonti sono quasi tutti veri, le citazioni virgolettate sono tutte inventate da Mari (che come puoi vedere in molti casi imita anche alla perfezione lo stile dell’autore citato). Non l’ho scritto chiaramente nella mia nota di lettura perché volevo fossero i lettori ad accorgersene. A mio parere un colpo di genio assoluto.

      • Se è così, i falsi da Bruno, Guicciardini, Gadda, Matteo… sono splendidi. E tutta la questione dei falsi, borgesianamente, la trovo un invito a riflettere sulla mobilità degli orizzonti d’attesa del lettore contemporaneo, sul rapporto fatale, perché svolto lungo l’asse del Tempo, con quelli che definiamo i classici (e il riferimento sarà ovviamente al Pierre Menard). Se ciononostante Antonella Falco, borgesiana al limite del paratesto 2.0, mentisse, e si trattasse in realtà di citazioni autentiche, il Lettore beffato confermerebbe a capo chino la deperibilità del suo rapporto con un canone “sacro”. E speriamo allora che sia così

  3. Un bell’esperimento paradigmatico del ruolo attivo del lettore nell’atto di lettura; io per esempio ho istintivamente letto prima il verso della canzone (“cantandola” mentalmente) e poi le citazioni relative, come se stessi ascoltando Fontana e il registratore si stoppasse ogni tot minuti per darmi il tempo di leggere i frammenti.
    E bella anche la nota di Antonella Falco, nella cui lista di riferimenti manca forse solo un nome: l’esperimento è incredibilmente borgesiano. Le appropriazioni ‘indebite’ erano alla base della sua “estetica dell’irriverenza”, e Borges ha sottolineato innumerevoli volte l’infinito potenziale insito nel rimaneggiamento di testi precedenti, e l’idea che ogni testo fosse “un fatto mobile”, sempre frutto del passato e sempre suscettibile di nuove manipolazioni.
    “Il concetto di testo definitivo appartiene unicamente alla religione o alla stanchezza”, cit.

  4. dai ragazzi si tratta di giochi che Umberto Eco faceva quarant’anni fa. Però il racconto è bello, quello sì.

  5. Nota per la commentatrice: Ladyhawke non è ambientato in Francia. È il doppiaggio e l’adattamento italiano che l’ha spostato in una pseudofrancia, ma in originale è ambientato in una pseudoitalia, toponimi inclusi.

    • Sì Catone, infatti dico tra parentesi che il film in realtà è stato girato quasi totalmente in Italia. Comunque una precisazione ulteriore non guasta :-)

  6. Sono anni che vado ripetendo che Michele Mari è il Miglior Scrittore Italiano Vivente. Ho conosciuto personalmente il mio idolo l’estate scorsa al Lido di Venezia, all’hotel Hungaria. E’ uno dei pochi autori da me più volte incensati nel defunto blog “Cazzeggi Letterari”, che tante inimicizie mi ha procurato negli 8 anni in cui mi sono divertito ad aggiornarlo. Sul tema delle canzonette segnalo, per esempio:

    https://lucioangelini.wordpress.com/2012/02/07/michele-mari-e-il-cielo-in-una-stanza/

  7. Forse non è proprio proprio il miglior scrittore italiano vivente, ma è quello che è. :)

    (Quasi un Fosco Maraini dell’intertesto).

  8. Ma le false attribuzioni girano su facebook ormai da 2 anni! Sono pop già da 2 anni (cioè fuori moda). Essì che e poco “social” il miglior scrittore Italiano vivente, Il Mari, inventa ora una cosa che doveva buttar giù almeno 3 anni fa. Vorrá dire che cercherò il genio sul Twitter di inizio secolo.

  9. un commento più articolato dell’autopromozione di prima; le cose migliori di Mari mi sembrano giocare proprio su questo versante della riscrittura. Ancora più sconcertante, secondo me, quando si è messo a riscrivere la sua biografia (in “Rondini sul filo” la storia del suo primo matrimonio) reinventandosi una personalità e un linguaggio sospesi fra Céline e Manganelli. Parlando come loro, in quel libro, diventava anche come loro e di conseguenza le sue azioni narrate apparivano effetti risonanti, eredità non volute di vecchi fantasmi. E pure in “Verderame”, quando impersona un se stesso bambino iper-colto e già professorale (con alcune note di lieve caricatura, pure), l’effetto di riscrittura era fortissimo.
    In questo racconto vedo sviluppato il filone di “Rosso Floyd”, esasperato un privilegio del romanzo storico, per così dire: usare le disinvolture della letteratura d’invenzione per dare una voce falsata a personaggi e testi già “sedimentati”, e a rischio di imbalsamazione. La cosa più curiosa è che Mari tenti di riscrivere testi di per sé molto belli, arrivando spesso, proprio in nome della letteratura che tanto gli preme, di imbruttirli con la sua scrittura (poiché è troppo intelligente per non capire che non può superare Shakespeare o Dostoevskij sul loro stesso terreno): questa è una lode alla letteratura come tentativo e fallimento, come esperimento non solo di bellezza ma anche del senso del brutto, e lo trovo (sono serio) il miglior risultato del racconto.

    A un livello più generico, mi sembra che per Mari la letteratura vinca sulla storia alla lunga distanza, uccidendo qualsiasi idea di resoconto “verosimile” e di trasmissione attendibile del passato, ma senza mai sottrarsi al confronto con la storia, o letteraria o della cronaca italiana (“Rondini sul filo”, che per me rimane la sua cosa più bella, ma anche “Fantasmagonia” col racconto sui Grimm, per dire …). E aggiungerei che in questo non è alieno dagli scrittori che sono stati menzionati poco sopra, Siti, Busi … differenze di gradazione, ma la diffidenza per la testimonialità e l’artificio falsante in una scrittura narrativa illusionistica li accomunano tutti e tre. Eh sì, anche Mari è scivolato nell’autobiografia e nell’autofiction. Nel suo stile comunque unico, figlio della sua epoca, e non un mostro o un irriducibile a qualunque lettura d’ampio raggio, come sarebbe comodo pensare.

  10. @Lorenzo: a differenza tua io preferisco il Mari più visionario e meno autobiografico, quello de “La stiva e l’abisso” e di “Bestia in bestia” per intenderci, che con le recenti tendenze mi pare azzeccarci assai poco…

  11. @Simone

    grazie. Lì purtroppo entrano in gioco i gusti. Trovo quei romanzi che tu citi grandi rifritture manieristiche, solo a tratti convincenti (“Io venia pien d’angoscia a rimirarti”, soprattutto, ha dei passaggi forti). “Di bestia in bestia”, con quel dualismo dei personaggi Cosmos e Caos, uno tutto istinto e l’altro tutto cervello, le trovo stupidaggini; non fraintendermi, mi scoravano anche quando a farle era Houellebecq nelle “Particelle elementari”, con Bruno il sessuomane letterato e Michel l’algido matematico. Semplicemente, questa e altre trovate le trovo così stupide che forse nemmeno una scrittura straordinaria riuscerebbe a sostenerne il peso. Mari, per me, non c’è riuscito. “La stiva e l’abisso” l’ho rimosso, mi ricorda vagamente “Oceano mare” di Baricco (credo siano anche quasi coevi). Sono gusti …

  12. Beh, a saperle fare delle rifritture del genere! Gusti a parte, credo che sia un po’ riduttivo liquidare così quei due romanzi, dove a prevalere sono l’invenzione e il gusto per il fantastico. Ma per l’appunto son gusti…

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Note di lettura a «Invernale»

di Valentina Durante
Un figlio racconta gli ultimi anni di vita del padre, macellaio di Porta Palazzo, Torino, a partire da una malattia susseguente a un infortunio sul lavoro. Lo si potrebbe riassumere tutto qui il breve ma intenso romanzo di Dario Voltolini

Riesci a vedere la luce in questa immagine

di Lorenzo Tomasoni
Mentre fotografava una prugna spiaccicata sul pavimento di linoleum di casa sua, durante una sessione di fotografia nei primi giorni di aprile, Colin McRooe fu colto dalla feroce intuizione che non ci sarebbero mai stati criteri oggettivi o inquadrature luminose artificiali che avrebbero potuto inchiodarla per sempre alla realtà

“Quando nulla avrà più importanza”, la fine mondo raccontata da Alessia Principe

di Antonella Falco
È un romanzo breve, o, se preferite, un racconto lungo di genere distopico che ruota interamente intorno alla figura della sua protagonista, Caterina

Cento di questi anni Lisetta Carmi

di Anna Toscano
Per ricordare il centenario della nascita di Lisetta Carmi ho provato ad andare con la memoria al tempo trascorso insieme, lei non c’era già più, novantottenne aveva lasciato il cielo con le nuvole veloci dietro di lei a Cisternino e tutto il resto di questo mondo

Le epifanie allo specchio di Graziano Graziani

di Lidia Tecchiati
Girolamo vaga tra i vicoli della sua città così come tra i vicoli della sua memoria, cercando di districare una matassa di ricordi che non riesce a sbrogliare e collocare nel giusto ordine cronologico. Si sofferma sulle assenze, su ciò che una volta c’era e ora velocemente è scomparso, assenze e sostituzioni che hanno completamente cambiato la geografia del suo passato insieme alle abitudini di una vita
davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012). Provo a leggere i testi inviati, e se mi piacciono li pubblico, ma non sono in grado di rispondere a tutti. Perciò, mi raccomando, non offendetevi. Del resto il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e assolutamente non professionale. d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com Questo è il mio sito.
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