Due coppie e un’aragosta, ovvero tre pezzi brevi in viaggio nel tempo

 

 

di Paola Ivaldi

NdA – Il testo sull’aragosta risale alla prima metà degli anni Novanta del Novecento: infatti, parla ancora di luci al neon all’interno del supermercato e, soprattutto, ciò che descrivo spero sia stato effettivamente abolito da normative più rigorose e attente alla tutela degli animali vivi in commercio. Quello sulla coppia anziana è degli anni Dieci del XXI secolo e quello sulla coppia giovane del 2020.

___

Coppia / 1

Mi trovo sullo STAR2, il minibus elettrico che percorre le viuzze del cuore torinese, attraversando agilmente il Quadrilatero: il centro nascosto, ammicca il web, fatto di stradine e piazzette, ristoranti tradizionali e cucina internazionale.

Seduta composta davanti a me vedo una coppia, entrambi all’apparenza prossimi ai settant’anni. Lei, palpebre abbassate, appoggia il capo sulla spalla di lui e, mormorando, dice di avere la testa che le gira tutta. Temo non si senta granché bene. Lui si impegna nel tentativo di distrarla, con premura e humor, con un certo stile garbato e piacevolmente inconsueto.

Insieme a loro c’è un cane, un meticcio dall’aspetto mansueto lungo disteso a terra davanti ai quattro piedi. Sia lei sia lui tengono le mani in grembo, morbidamente abbandonate come in Dhyana Mudra. Il loro modo di conversare, l’andamento affiatato delle battute, quasi un ritmo noto soltanto ad essi, tutto induce a pensare a una coppia navigata, con una storia vera e coraggiosa alle spalle, scarna di ipocrisie. Una coppia da tempo congedatasi dalle convenzioni, ma pur sempre dotata di un proprio charme, nonostante l’età avanzata.

Ho pensato, non so perché o forse sì, che dei due sarà lei ad andarsene per prima. Ho immaginato lui e il cane, desolati e smunti, in un bell’appartamento dal parquet consumato dal calpestio di una vita lunga e agiata, una casa piena di libri – letti, sottolineati, riletti, dimenticati – e di tappeti orientali che poi chissà dove andranno a finire: ho immaginato, chiudendo per un attimo gli occhi, strati impalpabili di polvere e silenzio.

Dell’uomo mi colpiscono le mani, estremamente curate, e nel complesso l’atteggiamento sicuro di sé, ma gentile, impreziosito da quelle galanterie d’antan che lasciano fantasticare una gioventù di allegre scorribande e ardite conquiste. Lei, pur nell’evidente disagio fisico, mantiene il tono stanco di chi ne abbia perdonate tante e si senta in diritto di prendersi ancora qualche microscopica, tardiva rivincita coniugale.

Chissà dove sono diretti, da dove arrivano. Non li rivedrò mai più: ne provo un infondato e irrazionale struggimento. Il colore che accomuna il loro abbigliamento è senz’altro il grigio, in almeno cinque nuance. E lui ha dei bellissimi occhi, molto stanchi di essere azzurri.

____

 

Coppia / 2

Serata finale degli europei di calcio. Avevano lasciato in auto la bambina. Faceva molto caldo in città, forse la piccola stava chiusa lì dentro da un pezzo.

Io non ho capito subito che qualcuno stesse picchiando con forza le mani contro i vetri dell’automobile e gridasse con quanto fiato in gola. Mentre aprivo con studiata lentezza il lucchetto, che serrava la catena della bicicletta legata al palo, mi guardavo intorno inquieta, ma non riuscivo a capire che cosa stesse accadendo né a mettere a fuoco la provenienza di quelle allarmanti onde sonore.

Finché ho visto arrivare la presumibile mamma, tutta in ghingheri per l’evento serale, dal dehors della caffetteria lì accanto: la guardo dirigersi ostentatamente flemmatica, ancheggiando in equilibrio su zeppe vertiginose, verso alcune automobili parcheggiate in seconda fila.

La catena in mano ormai lunga fino a terra, osservo la donna che apre la portiera dell’auto e viene assalita dalla rabbia incontenibile della bambina in lacrime, la cui furia è tale da procurarle quasi un conato di vomito; sopraggiunge intanto anche il presumibile papà: entrambi i genitori ridacchiano. Ridono guardando la propria figlia spaventata e piangente. E poi ancora ridono, distogliendo per un istante lo sguardo rivolto in basso, verso la bambina, e fissandosi l’un l’altra con occhi infuocati e complici, ognuno con la birra in una mano, lo smartphone nell’altra.

Si fa urgente, per il mio cuore agitato, allontanarmi al più presto da lì, dal chiasso sguaiato del bar che, per l’occasione ghiotta di un incasso di cui poter dire il giorno dopo “tanta roba”, ha allestito le solite sedie impilabili e tavolini in gran quantità, con tanto di casse acustiche posizionate verso l’esterno del locale e due monitor adibiti a schermo televisivo, esondando il proprio arredo in polipropilene bianco sull’ampio marciapiedi del viale cittadino.

Via, via! Pedalo lesta lungo la ciclabile, avvertendo due lacrime solcarmi le guance, le mani salde sul manubrio. Provo una radicale e umanissima solidarietà con la bambina. Mi immedesimo nella bambina. Io sono ancora figlia, ancora essendo quella che piange.

____

Un’aragosta

C’era un’aragosta al supermercato. È tutto il giorno che ci penso.

L’ingombrante crostaceo era stato posato sul letto di ghiaccio tritato su cui giacevano, in bella mostra, molluschi e pesci di varia foggia e in quantità ormai tutti passati a miglior vita.

L’aragosta, invece, sopportava ancora il privilegio dell’esistenza, sempre più assimilabile, tuttavia, a un gravoso fardello. Si muoveva con tale lentezza che a uno sguardo distratto poteva sembrare immobile, bell’e morta.

Se invece si rimaneva in paziente osservazione si poteva notare che l’aragosta tentava di spostarsi, di allontanarsi dalla morsa del gelo, o almeno questa era la mia personale interpretazione, ma non appena si avvicinava al bordo inferiore del bancone la commessa, con cinico automatismo, la afferrava decisa, la mano guantata in PVC, e senza la benché minima parvenza di garbo la ributtava al punto di partenza come in un macabro gioco dell’oca: ecco… stattene lì, in cima al tuo montarozzo, pareva che pensasse mentre la spostava come una cosa, ma una cosa che suscita ribrezzo.

L’aragosta per un poco giaceva immobile, forse stordita, e poi, sempre più lenta e goffa, ricominciava a muoversi, abbozzando l’ennesimo, istintivo quanto vano, tentativo di fuga verso il basso.

Ancora adesso che la giornata volge al termine e i neon del supermercato, uno dopo l’altro, saranno stati spenti da un pezzo; adesso, sì, che la commessa giace esausta e struccata sul letto, telecomando in mano, regina incontrastata dello zapping serale nella passiva attesa che annotti; ancora adesso io ripenso all’aragosta condannata a divenire pietanza.

Come sopportare l’idea del calvario – ignorato nella tragica compiutezza dai vari soggetti che ne sono stati cagione in momenti e con ruoli differenti – quel calvario, dicevo, che simbolicamente sta tra lo strappo crudele dal suo mare perduto e un piatto sbeccato pieno di avanzi?

 

2 Commenti

  1. Il brano sull’aragosta mi ha fatto pensare che, grazie alle scoperte scientifiche, potremmo permetterci di non imprigionare né mangiare miliardi di animali d’allevamento, sostituibili con la carne sintetica o vegetale, con una cucina tale da rendere molto simili i piatti a quelli di prima. Potremmo permetterci di risolvere i conflitti internazionali con la diplomazia anziché con le guerre , se lo volessimo, se fossimo disposti a rinunciare a qualcosa per conservare il bene più prezioso, la pace (che è una breve parola, sembra una piccola cosa, invece significa molto: vite, salute, natura preservata, futuro). Grazie alle energie rinnovabili e a una diversa mobilità potremmo rallentare il più possibile il cambiamento del clima. Con una maggiore distribuzione delle ricchezze potremmo avere meno divario sociale e bambini che possono mettere a frutto i loro talenti coltivandoli con gli studi e le scelte appropriate. Potremmo essere più sereni e questa Terra potrebbe non assomigliare più a una valle di lacrime.

    • Gentile Roberta, grazie per la lettura e il suo commento. Penso anch’io che se fossimo più disposti alla rinuncia, se coltivassimo e insegnassimo ai bambini un’attitudine a una serena frugalità, se facessimo qualcosa di concreto e coerente con i nostri proclami ambientalisti e pacifisti potremmo, forse – e sottolineo il forse – aspirare a un mondo un po’ meno indecente di questo. Su tutti gli altri aspetti toccati dal suo intervento non sono in grado di dire alcunché, trattandosi di temi di estrema complessità e, in linea di massima, essendo alquanto diffidente rispetto a scoperte scientifiche che possano rivelarsi cosa buona e giusta per gli umani, gli animali e l’ambiente. Desidererei che la scienza fosse indipendente e trasparente e non gestita da soggetti privati poiché solo così potrei fugare il sospetto che ogni passo avanti nel cosiddetto progresso scientifico venga compiuto a fine di lucro senza alcuno scrupolo per il benessere degli umani, degli animali e dell’ambiente. In linea di massima credo molto nelle piccole scelte quotidiane alla portata di ognuno di noi, che con il tempo si fanno sane abitudini di vita in armonia con le stagioni della vita. La valle di lacrime non ci è capitata come un meteorite in giardino, abbiamo le nostre responsabilità (intergenerazionali) che prima o poi dovremo pur iniziare a sviscerare, elaborare e ammettere innanzi tutto con noi stessi. Questo naturalmente è solo il mio punto di vista e non vuole dare adito ad alcuna polemica.
      Un caro saluto

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

Haskell Indian Nations University — Dall’oppressione all’opportunità

di Francesca Beretta
Se pianifichi di visitarla, l’America, quella delle coste, dei grandi parchi, dei grattacieli luccicanti, di qui non ci passi. Eppure se la cerchi, l’America, quella profonda, quella delle pagine buie che non vuoi ascoltare, Haskell ti parla.

Il nostro felice niente. Per Patrizia Cavalli

di Rosalia Gambatesa
La sua poesia senza intellettualismi vi si mostra qual è, una pellicola impressionata da tutte le manifestazioni del cielo e dell’umano. Scorre insieme alla vita, nella benedizione e maledizione delle giornate, ora leggere e luminose e foriere di splendidi amori, ora oppresse dal cielo bianco senza speranza di pioggia e volti amati.

Marie Ndiaye, una scrittura dell’inquietudine

di Ornella Tajani
Se c’è una tonalità caratteristica della scrittura di Marie Ndiaye è forse l’inquietudine. Per l’autrice, classe 1967, la realtà oggettiva è sempre un concetto relativo, una materia manipolabile

Il vergognoso silenzio dell’Occidente su Gaza – editoriale del Financial Times

Dal Financial Times
Dopo 19 mesi di un conflitto che ha ucciso decine di migliaia di palestinesi e ha indotto ad accusare Israele di crimini di guerra, Benjamin Netanyahu si sta preparando ancora una volta a intensificare l’offensiva di Israele a Gaza

Sul ponte Secco. Una strada per la Georgia

di Elisa Baglioni
«Ora tutti se ne vanno perché dicono di non trovare lavoro, ma bisogna sapersi accontentare, il lavoro c’è. E poi lasciare la propria casa, i propri affetti e i propri luoghi, non l’ho mai desiderato. I miei figli non se ne sono andati, sono tutti a Tbilisi.»

La riscoperta dell’alfabeto di Alessandro Conforti: “La mula e gli altri”

di Daniele Ruini
Per confrontarsi apertamente con i Grandi Autori ci vuole coraggio, e un po’ di incoscienza; qualcuno potrebbe parlare anche di presunzione, ma non si percepisce nessuna ombra di superbia nel modo in cui il parmense Alessandro Conforti ha voluto omaggiare l’esordio letterario del suo illustre concittadino Luigi Malerba
ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: