The Pale King, di David Foster Wallace
(Little Brown & Co., USA + Hamish Hamilton, GB per Penguin Europa – pagine 547, Aprile 2011)
(Einaudi, IT – metà Ottobre 2011, traduzione di Giovanna Granato)
Lo scrittore stenografo – Di Charles Dickens si sa che a 16 anni, dopo 2 o 3 di sfruttamento in fabbrica dove sgobbò per risarcire i debiti di suo padre (finito in carcere col resto della famiglia: metodi Vittoriani, sapete – ndr), imparò la stenografia, e a 18 era il più veloce e preciso stenografo del Parlamento inglese: ci avrete fatto caso, nelle sedute parlamentari c’è sempre qualcuno, in genere una donna, seduto a un banchetto posto al centro, tra gli scranni del consiglio dei ministri e l’emiciclo opposto (l’intero, appunto, arco parlamentare), che digita meccanicamente su un apparecchio – sta stenografando per verbalizzare la seduta in corso, ora in tecnologia digitale, ai tempi del grande romanziere in erba con carta inchiostro e pennino. Dickens imparò bene quel mestiere per non tornare a lavorare in fabbrica, dove, come poi avrebbe raccontato sempre, l’infanzia veniva sfruttata, come le donne, secondo un sistema assistenziale e vessatorio mai messo realmente in discussione, anzi ‘religiosamente’ dato per scontato: Dickens lo denunciò, anche se non rinunciò mai al tono comico, all’ironia lieve, arrotondandone forse troppo la ferocia, per quanto la sua cosiddetta “letteratura per ragazzi” è zeppa di criminali prostitute orfani ragazze–madri violenze e violazioni, e tutta una società attorno costruita e mantenuta uguale per vessare i deboli e conservare i privilegi ai forti.













