di Giuseppe Zucco
Noi siamo incidenti
in attesa di verificarsi.
Radiohead
1. Lui.
E poi?
Poi niente.
Niente?
Niente per anni.
Neanche una volta?
Mai più.
di Giuseppe Zucco
Noi siamo incidenti
in attesa di verificarsi.
Radiohead
1. Lui.
E poi?
Poi niente.
Niente?
Niente per anni.
Neanche una volta?
Mai più.
23 settembre 2011 ore 21.00.
Libreria Popolare di via Tadino, 18 Milano
Ad un mese dalla prematura scomparsa del poeta Giuliano Mesa, i suoi versi saranno letti dall’amico Biagio Cepollaro.
Giuliano Mesa (1957-2011), tra i poeti della sua generazione, è stato uno dei pochi che ha intrecciato nel suo fare poesia sia le esigenze della letteratura (la ricerca formale, la coerenza dello stile) sia quelle del pensiero critico, la necessità storica della visione etico-politica del mondo e, cosa più rara, il rigore concreto del proprio comportamento, l’incarnazione quotidiana dei propri valori senza compromessi. E’ stato uno dei pochissimi della sua generazione a sottrarsi sia ad un certa idea accademica dell’avanguardia letteraria,sia ad una sua ideologica negazione, restando immune rispetto alle trappole delle sterili opposizioni e fedele a qualsiasi costo all’esperienza diretta della storia, senza narrazioni posticce e ‘innamorate’ e senza illusioni palingenetiche.
Gentile direttore,
ho appena finito di leggere l’interessante articolo di Guido Crainz “Dov’è finito il bene comune”, che auspica un rinnovamento del Paese nel segno di una palingenesi politica che nasca dal “rimettere in moto la fiducia e la speranza collettiva”. E fin qui niente di nuovo, perlomeno per chi legge con consuetudine, come il sottoscritto, il giornale da lei diretto. Però un elemento di questo articolo, come di tante altre analisi di queste settimane in particolare, non condivido completamente.
L’esortazione dell’articolista a “diventare adulti” non può essere estesa a tutti gli italiani. Anche queste generalizzazioni rischiano infatti di finire tra le “fantasmagorie” denunciate dall’articolista, anche se di altro segno, restituendo un’immagine del Paese giornalisticamente efficace, ma falsa.
di Andrea Inglese
Mi sono rivisto una parte del documentario Route 181. Frammenti di un viaggio in Palestina-Israele. È un lavoro realizzato nel 2002 dal cineasta palestinese Michel Khleifi e dal cineasta israeliano Eyal Sivan. Il duplice sguardo garantisce una esplorazione della realtà palestinese e israeliana all’insegna della complessità. Per qualcuno che non è mai stato fisicamente in Israele e in Palestina è un documento fondamentale. Ma dentro questa complessità è possibile cogliere delle gerarchie, toccare dei nodi fondamentali. In un’intervista realizzata da Sergio Di Giorgi per “il manifesto” (13 gennaio 2994), Khleifi dice ad un certo punto questa frase:
“D’altra parte, penso che il vero trauma degli israeliani non sia la Shoah: credo che il loro trauma collettivo, ma inespresso, sia di sapere che hanno commesso un abuso incancellabile nei confronti del popolo palestinese.”
Ad una prima lettura, questa può sembrare quasi una frase ad effetto, ed invece – il documentario lo conferma – è una frase molto precisa. Ma per comprenderla appieno, bisogna riformularla, attraversando nuovamente le immagini e le voci che i due registi hanno raccolto.
In barba a tutte le grandi strategie di marketing e comunicazione va detto come il mezzo migliore per la diffusione di un’opera sia il passaparola, (i francesi lo chiamano bouche à oreille) a condizione che il primo sia di bocca buona e il destinatario di orecchio fine. Sicuramente è lo strumento più affidabile e meno prevedibile perché se è vero che al “passatore di libri” potrà capitare di sbagliare il passaggio – vedrai che questo libro ti piacerà e magari non è così- è altrettanto vero che non consiglierà mai un libro che non abbia amato, senza se e senza ma, e soprattutto perché deve. I “passatori di libri” fanno quello che ormai i recensori – e non dico i critici- già da tempo non fanno più, limitandosi a farsi parte di quel processo che nelle redazioni cultura dei quotidiani si chiama “ufficistampizzazione della comunicazione sui libri” ovvero il limitarsi a pubblicare il comunicato stampa diffuso dalle case editrici, comunicato talvolta redatto dallo stesso estensore dell’articolo. Uno dei miei “passatori di libri” preferito è mio fratello Geppi. Così quando la scorsa settimana sono stato da lui a La Spezia mi ha segnalato con entusiasmo l’iniziativa del corriere, Inediti d’autore. Li ha presi dalla sua biblioteca temporanea e me li ha fatti vedere. Poichè penso che il mestiere di un editore si veda oltre che dal proprio catalogo anche dalla qualità del libro, la prima cosa che ho pensato è stata: non è la solita solfa, questi libri sono tipograficamente belli. Non entro nel merito dei titoli scelti dal curatore e nemmeno nell’ineditudine degli scritti. Ci sono infatti degli autori che non mi sognerei nemmeno di consigliare al peggiore nemico anche perché sono certo che gli converrebbe e come tanti penso come recita il “si dice”, che in letteratura nulla sia più inedito di un’opera già edita. A me, ora, qui, interessa parlare del libro che mi ha scelto: Day Hospital di Valerio Evangelisti. Un gran bel libro e proverò a spiegare il perché.
Raffaele Alberto Ventura [articolo già apparso qui]
Questa è una storia bizzarra, paradossale, persino affascinante. Una storia vera dell’epoca della coda lunga, che (naturalmente) inizia sulle pagine di Amazon. Comincia con me che capito su una serie di libri dedicata ai generi musicali e capisco rapidamente, per via di una certa incoerenza nella strutturazione dei capitoli, che si tratta di compilazioni tratte da Wikipedia. In effetti l’autore indicato è proprio “fonte wikipedia”, in apparenteinfrazione della licenza CC-BY-SA con la quale sono rilasciati i contenuti dell’enciclopedia collaborativa. Digitando il nome dell’editore nel motore di Amazon, capito su altri titoli.Agricoltura (38 pp), Abati francesi (54 pp), Accordi Diplomatici Della Prima Guerra Mondiale (52 pp) o ancora Ebraismo (178 pp) o Generi cinematografici (126 pp). La grafica di copertina è sempre identica: sfondo colorato e la fotografia d’un fiore. Il prezzo, prima che Amazon li rendesse indisponibili alla vendita in Italia, era di circa dieci euro l’uno.
Yuri Herrera (1970) è autore di due romanzi fondamentali per la letteratura latinoamericana contemporanea. Grazie a Nuova Frontiera, i lettori italiani potranno leggerli entrambi, a partire da La ballata del re di denari (Trabajos del reino), appena uscito nella traduzione di Pino Cacucci. In tempi in cui il mercato editoriale spinge gli scrittori verso una bulimia e una iper-produzione che indebolisce (e a volte annichilisce) lo spirito critico anche degli autori più promettenti, Herrera fa propria un’etica della scrittura tanto rara, quanto preziosa per la riflessione letteraria attuale.
di Marco Ceriani
Del miele in maestria superiore alla sua arnia
e del ferro superiore in maestria alla fucina –
del pane in maestria superiore al suo fornaio
e del quarto di bue di più in maestria di chi uncina –
non è rimasto nulla, traccia sopra traccia d’urla
di un nulla superiore in maestria a quel suo tutto.
Così la morte nostra al nostro servizio con una vanga brulla
traccia una profonda linea sulla brughiera escussa che dà in un rutto.
di Helena Janeczek

C’è stata l’irruzione dell’imprevisto nella moria protratta dell’era Berlusconi, nell’inflazione di sempre nuovi nomi di donne, mediatori, inquirenti. Sono giorni che in rete – su Facebook in particolare – continua a propagarsi l’intervista alla escort Terry de Niccolò, e nella foga dei commenti resuscita un sentimento riversato ormai quasi per consuetudine e senso del dovere su Silvio Berlusconi in persona, persino quando viene intercettato mentre dice di governare a tempo perso. Scandalo: nel senso della pietra d’inciampo o della botta in testa inattesa.
di Gianluca Veltri
Mariano Deidda, che canta poemi d’altri – Pessoa, Deledda, Pavese –, ama pensare che i grandi poeti abbiano scritto quei versi proprio perché lui li cantasse, né più né meno di come Mogol creava strofe per Battisti.
Senza dover ricorrere a Deidda, fautore di un’intrinseca necessità letteraria nella musica leggera (e che peraltro appartiene a un’altra leva), è forte l’impressione che i cantautori delle ultime generazioni si nutrano di suggestioni poetiche e cinematografiche in maniera più netta, o forse più evidente, rispetto ai fratelli maggiori. Sarà la ricerca di una patente, o un plus di credibilità. Certo, prima c’era De André che metteva su disco l’Antologia di Spoon River o i vangeli apocrifi. Ci sono De Gregori, Fossati, Conte e Guccini, le cui canzoni sono sempre grondanti di travasi letterari. Ma il crossover tra la musica e la letteratura, il cinema, il teatro, sembra essere una delle cifre del cantautorato – indie o meno – anni Zero.
di Sergio Rovasio
Il Sindaco di Berlino dell’Spd, Klaus Wowereit, gay dichiarato, rieletto per la terza volta alla guida della città, accoglierà il papa il prossimo 22 settembre durante la sua visita al Parlamento tedesco. Oltre 100 parlamentari tedeschi hanno annunciato che diserteranno la seduta parlamentare quando il papa prenderà la parola.
Certi Diritti ha inviato oggi una lettera aperta al Sindaco di Berlino invitandolo ad accogliere il papa con il suo compagno convivente al fianco. Qui di seguito il testo integrale della lettera aperta:
Signor Sindaco di Berlino,
nel farle i complimenti per la sua terza elezione alla carica di Sindaco di una delle città più gayfriendly d’Europa, la invitiamo a fare un gesto molto importante per le comunità lgbt europee.
di Andrea Inglese
Inutile trattarle con ironia o condiscendenza, le narrazioni esistono nel frantumato mondo della sinistra italiana, ed esistono ancora prima che qualcuno come Vendola ne denunci l’insufficienza o la mancanza. Avranno perso la maestosità novecentesca, ma pur diminuite e rabberciate affiorano nelle discussioni pubbliche o private, in bocca a dirigenti di partito o nei messaggi in rete tra militanti. Ve ne sono due almeno, tra le più ricorrenti e sclerotizzate, che varrebbe la pena di evocare. Una coesiste grosso modo con la dirigenza del PD ed è un racconto di opportunità da cogliere e di buon governo. Ha come protagonisti i membri della classe media e come grande nemico il mefistofelico Berlusconi. L’altro è un racconto di contestatori che si vogliono lucidi e irriducibili, e ha come protagonisti piccoli gruppi di militanti calati nelle trincee. Il nemico, in questo caso, è l’onnipotente e pervasiva macchina del potere capitalistico; da essa si dà una sola opportunità di scampo: la Rivoluzione mondiale, ad orologi sincronizzati.
di Fabrizio Tonello
C’è un burlone che si aggira per le redazioni italiane. Un astuto militante per i diritti umani, probabilmente iscritto ad Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni consimili. Il simpatico falsario è riuscito a piazzare un lungo articolo, “Le tre lezioni dell’11 settembre” sulla pagina degli editoriali della Stampa di domenica scorsa, diffondendo le tesi care a tutti i veri democratici: “Non si può vincere il terrorismo solo con gli eserciti”, il concetto di global war on terror è una cazzata, occorre “coinvolgere attivamente le società civili per sviluppare il dialogo tra civiltà e culture diverse”, dobbiamo “migliorare i meccanismi di integrazione all’interno delle nostre società multiculturali” (già echeggiano le urla di Borghezio e i grugniti di Bossi mentre il dentista Calderoli impugna minacciosamente il trapano).
L’illuminato opinionista criticava, inoltre, i “regimi dittatoriali e sanguinari” del Medio Oriente, che l’Occidente aveva “cinicamente accettato” di sostenere. Per fortuna, “questi patti sono stati irreversibilmente spazzati via dal vento delle rivoluzioni arabe”. Insomma: un editoriale che avrebbe potuto ben figurare sul Manifesto. L’anonimo collaboratore della Stampa ha però voluto esagerare e, invece di ricorrere a uno pseudonimo, si è firmato “Franco Frattini, ministro degli Esteri”.
“Età. Parlatene il meno possibile, non confessate la vostra, non chiedetela agli altri”. Ecco cosa raccomandava Irene Brin, la più snob e internazionale fra le scrittrici e le giornaliste italiane, alle sue lettrici. Chissà cosa penserebbe dell’imminente festeggiamento per il centenario dalla sua nascita, ma ancor di più chissà cosa direbbe del Dizionario del successo e dell’insuccesso, operazione editoriale della palermitana Sellerio che ha pescato un po’ da I segreti del successo e un po’ da Il Galateo, entrambi pubblicati da Colombo Editore rispettivamente nel 1953 e 1954, per creare una sgradevole accozzaglia di lezioni di vita e di stile che al tempo Brin firmò con lo pseudonimo di Contessa Clara. Forse risponderebbe con quella pungente ironia tanto cara a Luigi Barzini Jr. che la volle a La Settimana Incom, o forse non farebbe niente perché, lei che del sarcasmo e della superiorità era diventata maestra, sapeva bene rispettare l’etichetta, controllando in pubblico i sentimenti e mostrando sempre un’algida moderazione.
di Enzo Cucco
Il prossimo censimento generale della popolazione che parte ad ottobre, sarà la prima vera occasione istituzionale per dare visibilità alle coppie conviventi in Italia.
Come sapete fino ad oggi per conoscere la realtà delle famiglie NON fondate sul matrimonio e programmare interventi (legislativi, sociali, culturali, ecc.) si poteva far ricorso solo a qualche stima, senza che le statistiche offerte fossero riconosciute come la fotografia attendibile di questa realtà. A differenza di quanto accade nel resto dell’Europa dove da molto tempo tutte le forme famigliari sono oggetto di studio e ricerca senza pregiudizio alcuno.
Oggi come nel passato la strada che porta al riconoscimento pieno dell’uguaglianza passa attraverso l’emersione di una realtà sommersa da una coltre spessa di autocensura e timore.
di Giovanna Cosenza da DIS.AMB.IGUANDO
Ieri – l’abbiamo visto – i media puntavano su una intercettazione inutile come notizia (non c’era nulla di nuovo), ma utile a vendere di più.
Oggi invece, vivaddio, le prime pagine sono più interessanti: puntano sui numeri, sulla quantità.
Simon Reynolds sarà ospite alla quarta edizione del Festival “Arca Puccini”, a Pistoia il 17 e 18 settembre. Tutto il programma è consultabile qui .
di Simone Caputo
Simon Reynolds è uno dei critici musicali più noti e influenti nel mondo. Inglese, nato negli anni 60, come tanti giovani aspiranti giornalisti di un tempo inizia a scrivere per una fanzine, Monitor, per poi arrivare qualche anno più tardi alle pagine di una celebre rivista degli anni 80, Melody Maker. La sua scrittura intensa, ma sempre chiara e diretta, affronta, nel corso degli anni generi disparati, come dimostrano i libri così diversi tra loro, che pubblica a partire dagli anni 90. Due le caratteristiche comuni a tutti i testi: il continuo tentativo di tenere insieme racconto, analisi e sguardo sulla realtà, e l’ambizione a far emergere dalle parole sulla musica una sostanza teorica.
8 spunti lucreziani
di Andrea Inglese
2.
At nunc per maria ac terras sublimaque caeli
multa modis multis varia ratione moveri
cernimus ante oculos, quae, si non esset inane,
non tam sollicito motu privata carerent
quam genita omnino nulla ratione fuissent,
undique materies quoniam stipata quiesset.
(I, 340-345)
Si vede, nel video, come se ne vanno,
come vengono, e partendo ritornano,
e poi lasciano, si ritrovano, convergono
in altri moti divaganti, sparpagliati
o compatti, sono masse fluenti, sono
flussi umani, ma senza salvifica
orbita, ognuno abbandona il posto
proprio per uno più in basso o in alto.
Lo spazio c’è, vuoto, per passare, le soglie
non fanno inciampo, neppure le frontiere
di mare tengono fermo l’ammarato
che sconfina, tutto gonfio d’acque,
a Porto Palo, e sotto l’onda, obliqui,
scorrono, oscuri, oltrefrontiera i neri
tra una terra e l’altra, le correnti portano
via ininterrotte, anche senza un porto,
una bara stagna, un buco di sepoltura.
Sabato 17 settembre 2011 ci sarà una grande festa delle tribù d’Italia per chiudere insieme l’esperienza di “Cammina cammina” là dove l’avventura ha avuto inizio, presso il cantiere della Cascina Cuccagna di Milano.
Come ha scritto Antonio Moresco:
“Sembrava una cosa impossibile, invece è successa: dal 20 maggio al 3 luglio più di 700 donne e uomini hanno camminato da Milano a Napoli per ricucire l’Italia coi loro passi. Così abbiamo pensato di fare una festa alla Cascina Cuccagna (da dove eravamo partiti) per il piacere di rivederci e di riabbracciarci. Ci ritroveremo dopo che ci siamo incontrati per la prima volta sotto il sole e la pioggia lungo strade e sentieri, che abbiamo dormito insieme nelle camerate di ostelli e conventi. Pranzeremo all’interno della Cascina e poi ci metteremo tutti insieme a fare nuovi progetti per il futuro, con quanti hanno condiviso la fatica e la gioia della nostra prima impresa e con quanti vorranno partecipare alla nuova impresa più impossibile ancora che abbiamo in mente per l’anno prossimo e che abbiamo chiamato Stella d’Italia”.