Home Blog Pagina 327

QUANDO LA SINISTRA E’ PARTE DEL PROBLEMA

40

di Sergio Lo Giudice

Massimo D’Alema, intervistato da Diego Bianchi (in arte Zoro) a un dibattito alla festa de l’Unità di Ostia, sui matrimoni fra persone dello stesso sesso ha dichiarato: “Sono favorevole al riconoscimento delle unioni omosessuali, ma il matrimonio, come è previsto dalla Costituzione, è l’unione tra persone di sesso diverso, finalizzata alla procreazione. Del resto, le organizzazioni serie di gay non hanno mai chiesto di potersi sposare in chiesa. Penso che il sentimento degli italiani che ritengono che il matrimonio sia un sacramento vada rispettato“.

Gentile (ma sempre meno caro) D’Alema,
è difficile per un politico di lungo corso come lei mettere insieme una simile serie di errori e castronerie una inanellata all’altra.

1. L’art.29 della nostra Costituzione non dice per nulla che il matrimonio debba essere tra persone di sesso diverso, né che debba essere finalizzato alla procreazione. Chi dice che la Costituzione impedisce al Parlamento italiano di legiferare sul matrimonio gay, dice una falsità smentita dalla sentenza della Corte Costituzionale 138 del 2010 e da tanti autorevoli costituzionalisti, a partire da Stefano Rodotà.

Epos e new epic – Is there an epic in those texts?

64

ovvero

Il senso dell’ovvio: come mai Omero non è Wu Ming.

di Daniele Ventre

“Il realismo è la ricerca di una rappresentazione per quanto possibile “oggettiva” del mondo, vicina al (tangibile, materialissimo) “compromesso percettivo” chiamato “realtà”; presuppone quindi un lavoro sulla denotazione, sui significati principali e condivisi. Quando descrivo una scena di miseria avvilente, e cerco di trasmettere con precisione tale avvilimento, sto gettando un ponte verso il lettore, mi rivolgo a quella parte di lui – quella parte di noi tutti – che trova avvilente la miseria. L’epica è invece legata alla connotazione: è il risultato di un lavoro sul tono, sui sensi figurati, sugli attributi affettivi delle parole, sul vasto e multiforme riverberare dei significati, tutti i significati del racconto. Al lettore sto gettando un altro ponte, qui mi rivolgo al suo desiderio, desiderio di spazio, di scarti e differenze, di scontro, sorpresa, avventura”.

Così suona l’ormai famosissima distinzione fra realismo ed epica, instaurata da Wu Ming 1 (alias Roberto Bui) nel suo New Italian Epic: una distinzione non certo rigida, per due ovvie ragioni addotte da Wu Ming stesso, visto che esiste, nel cinema come nella letteratura, un realismo epico, e visto che la spontanea tendenza (neurologicamente radicata) del linguaggio umano a essere metafora e connessione archetipica rende di fatto impossibile, in principio -e forse, almeno in certi casi, di principio-, la denotazione pura, come si evince dalle analisi condotte da Furio Jesi sul meccanismo mitopoietico (1) -e se dovessimo portare all’estremo le conseguenze del ragionamento, se ne dovrebbe inferire, con Goodman più che con Derrida (2), che la realtà non è tanto un compromesso percettivo, quanto piuttosto la sommatoria di costruzioni nominal-metaforiche “opportune”, cioè operativamente funzionali o in qualche modo “trincerate” nel sistema di un sentire comune primario, di specie (3).

ADIEU, VENISE

46

di Massimo Rizzante

Visitare il Padiglione Italia della 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia organizzato da Vittorio Sgarbi è un’esperienza abissale, nel senso che ci conduce nell’abisso della situazione intellettuale e artistica contemporanea, di cui l’Italia è un’avanguardia ormai riconosciuta in tutto il mondo.
L’idea di Vittorio Sgarbi è stata quella di invitare più di 250 uomini e donne di cultura a scegliere un’opera di un artista italiano vivente e poi di riunire, o meglio, di ammassare in un unico spazio, le Corderie dell’Arsenale, tutte le opere, intitolando l’esposizione L’arte non è cosa nostra.
Credo che, se stiamo al titolo e alla disposizione della mostra, i due intenti maggiori del curatore siano stati in primo luogo affermare che l’arte non è qualcosa che appartiene alla mafia dei critici d’arte, dei galleristi e dei collezionisti, ma a tutti gli uomini e donne di buona cultura e di buona volontà, e, in secondo luogo, che le opere d’arte, private di un giudizio critico in grado di definire una qualsiasi gerarchia di valori, possono essere collocate alla rinfusa, come qualsiasi altra merce, in un deposito.

Le polveri

0


[display_podcast]

di Helena Janeczek

Cosa ci fa una pubblicità in polacco nella metropolitana newyorchese? Non ho pazienza per decifrare il testo che accompagna la foto di un uomo con la faccia da operaio, però scorrendo sopra le teste dei viaggiatori, l’occhio trova un cartello in spagnolo e infine una donna di colore con scritta in inglese.

Notorietà del vuoto 1

14

8 spunti su Lucrezio

di Andrea Inglese

1.
Nec tamen undique corporea stipata tenentur
omnia natura; namque est in rebus inane.

(I, 329-330)

Nella cosa c’è il vuoto, il difetto, lo strappo.
C’è il tappo, lo scolo, il beccuccio, il forato.
C’è la porta, la finestra, l’uscita e l’entrata.
C’è il vano, la fessura, l’oblò, il cassetto.
C’è il buco del cesso, la crepa murale,
la falla nel sistema nervoso centrale.
C’è il baco di Palo Alto
nella rete telematica mondiale.

C’è quella cosa che fa male
anche nel bunker della merce:
la feritoia fatale, carnale,
una bocca da riempire
di voce da sputare.

Non basta stipare la stiva
di spesa, qualcosa, nell’angolo,
rimane da colmare,
qualcosa dentro
la maglia stretta dei tessuti
che sempre se ne scappa. Si comincia
a morire.

Nuovi autismi 4 – Un posto fisso

16

di Giacomo Sartori

Quello che mi piacerebbe sarebbe un lavoro che finisce alle cinque. Uno si dà da fare tutta la mattina, a mezzogiorno fa la pausa pranzo, e poi tra una cosa e l’altra vengono subito le diciassette, e ha finito di sgobbare. Uscendo dalla sede lavorativa inspirerei profondamente. Guarderei le case e mi direi: questa è la città dove abito, la città dove lavoro. Questa è la mia città, mi direi, ben sapendo che sono io che appartengo alla città, non la città che appartiene a me: in genere le città vivono più a lungo delle persone. Ma si dice così, e allora mi conformerei. L’etimologia del sostantivo lavoro è spudoratamente aristocratica, però io avrei il sentimento di aver devoluto il dovuto alla società, di aver contribuito con la mia dose quotidiana di costruttiva operosità. L’inverno sarebbe già buio, ma l’estate ci sarebbero ancora diverse ore di luce. Del resto anche l’illuminazione artificiale delle serate invernali ha il suo fascino. Le persone avvolgono i loro misteri sotto i cappotti, diventano ancora più attrattive, e i locali pubblici acquistano un’aurea di accogliente rifugio a cui è arduo resistere.

“Alfabeta2” n° 12 in edicola e libreria

2

Una primavera in autunno

Sulla copertina del numero 12 di «alfabeta2» campeggia un titolo: Primavera dell’anno Uno. E se pare bizzarro parlare di primavera quando cadono le foglie, basta pensare a quanto è successo negli ultimi mesi per cambiare idea: l’occupazione del Teatro Valle e la riappropriazione dell’ex Cinema Palazzo a Roma, il nuovo impegno del movimento TQ, la ripresa delle lotte in Val di Susa… Vicende diverse, tutte però nel segno di un’azione (finalmente)  collettiva – un’azione che «alfabeta2» accompagna, pubblicando tra l’altro il documento dei lavoratori cognitivi del Valle e i manifesti di TQ con interventi di Giorgio Vasta, Vincenzo Ostuni e Sara Ventroni, oltre a un’intervista a Nichi Vendola sul ruolo della cultura nella politica d’oggi.

Ma settembre è anche il mese in cui riprende la scuola, e di nuovo «alfabeta2» gioca sulla provocazione: La scuola è finita, titoliamo infatti, tranne indicare, nei contributi al focus (due interviste, una di Christian Raimo a Tullio De Mauro e una di Alberto Ghidini a David Cayley, accanto ad articoli di Giuseppe Caliceti, Giorgio Mascitelli, Vinicio Ongini) che a essere finita è la scuola asfittica e mercantile cui siamo abituati da anni. Alla luce dei recenti crolli borsistici il secondo focus, Per un’altra economia, un dossier molto critico nei confronti delle teorie economiche dominanti, che comprende contributi di Giorgio Lunghini e di Stefano Lucarelli e un’intervista a Cristina Tajani.

In una stanza sconosciuta

1


di Gianni Biondillo

Damon Galgut, In una stanza sconosciuta, edizioni e/o, trad. Claudia Valeria Letizia

La letteratura si fa in molti modi, non necessariamente con i romanzi. Epistolari, poesie, invettive, teatro. Tutto ciò che è scritto può essere letteratura, è solo la qualità della scrittura che fa la differenza. Damon Galgut è uno scrittore di ottima fattura, non so dirvi se In una stanza sconosciuta sia un romanzo, un reportage, un mémoire. In teoria è un libro di viaggi. Tre, per la precisione, fra Africa, Europa, India. Ma non aspettatevi una guida turistica.

(tagli)

3

di Viola Amarelli

bozza 1

Un coltello, da roast-beef. Da decenni taglia affilato. Per caso è della marca migliore, la lega di acciaio all’epoca anche lei la migliore. Roba svizzera. La precisione: i tagliagole a mercede hanno bisogno di lame affilate. È – sono – ancora lucido. Imperturbabile, inscalfibile, pare. Il padrone di casa, che non capisce niente di coltelli, continua a usarlo. Ogni tanto adesso – che proprio ora è invecchiato – si chiede chi durerà di più. Se lui o il coltello. Il coltello non ha dubbi. In teoria, stocasticamente, sarà qualcun altro a usarlo.

L’intuizione del propizio: mostra e reading

1

di Biagio Cepollaro

Mostra e Reading all’Officina Coviello.
14 settembre 2011
0re 18.30, via Tadino 20, Milano

ho voluto – o anche: questa vita
di me ha voluto così ora che si raccoglie
che mi sembra di non aver più nulla
da fare e non può essere vero: il freddo
è ancora là, uguale, della stessa
misura degli anni trascorsi al caldo.
è ancora là che fa segni dalla finestra
con l’umidità col giallo dei lampioni
con la minaccia di entrare dentro
in ogni momento perché ogni momento
è buono per essere cattivo.

Avendo scritto poesie per trent’anni ho considerato le parole soprattutto come delle sonde per l’esplorazione del senso. Il suono, l’immagine che nella mente scorre, la disposizione grafica sulla pagina: il gioco della poesia si svolge nel continuo rimando tra immagine, suono e senso.

A Tunisi s’aprono i fiori notturni

1

La storia di un uccello tunisino
di
Medhi Hamili
traduzione di Francesca Bellino e Ahmed Hafiene

Stavamo sognando
la notte in mezzo alla giornata
la mia mano si chinò verso la tua
cercando una passione che ci portò
lontano dalla tempesta
e ci fece atterrare su una montagna verde
noi uccelli impauriti

ci sentivamo soli
ci interrogavamo
e rispondevamo con silenzio
i nostri occhi stavano raccontando storie
e una lacrima che andava
e un’altra che arrivava

E ora
dopo quante estati
che ho sprecato ai lavori forzati
lontano da te
dopo quanti autunni
con le sue foglie morte
la mia anima vagava
un muro sbatteva e un muro accoglieva
e tornavo a scrivere con il mio sangue
il tuo nome che mi fa scordare le pene
Sento che muoio per te

London, 27/11/1894 [ dell’insouciance & alia ]

4

.


Malìa [Londra – 1887]

di Francesco Paolo Tosti [1846 – 1916]

parole di Rocco Emanuele Pagliara [1856 – 1914]

e l’inimitabile ironico Alfred Kraus dal vivo

                                                               Cosa c’era nel fior che m’hai dato? Forse un filtro, un arcano poter? Nel toccarlo, il mio core ha tremato, m’ha l’olezzo turbato il pensier. Ne le vaghe movenze, che ci hai, un incanto vien forse con te. Freme l’aria per dove tu vai, spunta un fiore ove passa ‘l tuo piè. Freme l’aria per dove tu vai, spunta un fiore ove passa ‘l tuo piè.                                                                                                                               Io non chiedo qual plaga beata fino adesso soggiorno ti fu: non ti chiedo se Ninfa, se Fata, se una bionda parvenza sei tu! Ma che c’è nel tuo sguardo fatale? Cosa ci hai nel tuo magico dir? Se mi guardi, un’ebbrezza m’assale, se mi parli, mi sento morir! Se mi guardi, un’ebbrezza m’assale, se mi parli, mi sento morir!

 

di Orsola Puecher

[ un fascio di lettere – legate con un nastrino di raso verde – consunto – riposto da chissà quanti anni nel segreto – nel senso di cassetto invisibile – di un vecchio mobile – alcune d’amore – altre di dolori – e poi queste tre – da Londra – di un ritenuto molto austero bisnonno – baffi a manubrio da dagherrotipo – così cariche di storia – di allusioni – di particolari curiosi – di tenerezze d’antan e di concetti e fatti ancora tanto attuali e irrisolti – dopo ben un secolo e diciassette anni di storia – da risultare davvero sorprendentie poveri i nostri nipoti alle prese con freddi file – niente carta e inchiostro – e asperità e rotondità di belle calligrafie – nè parole misteriose da decriptare che richiedono diversi giorni di riletture – fino al lampo in cui emergono a un senso compiuto – da sgorbietti di segni che erano – come l’inconsueta francoinglese insouciance – incoscienza – noncuranza – spensieratezza – irresponsabilità – così estranea all’odierno dover essere sempre responsabili – coerenti – sempre dalla parte giusta – spirito di un certo modo di vivere e di pensare di una Belle Époque di pace e sorti progressive delle genti – che sarà disilluso di lì a pochi anni dal secolo delle guerre ]



     Carissima Nanna,
     Ieri sera ho ricevuto la tua carissima con quanto piacere tu sola lo puoi immaginare.
     Sebbene la posta per l’Italia non parta che alla sera pure ti scrivo di mattina perchè al mio ritorno dalla City ho appena il tempo misurato per scrivere alla ditta.
     Ieri dunque ho avuto alle 3½ l’intervista con Cox.
     L’impressione della personalità di Cox fu subito favorevolissima. Sebbene abbia l’aspetto di un prete anglicano pure dal contegno dalla franchezza nell’esporre le sue vedute è di molto superiore a certi nostri pezzi grossi che gettano alla faccia la loro importanza come se il mondo pendesse ai loro cenni.
     Cox è stato molto gentile e le sue osservazioni così giuste che francamente altrettanto mi sentirei dubbioso di firmare in Italia un contratto da solo fidandomi del solo mio criterio, altrettanto qui mi sento sicuro che non sarò ingannato e che se noi manterremo le promesse non sarà certo da Cox che ci verranno difficoltà.
     Cara mia in Italia si ha talmente tanto da imparare nel modo di fare affari che non so prevedere quando e come ci arriveremo.
     Qui si trattano affari colossali in poche parole e molto minori scritti perchè l’inganno è sconosciuto precisamente perchè è quello che intralcia e fa perdere tempo e denaro con danno anche del disonesto che si vedrebbe in poco tempo lasciato in disparte.
     Da noi invece…
ma basta lasciamo là quest’argomento che del resto a te non può molto interessare.
     Londra è sempre quella gran città che tu conosci e vi sarebbero tante belle cose da comperare ma non avendo quel bel borsellino ben guarnito che desidererei mi tocca a guardare e passare via.
     C’è però una sensibile diminuzione negli affari e mentre una volta nella City non ci si trovava un bugigattolo d’affittare, ora quasi ad ogni casa vi sono locali d’affittarsi per studio. E’ questa proprio un’osservazione da padrone di casa che pur troppo prova anch’egli i danni dell’arenamento commerciale.
     Alle care bambine dirai che io aspetto con vivo piacere un loro scritto, ed intanto mando mille affettuosi baci,
     Fa un bacio a quell’amore di Carla, ed a te mille e poi mille abbracci e baci dal tuo
          Aff.mo Ginio

 

     London 29/11 94
     Carissima Nanna,
     Ho ricevuto le due carissime lettere delle bambine che ringrazierai a mio nome facendo loro un mondo di baci.
     Anch’io com’è vostro vivo desiderio vorrei tornarmene presto al nido nativo, ma prevedo che le cose non si potranno definire prima della metà della ventura settimana,
     Sin’ora tra lo scrivere, il parlare e discutere e cercar informazioni il tempo mi è passato rapidamente.
     Tanto rapidamente che non ho avuto campo di cercare e provvedere a quanto tu desideravi sapere ed io di comperare.
     Alla mattina mi alzo alle 8 circa e mi trovo pronto per scrivere da fino verso le 9, ora in cui arriva la posta. Rispondo se ho tempo alle lettere della ditta; ma generalmente non arrivo d’impostarle che alla sera.      Alle 10 e mezzo si va alla City dove si sta fino alle 4 ore circa e poi si ritorna a casa per la corrispondenza che deve essere impostata non più tardi delle 6 e un quarto perchè abbia a partire nella sera stessa.
     Alle 8 si pranza, poi bighellonando sino alle 10 circa si torna all’albergo e dopo tutte le ore sono buone per andare a letto.
     Ecco la mia vita nella città di Londra; non ho mai messo piede in dei teatri ne altri divertimenti perchè proprio non ne sento la volontà.
     Se avessi messo a posto tutti gli affari probabilmente avrei anche volontà di divertirmi: ma per la responsabilità che ho indosso caso mai l’esito non fosse quale lo desiderano i miei soci non ho quella insouciance di vita che potrei avere fossi qui a trattare affari più andanti.
     La mia salute però non ne soffre e l’appetito non manca, due cose molto necessarie per l’equilibrio mentale.
     Salutami caramente le bambine a cui scriverò un altro giorno in cui abbia più tempo. A te in particolare affettuosissimo abbraccio.
     Ricevete mille affettuosi baci dal tutto vostro
               Aff. Ginio

     Londra 1/12 94
     Carissima Nanna,
     Oggi essendo sabato gli affari mi lasciano il tempo d’intrattenermi un poco anche con te mia carissima.
     Chissà come sei spiacente di questa mia prolungata assenza!!
     Ma che vuoi anche in questo paese dove tutto dove tutto si fa speditamente non c’è stato modo di fare camminare le cose più presto. E già prevedo che non prima di mercoledì potrò prendere il treno e venire ad abbracciarvi. Oh ma allora vedrai come vi compenserò tutti; te per la prima.
     Ieri ho mandato due righe alle care bambine. In risposta alla loro letterina, spero che saranno soddisfatte. Alla Carla fai tanti baci per mio conto.
     Il mio soggiorno in Londra malgrado gli affari non posso dire mi riesca uggioso, soltanto vorrei averti vicina per farti ammirare ancora una volta quanto vi ha di bello e grazioso in questa città, non esclusa la nebbia che oggi per la prima volta pare voglia mostrarsi in tutta la sua densità.
     Ho però trovato una Londra molto diversa da quando l’abbiamo visitata insieme, i prezzi di tutto gli oggetti sono ribassati e se non fosse il viaggio converrebbe almeno per noi uomini vestirsi e calzarsi qui. Questo mi fa ancora di più, se è possibile, desiderare la tua presenza e diciamolo pure di avere più sterline in tasca per quel ben noto proverbio che il buon mercato conduce l’uomo all’ospedale.
     Intanto che mi rammento se non hai già fatto a Teresa il regalo pel suo onomastico potrei vedere per un oggettino che stia nel prezzo che già so, e portarglielo. Che te ne pare?
     Sin’ora non ho avuto tempo di visitare magazzini ma conto di farlo oggi e non tralascerò di dare un’occhiata a Maple. Qui all’albergo c’è il suo catalogo e i prezzi dei letti di ferro e ottone che desideravi sapere variano dalle 25 alle 35 sterline. Bisognerebbe perciò vederli che rispondendo subito a questa mia arriverai in tempo a farmi la commissione. Commissione che eseguirò se ed in quanto avrò ancora sufficienti denari in tasca.
     Fa mille affettuosissimi baci alle bambine, ed altrettanto ricevi dal tuo
     aff. Ginio

 

Hotel Previtali
Mentasti Brot, Prop.
Arundell Street
Piccadilly Circus
Telegraphie Address:
“Previtali London”


E ci si può immaginare l’aff. Ginio in giro nella Londra dell’epoca, affrettarsi ai suoi impegni per le streets così vivaci nel loro flusso caotico ma armonioso di mezzi di trasporto animali e meccanici: carozze, carrozzini, fantastici tram a cavalli a due piani sponsorizzatissimi dai primi cartelloni pubblicitari, dove al piano superiore le signore aprivano i parasole, inclusi battelli a vapore sul Tamigi e rare automobili.
 


 
Il bisnonno, che la bisnonna Giovanna con tenerezza chiama Nanna, rivelando un ignoto e prezioso spaccato di lessico famigliare, era stato mandato dalla ditta in missione a Londra per affari delicati, che, da lontani racconti ormai, ahimé, non più verificabili, pare fossero inerenti all’acquisto del brevetto inglese per la pastorizzazione del latte, ancora ignota in Italia, per future Centrali del Latte. Il problema del impure milk, il latte infetto, era all’epoca causa di diverse epidemie e morti infantili.
Lascia davvero stupiti la precisa e lungimirante consapevolezza del giovane Ginio di quanto l’Italia fosse indietro dal punto di vista del sistema statale ed economico, per la burocrazia delle procedure e per il malcostume delle mazzette e tangenti varie, che ci affligge tutt’ora, sulla qual cosa aveva anche una certa sconsolata e confermata certezza: Cara mia in Italia si ha talmente tanto da imparare nel modo di fare affari che non so prevedere quando e come ci arriveremo.
Molti italiani, del resto, trovarono fortuna nell’Inghilterra dell’epoca, in una fuga di cervelli che ancora continua. Il Premio Nobel per la Fisica Guglielmo Marconi quando si rivolse al ministero delle Poste e Telegrafi Italiano, al tempo guidato dall’on. Pietro Lacava, illustrando la sua rivoluzionaria invenzione del telegrafo senza fili e chiedendo finanziamenti, non ottenne alcuna risposta, anzi la sua lettera venne bollata dal ministro con la scritta alla Longara, intendendo il manicomio, che allora a Roma era ubicato in via della Lungara. Trasferitosi a Londra invece ottenne senza ostacoli il brevetto e la possibilità di sfruttare e diffondere la sua invenzione.
Il napoletano Francesco Paolo Tosti famoso musicista pop dell’epoca, interprete elettivo di palpiti dannunziani e oscure morbosità pascoliane, le cui romanze e fogli d’album venivano massacrate nei salotti dalle signorine di buona famiglia e cantate a squarciagola nei mercati rionali, nel 1870 si trasferì a Londra dove, grazie a Lord Mayor e all’appoggio del celebre violoncellista Gaetano Braga, suo conterraneo, nel 1880 entrò alla corte della regina Vittoria come maestro di canto. Edoardo VII nel 1908 gli conferì persino il titolo di baronetto.
Tornando al bisnonno si nota che la preoccupazione per il borsellino vuoto di sterline è costante. Anche perché la carissima Nanna come regalo dal viaggio non si accontentava di un semplice monile o un di pizzo o di un souvenir qualsiasi, ma aveva fatto la commissione di un letto di ferro e ottone con i pomoli e le volute. Che sarebbe stato acquistato, nel caso le finanze residue lo avessero permesso, ai famosi magazzini Maple.

 

 
I cataloghi dei grandi magazzini di allora, dai Sears americani ai famosi Maple londinesi, sono fra le testimonianze più affascinanti dell’esposizione seriale di tutte quelle bellissime buone cose di pessimo gusto che affollavano i salotti di Nonna Speranza delle case borghesi dell’epoca. Legioni di pendole dall’aspetto antropomorfo, file di sedie a braccia aperte, scrivanie materne, paralumi vezzosi, languide dormeuse e chincaglieria per tutti i gusti. Ma come e se mai avvenne l’acquisto e il trasporto del famoso letto da London a Milano non si tramanda: se come ingombrante bagaglio appresso, passando la Manica e mezza Europa, o se spedito. Il suo viaggio sarebbe stato di sicuro un avvenimento, con tutto l’almanaccare della famiglia… ma quando arriva il letto… e il letto?… arriverà? e poi l’arrivo e il successivo montaggio e collaudo amoroso.
 
 

 
 
Lo si può immaginare questo talamo vagante, un letto si aggira per l’Europa, come un altro famoso letto d’ottone, quello del film inglese ⇨ The Knack …and How to Get It sulla swinging London degli anni ’60. Altra estinta insouciance.
 


 
Ginio, uomo d’affari dall’animo poetico, che di Londra trovava bella e graziosa anche la nebbia novembrina, come si evince dalla carta intestata delle lettere, abitava all’albergo Previtali, in Arundell Street, ora sparito, ma non certo lussuoso. Di questa Arundell Street c’è una fortunata e gustosa descrizione da parte de “la pulce ammaestrata della letteratura inglese“, quel Pelham Grenville Wodehouse, cantore e critico ferocemente leggero degli albionici difetti borghesi.
 

Da SOMETHING NEW
[1915]
Pelham Grenville Wodehouse
 
CHAPTER I
 
The sunshine of a fair Spring morning fell graciously on London town. Out in Piccadilly its heartening warmth seemed to infuse into traffic and pedestrians alike a novel jauntiness, so that bus drivers jested and even the lips of chauffeurs uncurled into not unkindly smiles. Policemen whistled at their posts–clerks, on their way to work; beggars approached the task of trying to persuade perfect strangers to bear the burden of their maintenance with that optimistic vim which makes all the difference. It was one of those happy mornings.
At nine o’clock precisely the door of Number Seven Arundell Street, Leicester Square, opened and a young man stepped out.
Of all the spots in London which may fairly be described as backwaters there is none that answers so completely to the description as Arundell Street, Leicester Square. Passing along the north sidewalk of the square, just where it joins Piccadilly, you hardly notice the bottleneck opening of the tiny cul-de-sac.
Day and night the human flood roars past, ignoring it. Arundell Street is less than forty yards in length; and, though there are two hotels in it, they are not fashionable hotels. It is just a backwater.
In shape Arundell Street is exactly like one of those flat stone jars in which Italian wine of the cheaper sort is stored. The narrow neck that leads off Leicester Square opens abruptly into a small court. Hotels occupy two sides of this; the third is at present given up to rooming houses for the impecunious. These are always just going to be pulled down in the name of progress to make room for another hotel, but they never do meet with that fate; and as they stand now so will they in all probability stand for generations to come.
They provide single rooms of moderate size, the bed modestly hidden during the day behind a battered screen. The rooms easy-chair contain a table, an easy-chair, a hard chair, a bureau, and a round tin bath, which, like the bed, goes into hiding after its useful work is performed. And you may rent one of these rooms, with breakfast thrown in, for five dollars a week.
 
 
 

Da QUALCOSA DI NUOVO
[1915]
Pelham Grenville Wodehouse
 
CAPITOLO I
 
La luce del sole di una bella mattina di primavera cadeva graziosamente sulla città di Londra. Su Piccadilly il suo calore rincuorante sembrava infondere nel traffico e sui pedoni quasi una nuova vivacità, cosicché i guidatori di autobus scherzavano e anche le labbra degli autisti si piegavano in sorrisi non scortesi. I Poliziotti fischiavano ai loro posti mentre lavoravano, i mendicanti si dedicavano al compito di persuadere perfetti sconosciuti a sopportare il carico del loro mantenimento con l’ottimistica forza che annulla tutte le differenze.
Era una di quelle mattine felici.
Alle nove precise la porta del numero Sette di Arundell Street, Leicester Square si aprì e un giovane uomo ne uscì.
Di tutti i posti di Londra che potrebbero essere ben descritti come posti morti non ce n’è uno che risponda completamente alla descrizione come Arundell Street, Leicester Square. Camminando lungo il marciapiede settentrionale della piazza, proprio dove si unisce a Piccadilly difficilmente noteresti il collo di bottiglia che si apre sul minuscolo cul-de-sac. Giorno e notte il flusso umano tumultuoso passa, ignorandolo. Arundell Street è meno di quaranta Yarde in lunghezza, eppure sebbene ci siano due alberghi in essa, non sono hotel alla moda.
E’ solo un posto morto.
Nell’aspetto Arundell Street assomiglia a quelle osterie nelle quali si vende il vino italiano di qualità più economica. Il collo di bottiglia che esce da Leicester Square si apre brutalmente in una piccola corte. Gli Hotels occcupano i due lati di questa. Il terzo è al momento occupato da affittacamere per i poveri. Questi sono sempre sul punto di essere buttati fuori in nome del progresso a cercarsi una camera in un altro hotel, ma non s’incontrano mai con questo destino, e ci restano ora come ci resteranno per le generazioni a venire.
Essi offrono stanze singole di prezzo modesto, letti modestamente nascosti durante il giorno dietro una cortina sformata. La stanza contiene un tavolo, una sedia. Una poltrona, un cassettone, ed un piccolo lavandino rotondo, che come il letto, viene nascosto dopo che il suo utile lavoro è finito. E si può affittare una di queste stanze, compresa la colazione, per cinque dollari la settimana.

 
[ trad. Orsola Puecher]

 

NOTE

 

Perversa anzi banale, una storia più vera del vero 

32

di Isabella Mattazzi

Autore di una ventina di romanzi, vincitore di una manciata di premi, Régis Jauffret può essere considerato a tutti gli effetti uno scrittore di culto al di là delle Alpi. I suoi romanzi, pressoché sconosciuti in Italia, frequentano da tempo le vette più alte delle classifiche di vendita francesi. Non da ultimo Sévère, libro scandalo che nel 2010 ha dato a Jauffret una grossa mano in fatto di popolarità. Racconto della relazione sadomaso tra un facoltoso banchiere e la sua escort, Sévère ha avuto per mesi gli onori dei giornali per la richiesta, da parte di una famiglia alto-borghese ben nota al gossip francese, di ritirarlo dal commercio e di distruggerne tutte le copie. La storia infatti è vera, o meglio Jauffret si è ispirato per il suo romanzo a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2005: l’uccisione del finanziere Édouard Stern da parte della sua amante che per questioni di soldi ha pensato bene di ammazzarlo chiuso in una tuta di latex rosa. Da qui, la decisione della famiglia Stern di difendere la memoria del defunto con ogni mezzo legale a sua disposizione. Da qui, la prevedibile alzata di scudi dell’intellighenzia radical-chic francese (con manifestazioni, happening e petizioni firmate dai soliti Michel Houellebecq, Philippe Djian , Philippe Sollers , Bernard-Henri Lévy …)in difesa della libertà di scrittura e dell’assoluta sovranità dell’autore di fronte al proprio testo.

carta st[r]amp[al]ata n.42

1

di Fabrizio Tonello

I grandi uomini si riconoscono per la visione storica, la capacità di elevarsi al di sopra delle contingenze del momento, di guardare oltre le piccolezze della vita quotidiana. Giulio Tremonti, per esempio, è andato a Rimini al meeting di Comunione e Liberazione senza preoccuparsi di quisquilie come la Borsa di Milano dove ormai gli operatori più solidi sono le donne delle pulizie a stipendio fisso: “Waterloo fu vittoria o sconfitta?” si è chiesto il ministro mentre i pragmatici ciellini, preoccupati per i loro danè, lo guardavano straniti. E il ministro si è anche risposto da solo: “Fu una vittoria per l’Inghilterra e per l’Atlantico ma fu una sconfitta per l’Europa”.

Belin!, come direbbero a Genova: l’unità europea avrebbe bisogno di un Napoleone che tenga lontani gli odiati banchieri inglesi e noi che non ci avevamo pensato. Al posto dell’inetto presidente della Commissione UE José Barroso, che è portoghese, quindi praticamente brasiliano, ci vorrebbe un leader autentico, magari un po’ italiano e un po’ francese, come Bonaparte che era nato in Corsica. Forse Tremonti pensava a se stesso, essendo anch’egli uomo di frontiera (Sondrio) benché più italo-svizzero che italo-francese. O forse a Rimini si sentiva una reincarnazione di Mario Appelius, con il suo radiofonico “Dio stramaledica gli Inglesi!” del 1940-42.

Mistica senza Dio

3

[Segnalo l’importante traduzione  di un maestro assai poco frequentato: Fritz Mauthner, Mistica senza Dio, Irradiazioni, pp. 216,  €12. Si pubblica parte del saggio introduttivo di Guido Vitiello, seguito da alcuni estratti dell’opera. DP]

di Guido Vitiello

(…) Certo le Wortwanderungen, le migrazioni delle parole, non seguono rotte costanti come quelle degli uccelli; ma non diversamente dagli stormi di rondini, le parole prendono in volo le figure più varie, si annodano e disnodano a comporne di nuove, trascorrono sui cieli del significato lasciando, al loro passaggio, un labile frego di lavagna. Non sono farfalle che lo spillo di un entomologo possa assicurare, una volta per tutte, al cartoncino di un significato unico e stabile, con etichetta tassonomica in latino. Lo sanno bene i lessicografi, un po’ meno i filosofi, che anzi mettono grande sforzo e dedizione nel definire una volta per tutte i loro termini. Eppure ci vuol poco a constatare che non si dà al mondo lessico tecnico più aleatorio ed esasperante di quello filosofico, dove ogni nuovo arrivato pretende di ripartire daccapo e foggiarsi, da bravo onomaturgo, le parole di suo gusto.

Fritz Mauthner, che arrivò buon ultimo, da ospite neppure troppo gradito, al gran ballo del pensiero filosofico, ebbe il ritegno e l’eleganza di non portarvi il suo stuolo di debuttanti, e non si sognò neppure di coniare un nuovo lemmario speculativo. Fu però insolente quanto basta da mandare gambe all’aria, dopo qualche giro di danza, le parole ereditate da un paio di millenni di tradizione teoretica, queste auguste e attempate signorine che i filosofi trattano con ogni riguardo e galanteria. L’insegna della sua impresa fu infatti la Sprachkritik, la critica del linguaggio.

Era di maggio

2

di Mónica Flores Fernandez

“À ceux et celles qui feront le XXI’ siècle, nous disons avec notre affection:
‘Créer, c’est résister.
Résister, c’est créer.’”

Stéphane Hessel

È il 15 Maggio quando, dopo mesi di letargo e inattività, il popolo spagnolo esce nelle strade delle città più grandi del Paese, indignato. Manca soltanto una settimana alle elezioni comunali e del governo di diverse comunità autonome. Per quasi un anno la gente ha subito in silenzio, senza protestare, riforme economiche e sociali molto criticate: cambia l’età per andare in pensione dai 65 ai 67 anni, i lavoratori perdono dei diritti, si tagliano i fondi alle scuole, alla sanità e si vede con impotenza come i mercati attaccano costantemente un’economia che è già debole da sé. I disoccupati sono quasi cinque milioni e non pare che la situazione debba migliorare nei mesi seguenti.
Queste manifestazioni non nascono dal nulla. Per mesi, nei social network, si parla principalmente della situazione spagnola e anche della situazione mondiale e si scambiano idee. La sorpresa di molti è vedere che c’è una folla che pensa nello stesso modo. I servizi che in una democrazia dovrebbero essere provveduti dallo Stato sono stati messi nelle mani delle imprese private. Si è permesso al neoliberalismo di infettare tutta la nostra società. E ora tocca pagare.
Davanti ad una realtà così, i media pubblicano, parlando dei giovani, frasi come “La generación NI-NI, ni estudia, ni trabaja” (1), “El FMI advierte: la actual generación de jóvenes españoles vivirá peor que sus padres” (2) e altre simili, ma queste due sono sicuramente quelle che fanno traboccare il vaso. La generazione attuale di giovani in Spagna è quella meglio formata e preparata di tutta la storia del paese, ma è anche una generazione con un tasso di disoccupazione molto alto a causa di una crisi che non ha provocato.

A Casal di Principe stendono un velo

7

di Rosaria Capacchione

Il problema é: riusciranno a resistere, quei trecentomila centimetri di pizzo, al lastricato sconnesso di corso Umberto? E i tacchi della sposa? I tacchi, s’incastreranno tra un buco dell’asfalto e un rattoppo? E le damigelle? Ne serviranno almeno cento, tutte rigorosamente in abito da cerimonia. Ecco, il loro fondoschiena potrà competere con quello di Pippa? E se per caso il 23 settembre dovesse risvegliarsi la faida casalese, come la metteremmo con la fuga dei killer? E se uno schizzo di sangue dovesse insozzare tre chilometri di virgineo tulle nuziale? Mettiamola cosi: don Carlo Aversano, che ha appena appena finito di benedire la nomina di un assessore pur sapendolo indagato per fatti di camorra, quest’ultima uscita se la poteva pure risparmiare. Cioè, avrebbe serenamente potuto negare, come altrove già accade da anni, la sua autorizzazione al matrimonio-kermesse con il solito velo da guinness dei primati realizzato dal solito stilista specializzato in effetti speciali.

Parole oltre i confini

4

Babel 2011 – Palestina 15-18 settembre 2011

Nel 2011 la ricerca del festival Babel sulle identità divise, le province degli imperi e le lingue salvate tocca un limite estremo: ospite del festival è la Palestina. Babel invita scrittori cisgiordani, di Gaza, palestinesi di Israele e della diaspora, che scrivono in inglese, in arabo e in francese. In questa sua sesta edizione Babel ospita le lingue e le culture frammentate e sparse che, persa la terra delle Scritture, abitano la terra della scrittura.

Anche se da oltre mezzo secolo la Palestina è costantemente sotto i riflettori dei media, poco si conosce di quello che creano gli scrittori, gli artisti, i registi e i musicisti palestinesi: la vitalità, la misurata reticenza e lo humour con cui reagiscono alle mutilazioni territoriali, culturali o linguistiche.

Gli autori invitati a pronunciare la «Parola oltre i confini» sono: Izzeldin Abuelaish, candidato al Nobel per la pace 2010, autore del libro-testimonianza Non odierò; Susan Abulhawa, autrice di Ogni mattina a Jenin, recentissimo caso letterario internazionale; Suad Amiry, scrittrice e architetta, dirompente, esilarante e amara; Mourid Bargouti, poeta e narratore, uno dei maggiori scrittori arabi viventi; Mustafa Bargouti, attivista democratico, candidato alla presidenza palestinese nel 2005 e motore di svariati progetti culturali in Palestina; Fatina al-Garra, giovane poeta che ha dovuto lasciare Gaza e cercare rifugio in Belgio, tradotta per la prima volta in italiano da Babel; Jamil Hilal, sociologo, autore di testi fondamentali per comprendere la questione palestinese; Elias Khuri, autore della Porta del sole, l’affresco più coraggioso e complesso della Palestina del secondo Novecento; Adania Shibli, una delle voci più originali e calibrate della giovane letteratura in lingua araba.

Inoltre Babel invita, di persona o in collegamento video, Daniel Barenboim, John Berger e Elias Sanbar a evocare la presenza di tre fantasmi, Edward Said, Ghassan Kanafani, Mahmoud Darwish, coloro che hanno posto la Palestina nel cuore del mondo e portato il mondo nel cuore della Palestina.

Il programma «Oltre i confini della parola» riflette la vivacità degli altri linguaggi artistici con una mostra di opere video di giovani artisti palestinesi per artBabel; un concerto della formazione da camera della West Eastern Divan Orchestra, complesso di musicisti arabi e israeliani fondato da Barenboim e Said; per cineBabel, una rassegna cinematografica con film come Fix Me, Route 181, Le temps qui reste, nonché il documentario Arna’s Children di Juliano Mer Khamis, che aprirà il festival il 15 settembre, accompagnato da una tavola rotonda con gli autori in sala.

Come ogni anno, continuano a svilupparsi il Settore ricerca, con i laboratori di traduzione letteraria e per il cinema, la Collana Babel e la Biblioteca di Babel, il Settore scuole e la dimensione extraBabel che tocca altre città svizzere e italiane. Per maggiori informazioni sull’edizione 2011 e le edizioni passate di Babel: www.babelfestival.com e su facebook

LE PAROLE E LE COSE

66

di Franco Buffoni

SORPRESA!

http://www.leparoleelecose.it

Lucrezio riscritto

4
 Martedì  13 settembre 2011, alle ore 21

presso la Libreria Popolare (via Tadino 18, Milano)

Presentazione di:

La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio

a cura di Giancarlo Alfano

con testi di Andrea Inglese, Letizia Leone, Laura Pugno, Giulio Marzaioli, Vincenzo Frungillo, Andrea Raos, Vito M. Bonito, Sara Davidovics

Giulio Perrone Editore (2011)

Partecipano alla serata:  Giancarlo Alfano, Andrea Inglese, Vincenzo Frungillo, Italo Testa