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Note per un diario parigino

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da Chiunque cerca chiunque
di
Francesco Forlani
il pdf del romanzo è qui

Quattordicesimo capitolo 

Rue du Paradis

Mo, oui, mo propre, t’arricuorde, te souviens tu?

Della volta che alla festa, lì in giardino, a Montreuil, da Giusti l’editore di Breccia e José Muñoz, si rimaneva aggrappati alle panche ed al vino,  e tu che mi servivi da bere – la musica arrivava chiara e forte dall’interno e si sentiva la gente ballare a coppia e da soli- con Massimo che controllava l’orologio perché quando lui si rompe i coglioni lo deve vedere scritto, e quando è scritto, il numero in genere non va oltre la mezzanotte. Le luci soffuse che erano dentro e fuori e respiravamo l’aria diversa da quella della città seppure la separasse da essa una sola fermata di metropolitana. Una differenza di cinque, dieci gradi di luce in meno e di stelle che ti sembravano uscite a far festa di nuovo solo perché guardavi il cielo terso delle banlieues quello su cui quando si infiammano, le colonne di fumo precedono di un miglio quelle dei CRS, e delle tute blu con gli sfollagente.

carta st[r]amp[al]ata n.43

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di Fabrizio Tonello

C’è un burlone che si aggira per le redazioni italiane. Un astuto militante per i diritti umani, probabilmente iscritto ad Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni consimili. Il simpatico falsario è riuscito a piazzare un lungo articolo, “Le tre lezioni dell’11 settembre” sulla pagina degli editoriali della Stampa di domenica scorsa, diffondendo le tesi care a tutti i veri democratici: “Non si può vincere il terrorismo solo con gli eserciti”, il concetto di global war on terror è una cazzata, occorre “coinvolgere attivamente le società civili per sviluppare il dialogo tra civiltà e culture diverse”, dobbiamo “migliorare i meccanismi di integrazione all’interno delle nostre società multiculturali” (già echeggiano le urla di Borghezio e i grugniti di Bossi mentre il dentista Calderoli impugna minacciosamente il trapano).

L’illuminato opinionista criticava, inoltre, i “regimi dittatoriali e sanguinari” del Medio Oriente, che l’Occidente aveva “cinicamente accettato” di sostenere. Per fortuna, “questi patti sono stati irreversibilmente spazzati via dal vento delle rivoluzioni arabe”. Insomma: un editoriale che avrebbe potuto ben figurare sul Manifesto. L’anonimo collaboratore della Stampa ha però voluto esagerare e, invece di ricorrere a uno pseudonimo, si è firmato “Franco Frattini, ministro degli Esteri”.

SE PROPRIO CI COSTRINGETE

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di Franco Buffoni

Il 23 settembre usciranno qui http://listaouting.wordpress.com/ i primi dieci nomi.
“Questa iniziativa”, si legge nel comunicato di Listouting, “nasce per riportare un po’ di giustizia in un paese dove ci sono persone non hanno alcun tipo di difesa di fronte agli insulti e agli attacchi quotidiani da parte di una classe politica ipocrita e cattiva”. L’outing è uno strumento politico duro, ma giusto. Consiste nello svelare pubblicamente le abitudini sessuali di preti e politici che – nella loro azione pubblica – offendono e discriminano le persone gay, lesbiche e transessuali.
Il primo elenco è composto di dieci politici. “Abbiamo deciso di iniziare con questi nomi”, si legge ancora nel comunicato, “per far comprendere chiaramente come nel Parlamento italiano viga la regola dell’ipocrisia e della discriminazione. I politici di cui conosciamo le vere identità sessuali sono molti altri,

Irene Brin

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di Flavia Piccinni

“Età. Parlatene il meno possibile, non confessate la vostra, non chiedetela agli altri”. Ecco cosa raccomandava Irene Brin, la più snob e internazionale fra le scrittrici e le giornaliste italiane, alle sue lettrici. Chissà cosa penserebbe dell’imminente festeggiamento per il centenario dalla sua nascita, ma ancor di più chissà cosa direbbe del Dizionario del successo e dell’insuccesso, operazione editoriale della palermitana Sellerio che ha pescato un po’ da I segreti del successo e un po’ da Il Galateo, entrambi pubblicati da Colombo Editore rispettivamente nel 1953 e 1954, per creare una sgradevole accozzaglia di lezioni di vita e di stile che al tempo Brin firmò con lo pseudonimo di Contessa Clara. Forse risponderebbe con quella pungente ironia tanto cara a Luigi Barzini Jr. che la volle a La Settimana Incom, o forse non farebbe niente perché, lei che del sarcasmo e della superiorità era diventata maestra, sapeva bene rispettare l’etichetta, controllando in pubblico i sentimenti e mostrando sempre un’algida moderazione.

FAI CONTARE IL TUO AMORE

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di Enzo Cucco

Il prossimo censimento generale della popolazione che parte ad ottobre, sarà la prima vera occasione istituzionale per dare visibilità alle coppie conviventi in Italia.

Come sapete fino ad oggi per conoscere la realtà delle famiglie NON fondate sul matrimonio e programmare interventi (legislativi, sociali, culturali, ecc.) si poteva far ricorso solo a qualche stima, senza che le statistiche offerte fossero riconosciute come la fotografia attendibile di questa realtà. A differenza di quanto accade nel resto dell’Europa dove da molto tempo tutte le forme famigliari sono oggetto di studio e ricerca senza pregiudizio alcuno.

Oggi come nel passato la strada che porta al riconoscimento pieno dell’uguaglianza passa attraverso l’emersione di una realtà sommersa da una coltre spessa di autocensura e timore.

Berlusconi: chi di massa ferisce di massa perisce

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di Giovanna Cosenza da DIS.AMB.IGUANDO

Ieri – l’abbiamo visto – i media puntavano su una intercettazione inutile come notizia (non c’era nulla di nuovo), ma utile a vendere di più.
Oggi invece, vivaddio, le prime pagine sono più interessanti: puntano sui numeri, sulla quantità.

Centomila intercettazioni Silvio, arrenditi!

Simon Reynolds: da Blissed out a Bring the noise a Retromania

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Simon Reynolds sarà ospite alla quarta edizione del Festival “Arca Puccini”, a Pistoia il 17 e 18 settembre. Tutto il programma è consultabile qui .

di Simone Caputo

Simon Reynolds è uno dei critici musicali più noti e influenti nel mondo. Inglese, nato negli anni 60, come tanti giovani aspiranti giornalisti di un tempo inizia a scrivere per una fanzine, Monitor, per poi arrivare qualche anno più tardi alle pagine di una celebre rivista degli anni 80, Melody Maker. La sua scrittura intensa, ma sempre chiara e diretta, affronta, nel corso degli anni generi disparati, come dimostrano i libri così diversi tra loro, che pubblica a partire dagli anni 90. Due le caratteristiche comuni a tutti i testi: il continuo tentativo di tenere insieme racconto, analisi e sguardo sulla realtà, e l’ambizione a far emergere dalle parole sulla musica una sostanza teorica.

Notorietà del vuoto 2

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8 spunti lucreziani

di Andrea Inglese

2.
At nunc per maria ac terras sublimaque caeli
multa modis multis varia ratione moveri
cernimus ante oculos, quae, si non esset inane,
non tam sollicito motu privata carerent
quam genita omnino nulla ratione fuissent,
undique materies quoniam stipata quiesset.
(I, 340-345)

Si vede, nel video, come se ne vanno,
come vengono, e partendo ritornano,
e poi lasciano, si ritrovano, convergono
in altri moti divaganti, sparpagliati
o compatti, sono masse fluenti, sono
flussi umani, ma senza salvifica
orbita, ognuno abbandona il posto
proprio per uno più in basso o in alto.
Lo spazio c’è, vuoto, per passare, le soglie
non fanno inciampo, neppure le frontiere
di mare tengono fermo l’ammarato
che sconfina, tutto gonfio d’acque,
a Porto Palo, e sotto l’onda, obliqui,
scorrono, oscuri, oltrefrontiera i neri
tra una terra e l’altra, le correnti portano
via ininterrotte, anche senza un porto,
una bara stagna, un buco di sepoltura.

“Cammina Cammina” in festa

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Sabato 17 settembre 2011 ci sarà una grande festa delle tribù d’Italia per chiudere insieme l’esperienza di “Cammina cammina” là dove l’avventura ha avuto inizio, presso il cantiere della Cascina Cuccagna di Milano.

Come ha scritto Antonio Moresco:

“Sembrava una cosa impossibile, invece è successa: dal 20 maggio al 3 luglio più di 700 donne e uomini hanno camminato da Milano a Napoli per ricucire l’Italia coi loro passi. Così abbiamo pensato di fare una festa alla Cascina Cuccagna (da dove eravamo partiti) per il piacere di rivederci e di riabbracciarci. Ci ritroveremo dopo che ci siamo incontrati per la prima volta sotto il sole e la pioggia lungo strade e sentieri, che abbiamo dormito insieme nelle camerate di ostelli e conventi. Pranzeremo all’interno della Cascina e poi ci metteremo tutti insieme a fare nuovi progetti per il futuro, con quanti hanno condiviso la fatica e la gioia della nostra prima impresa e con quanti vorranno partecipare alla nuova impresa più impossibile ancora che abbiamo in mente per l’anno prossimo e che abbiamo chiamato Stella d’Italia”.

QUANDO LA SINISTRA E’ PARTE DEL PROBLEMA

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di Sergio Lo Giudice

Massimo D’Alema, intervistato da Diego Bianchi (in arte Zoro) a un dibattito alla festa de l’Unità di Ostia, sui matrimoni fra persone dello stesso sesso ha dichiarato: “Sono favorevole al riconoscimento delle unioni omosessuali, ma il matrimonio, come è previsto dalla Costituzione, è l’unione tra persone di sesso diverso, finalizzata alla procreazione. Del resto, le organizzazioni serie di gay non hanno mai chiesto di potersi sposare in chiesa. Penso che il sentimento degli italiani che ritengono che il matrimonio sia un sacramento vada rispettato“.

Gentile (ma sempre meno caro) D’Alema,
è difficile per un politico di lungo corso come lei mettere insieme una simile serie di errori e castronerie una inanellata all’altra.

1. L’art.29 della nostra Costituzione non dice per nulla che il matrimonio debba essere tra persone di sesso diverso, né che debba essere finalizzato alla procreazione. Chi dice che la Costituzione impedisce al Parlamento italiano di legiferare sul matrimonio gay, dice una falsità smentita dalla sentenza della Corte Costituzionale 138 del 2010 e da tanti autorevoli costituzionalisti, a partire da Stefano Rodotà.

Epos e new epic – Is there an epic in those texts?

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ovvero

Il senso dell’ovvio: come mai Omero non è Wu Ming.

di Daniele Ventre

“Il realismo è la ricerca di una rappresentazione per quanto possibile “oggettiva” del mondo, vicina al (tangibile, materialissimo) “compromesso percettivo” chiamato “realtà”; presuppone quindi un lavoro sulla denotazione, sui significati principali e condivisi. Quando descrivo una scena di miseria avvilente, e cerco di trasmettere con precisione tale avvilimento, sto gettando un ponte verso il lettore, mi rivolgo a quella parte di lui – quella parte di noi tutti – che trova avvilente la miseria. L’epica è invece legata alla connotazione: è il risultato di un lavoro sul tono, sui sensi figurati, sugli attributi affettivi delle parole, sul vasto e multiforme riverberare dei significati, tutti i significati del racconto. Al lettore sto gettando un altro ponte, qui mi rivolgo al suo desiderio, desiderio di spazio, di scarti e differenze, di scontro, sorpresa, avventura”.

Così suona l’ormai famosissima distinzione fra realismo ed epica, instaurata da Wu Ming 1 (alias Roberto Bui) nel suo New Italian Epic: una distinzione non certo rigida, per due ovvie ragioni addotte da Wu Ming stesso, visto che esiste, nel cinema come nella letteratura, un realismo epico, e visto che la spontanea tendenza (neurologicamente radicata) del linguaggio umano a essere metafora e connessione archetipica rende di fatto impossibile, in principio -e forse, almeno in certi casi, di principio-, la denotazione pura, come si evince dalle analisi condotte da Furio Jesi sul meccanismo mitopoietico (1) -e se dovessimo portare all’estremo le conseguenze del ragionamento, se ne dovrebbe inferire, con Goodman più che con Derrida (2), che la realtà non è tanto un compromesso percettivo, quanto piuttosto la sommatoria di costruzioni nominal-metaforiche “opportune”, cioè operativamente funzionali o in qualche modo “trincerate” nel sistema di un sentire comune primario, di specie (3).

ADIEU, VENISE

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di Massimo Rizzante

Visitare il Padiglione Italia della 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia organizzato da Vittorio Sgarbi è un’esperienza abissale, nel senso che ci conduce nell’abisso della situazione intellettuale e artistica contemporanea, di cui l’Italia è un’avanguardia ormai riconosciuta in tutto il mondo.
L’idea di Vittorio Sgarbi è stata quella di invitare più di 250 uomini e donne di cultura a scegliere un’opera di un artista italiano vivente e poi di riunire, o meglio, di ammassare in un unico spazio, le Corderie dell’Arsenale, tutte le opere, intitolando l’esposizione L’arte non è cosa nostra.
Credo che, se stiamo al titolo e alla disposizione della mostra, i due intenti maggiori del curatore siano stati in primo luogo affermare che l’arte non è qualcosa che appartiene alla mafia dei critici d’arte, dei galleristi e dei collezionisti, ma a tutti gli uomini e donne di buona cultura e di buona volontà, e, in secondo luogo, che le opere d’arte, private di un giudizio critico in grado di definire una qualsiasi gerarchia di valori, possono essere collocate alla rinfusa, come qualsiasi altra merce, in un deposito.

Le polveri

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di Helena Janeczek

Cosa ci fa una pubblicità in polacco nella metropolitana newyorchese? Non ho pazienza per decifrare il testo che accompagna la foto di un uomo con la faccia da operaio, però scorrendo sopra le teste dei viaggiatori, l’occhio trova un cartello in spagnolo e infine una donna di colore con scritta in inglese.

Notorietà del vuoto 1

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8 spunti su Lucrezio

di Andrea Inglese

1.
Nec tamen undique corporea stipata tenentur
omnia natura; namque est in rebus inane.

(I, 329-330)

Nella cosa c’è il vuoto, il difetto, lo strappo.
C’è il tappo, lo scolo, il beccuccio, il forato.
C’è la porta, la finestra, l’uscita e l’entrata.
C’è il vano, la fessura, l’oblò, il cassetto.
C’è il buco del cesso, la crepa murale,
la falla nel sistema nervoso centrale.
C’è il baco di Palo Alto
nella rete telematica mondiale.

C’è quella cosa che fa male
anche nel bunker della merce:
la feritoia fatale, carnale,
una bocca da riempire
di voce da sputare.

Non basta stipare la stiva
di spesa, qualcosa, nell’angolo,
rimane da colmare,
qualcosa dentro
la maglia stretta dei tessuti
che sempre se ne scappa. Si comincia
a morire.

Nuovi autismi 4 – Un posto fisso

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di Giacomo Sartori

Quello che mi piacerebbe sarebbe un lavoro che finisce alle cinque. Uno si dà da fare tutta la mattina, a mezzogiorno fa la pausa pranzo, e poi tra una cosa e l’altra vengono subito le diciassette, e ha finito di sgobbare. Uscendo dalla sede lavorativa inspirerei profondamente. Guarderei le case e mi direi: questa è la città dove abito, la città dove lavoro. Questa è la mia città, mi direi, ben sapendo che sono io che appartengo alla città, non la città che appartiene a me: in genere le città vivono più a lungo delle persone. Ma si dice così, e allora mi conformerei. L’etimologia del sostantivo lavoro è spudoratamente aristocratica, però io avrei il sentimento di aver devoluto il dovuto alla società, di aver contribuito con la mia dose quotidiana di costruttiva operosità. L’inverno sarebbe già buio, ma l’estate ci sarebbero ancora diverse ore di luce. Del resto anche l’illuminazione artificiale delle serate invernali ha il suo fascino. Le persone avvolgono i loro misteri sotto i cappotti, diventano ancora più attrattive, e i locali pubblici acquistano un’aurea di accogliente rifugio a cui è arduo resistere.

“Alfabeta2” n° 12 in edicola e libreria

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Una primavera in autunno

Sulla copertina del numero 12 di «alfabeta2» campeggia un titolo: Primavera dell’anno Uno. E se pare bizzarro parlare di primavera quando cadono le foglie, basta pensare a quanto è successo negli ultimi mesi per cambiare idea: l’occupazione del Teatro Valle e la riappropriazione dell’ex Cinema Palazzo a Roma, il nuovo impegno del movimento TQ, la ripresa delle lotte in Val di Susa… Vicende diverse, tutte però nel segno di un’azione (finalmente)  collettiva – un’azione che «alfabeta2» accompagna, pubblicando tra l’altro il documento dei lavoratori cognitivi del Valle e i manifesti di TQ con interventi di Giorgio Vasta, Vincenzo Ostuni e Sara Ventroni, oltre a un’intervista a Nichi Vendola sul ruolo della cultura nella politica d’oggi.

Ma settembre è anche il mese in cui riprende la scuola, e di nuovo «alfabeta2» gioca sulla provocazione: La scuola è finita, titoliamo infatti, tranne indicare, nei contributi al focus (due interviste, una di Christian Raimo a Tullio De Mauro e una di Alberto Ghidini a David Cayley, accanto ad articoli di Giuseppe Caliceti, Giorgio Mascitelli, Vinicio Ongini) che a essere finita è la scuola asfittica e mercantile cui siamo abituati da anni. Alla luce dei recenti crolli borsistici il secondo focus, Per un’altra economia, un dossier molto critico nei confronti delle teorie economiche dominanti, che comprende contributi di Giorgio Lunghini e di Stefano Lucarelli e un’intervista a Cristina Tajani.

In una stanza sconosciuta

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di Gianni Biondillo

Damon Galgut, In una stanza sconosciuta, edizioni e/o, trad. Claudia Valeria Letizia

La letteratura si fa in molti modi, non necessariamente con i romanzi. Epistolari, poesie, invettive, teatro. Tutto ciò che è scritto può essere letteratura, è solo la qualità della scrittura che fa la differenza. Damon Galgut è uno scrittore di ottima fattura, non so dirvi se In una stanza sconosciuta sia un romanzo, un reportage, un mémoire. In teoria è un libro di viaggi. Tre, per la precisione, fra Africa, Europa, India. Ma non aspettatevi una guida turistica.

(tagli)

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di Viola Amarelli

bozza 1

Un coltello, da roast-beef. Da decenni taglia affilato. Per caso è della marca migliore, la lega di acciaio all’epoca anche lei la migliore. Roba svizzera. La precisione: i tagliagole a mercede hanno bisogno di lame affilate. È – sono – ancora lucido. Imperturbabile, inscalfibile, pare. Il padrone di casa, che non capisce niente di coltelli, continua a usarlo. Ogni tanto adesso – che proprio ora è invecchiato – si chiede chi durerà di più. Se lui o il coltello. Il coltello non ha dubbi. In teoria, stocasticamente, sarà qualcun altro a usarlo.

L’intuizione del propizio: mostra e reading

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di Biagio Cepollaro

Mostra e Reading all’Officina Coviello.
14 settembre 2011
0re 18.30, via Tadino 20, Milano

ho voluto – o anche: questa vita
di me ha voluto così ora che si raccoglie
che mi sembra di non aver più nulla
da fare e non può essere vero: il freddo
è ancora là, uguale, della stessa
misura degli anni trascorsi al caldo.
è ancora là che fa segni dalla finestra
con l’umidità col giallo dei lampioni
con la minaccia di entrare dentro
in ogni momento perché ogni momento
è buono per essere cattivo.

Avendo scritto poesie per trent’anni ho considerato le parole soprattutto come delle sonde per l’esplorazione del senso. Il suono, l’immagine che nella mente scorre, la disposizione grafica sulla pagina: il gioco della poesia si svolge nel continuo rimando tra immagine, suono e senso.

A Tunisi s’aprono i fiori notturni

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La storia di un uccello tunisino
di
Medhi Hamili
traduzione di Francesca Bellino e Ahmed Hafiene

Stavamo sognando
la notte in mezzo alla giornata
la mia mano si chinò verso la tua
cercando una passione che ci portò
lontano dalla tempesta
e ci fece atterrare su una montagna verde
noi uccelli impauriti

ci sentivamo soli
ci interrogavamo
e rispondevamo con silenzio
i nostri occhi stavano raccontando storie
e una lacrima che andava
e un’altra che arrivava

E ora
dopo quante estati
che ho sprecato ai lavori forzati
lontano da te
dopo quanti autunni
con le sue foglie morte
la mia anima vagava
un muro sbatteva e un muro accoglieva
e tornavo a scrivere con il mio sangue
il tuo nome che mi fa scordare le pene
Sento che muoio per te