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Note d’autore: Strade bianche

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Marinai e navigatori by effeffe

Strade bianche, Enrico Remmert, Marsilio, 2010
secondo Pasquale Vitagliano

Ho letto da qualche parte che “si viaggia per vincere la paura di camminare”. Sarà per questo che Vittorio suona il violoncello. Devi tenerlo puntato sulla terra. Il musicista diventa una protesi dello strumento. E questo penetra nel suolo come un fiore. “Dio ci ha piantati in un posto e lì dobbiamo stare”, dice Don Geppe a Vittorio. “Siamo come fiori. Ed io, appena mi spostano, sto male”.
Strade bianche di Enrico Remmert è stato definito un road-movie dell’anima. Troppo facile. I tre riders, Vittorio, Francesca e Manu, non sono affatto facili, easy. Questo viaggio al meridione delle loro vite, loro non l’hanno scelto. Non lo ha scelto Vittorio, pugliese emigrato a Torino, che parte perché gli è stato offerto un posto da sostituto orchestrale al Petruzzelli; non lo ha scelto Francesca, che per paradosso decide di accompagnarlo per trovare il coraggio di lasciarlo; non lo ha scelto la sua migliore amica Manu, che fugge via come una ladra.

Otto

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Ieri mattina in bicicletta con mia figlia ho visto un prunus fiorito. Era un tripudio di lilla, viola, porpora, magenta, prugna, malva, fucsia. E’ arrivata la primavera ho pensato. E sono passati già otto anni. Buon compleanno.

Carla Benedetti, “Disumane lettere”

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di Teo Lorini

Le Indagini sulla cultura della nostra epoca (così il sottotitolo) che compongono questo nuovo libro di Carla Benedetti hanno varia origine: atti di convegni, interventi in rivista, in rete e così via. Eppure esse compongono un testo che colpisce per compattezza e che si apre con la constatazione che mai, neppure nelle epoche più tenebrose del passato, l’uomo si è trovato a confrontarsi con la prospettiva dell’estinzione, oggi invece ritenuta un rischio concreto da parte degli scienziati che registrano la sovrappopolazione, il surriscaldamento del pianeta, la consumazione delle sue risorse ad opera della razza umana. Nel Tradimento dei critici (2002) Benedetti aveva descritto come, a partire dalla seconda metà del Novecento, la vita culturale era stata progressivamente invasa da cupe descrizioni che davano “tutto per liquidato”, fino a ripiegarsi su se stessa, autocondannandosi a una perenne epigonalità. Qui riparte da quella considerazione, constatando con stupore e amarezza che, persino in un orizzonte ogni anno più drammatico, le humanae litterae cui per secoli i grandi ingegni della nostra razza hanno attinto, facendone scaturire prospettive innovatrici e vivificanti, sembrano inerti e arrese al concetto mortificante e mistificatorio del “non possiamo farci nulla”.

Post in translation: Adamo

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Les filles du bord de mer

Je me souviens du bord de mer avec ses filles au teint si clair
Elles avaient l’âme hospitalière c’était pas fait pour me déplaire
Naïves autant qu’elles étaient belles on pouvait lire dans leurs prunelles
Qu’elles voulaient pratiquer le sport pour garder une belle ligne de corps
Et encore, et encore, z’auraient pu danser la java

Z’étaient chouettes les filles du bord de mer
Z’étaient chouettes pour qui savait y faire

OMOSESSUALITA’ E LETTERATURA

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di Saverio Aversa

Nei giorni 17 e 18 marzo scorsi si è tenuto a Firenze negli storici palazzi Medici-Riccardi e Strozzi il convegno presieduto da Nadia Fusini, Valeria Gennero e Gian Pietro Leonardi intitolato “L’arte del desiderio. Omosessualità, letteratura, differenza”, organizzato dall’Istituto di Scienze Umane e dalla Provincia di Firenze. Partendo dalla questione controversa dell’esistenza o meno di una letteratura omosessuale, di cui è difficile stabilire i confini, scrittrici e  scrittori italiani e stranieri si sono interrogati sui cambiamenti sociali, letterari e culturali intervenuti nel mondo occidentale dopo la rivolta di Stonewall del 1969: cioè dopo l’evento che segna la nascita del movimento per i diritti civili delle persone non eterosessuali.
Anzitutto si è proceduto a una sorta di excursus storico, volto a individuare i modelli culturali che influenzano oggi gli autori lgbt, per passare poi alle soggettività proposte più recentemente, quelle più duttili, più “fluide”, che appartengono alla narrativa definita da alcuni “post-gay”.

DEREK WALCOTT A ROMA

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Martedì 22 marzo 2011, ore 18.30
Il Premio Nobel Derek Walcott legge dalla sua più recente raccolta di poesie Isole (Adelphi, 2009),

e dialoga con il suo traduttore italiano Matteo Campagnoli.

Introduce Vanni Bianconi, direttore artistico di Babel.
Istituto Svizzero di Roma
Via Ludovisi 48
00187 Roma
Tel. +39 06 420 42 620
arte@istitutosvizzero.it
www.istitutosvizzero.it

Come un sisma senza precedenti ha svelato un “sistema irresponsabile rispetto all’energia atomica” senza precedenti

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di SHIOYA Yoshio
giornalista scientifico

traduzione di Laura Napolitano e Andrea Raos

[Testo tratto da qui, apparso il 15 marzo scorso.]

“Sommando i dispositivi a prova d’errore che mettono in conto sia l’errore umano sia il guasto meccanico, e le multiple protezioni, nonché il rispetto di piani anti-sisma quasi eccessivi, è improbabile che in una centrale nucleare giapponese si verifichino casi come Three Mile Island o Chernobyl.” Il mito della sicurezza dell’energia atomica, di cui si vantavano la TEPCO [Tokyo Electric Power Company] e il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria e acriticamente accettato dai mass-media, è miseramente crollato. Alla centrale di proprietà della TEPCO Fukushima I, dopo il terremoto (magnitudo 9.0) e lo tsunami che hanno colpito il Tôhoku, sta avendo luogo la graduale fusione dei nuclei e, benché si sia presa la decisione radicale di riversare acqua marina nei reattori, non si è ancora arrivati al loro raffreddamento, arresto e stabilizzazione. Quel che è peggio, gli abitanti dei dintorni, già duramente provati dal violentissimo terremoto, sono tutt’ora costretti a vivere da sfollati, con gravi disagi.

La lingua

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di Gianni Agostinelli

C’è un’immagine che mi tormenta. Un tizio ritto in piedi che si tocca la punta del naso con la punta della lingua. Lo stava facendo con totale naturalezza davanti a una ragazza, mentre quella parlava. L’ho visto coi miei occhi, nel 2005.
Stamani mentre faticavo a infilarmi i calzini stavo pensando proprio a lui. Vai a sapere perché. Questo tizio mi torna in mente a intervalli regolari, non tanto ravvicinati ma abbastanza frequenti da farmi dire ad alta voce “basta”.
“Basta cosa?”
“Niente” dico a mia moglie. Che la chiamo moglie anche se non siamo sposati, però mi vien meglio dire moglie che compagna di vita, o solo compagna, o coinquilina, o fidanzata, che ormai i tempi dei fidanzatini son passati, o qualcos’altro. Magari posso chiamarla col suo nome, ma è brutto e non glielo cambio qui, neanche per finta. Sono un tipo onesto.

CROCIFISSI E SCONCERTATI

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Un prato sterminato, un mare di fango, 5000 ragazzi. No, non è Woodstock, ma il santuario del Divino Amore, a Roma. Le note che accompagnano la giornata non sono quelle di Jimi Hendrix, ma del musical della Star Rose Academy, fondata dalle suore orsoline e guidata da Claudia Koll, ormai lontanissima dalla versione “Tinto Brass”. Il tutto sotto l’occhio vigile di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della Pastorale universitaria e neo cappellano di Montecitorio. Anche lui infangato fino ai polpacci. E no, non è nemmeno la giornata mondiale della gioventù promossa dal Vaticano, ma un appuntamento organizzato dall’ufficio scolastico regionale col vicariato di Roma per orientare i maturandi di tutte le scuole del Lazio (pubbliche e private) alla scelta universitaria.

Il luogo, aveva comunicato il ministero a tutti i dirigenti scolastici, non è scelto a caso, ma “sottolinea l’intento” del convegno. Perché “il santuario del Divino Amore è meta tradizionale di pellegrinaggi che si svolgono soprattutto di notte (…). Il pellegrinaggio, lungo cammino attraverso la notte, è evocativo di un messaggio simbolico per i nostri giovani: la vita che viviamo e che costruiamo incontra momenti di buio e sforzo, soprattutto quando si affrontano scelte importanti”. La circolare si concludeva prevedendo addirittura che “le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia”, valutassero “l’opportunità di riconoscere la partecipazione degli studenti come credito formativo”.

Andiam, andiam, andiam a guerreggiar

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di Antonio Sparzani

Ormai è così: le parti della nostra Costituzione più innocue si tengono senza problemi, quelle che servono per una qualche lotta politica interna si usano per l’appunto per questa lotta, quelle che sono scomode per tutti gli schieramenti “importanti”, sono cioè scomode bipartisan come orribilmente si dice ormai, semplicemente si trascurano di comune accordo, si trascurano bipartisan, e morta lì.

Mi riferisco al famoso ma ormai di comune accordo dimenticato articolo 11, di cui già parlavo qui, obiettando all’autorevole opinione di Giuliano Amato il quale appunto sosteneva che la guerra ‒ non le missioni “di pace” o “di polizia internazionale” ‒ è permessa dalla nostra Costituzione ed anzi, in alcuni casi, richiesta. Forse tale autorevole opinione ha fatto scuola, ha fornito un bell’alibi teorico a tutti quanti così che il piacentino segretario del partito democratico non ha avuto neppure mezzo dubbio a schierarsi con il buon senso internazionale, per farla vedere a quel bieco di Gheddafi (in verità Muʿammar al-Qaḏḏāfī ) e, in questo clima di festeggiamenti dell’unità nazionale, ad avallare senza discussioni la posizione del governo in carica. Il quale governo in carica ha come ministro della difesa tale Ignazio La Russa, sulla cui educazione sentimentale nessuno ha dubbi, naturalmente,

Il sacrificio di Fukushima

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di Marco Rovelli

Connesso di continuo in questi giorni, a seguire gli sviluppi del disastro giapponese. I sensi all’erta, il pericolo che ci minaccia. Una nube, ancora. Una nube che sfugge, inafferrabile, senza riguardo per frontiere e religioni. Incarnazione tangibile (nella sua intangibile numinosità) dell’essenza perversa del capitalismo globale. Poi, nel cuore del disastro, la vicenda dei cinquanta tecnici della Tepco che hanno scelto volontariamente di restare nella centrale di Fukushima a fronteggiare la catastrofe. Che hanno scelto la morte. A fondo perduto, prima di tutto, nonostante ogni ragionevole considerazione: se l’amore è qualcosa è questo, la responsabilità a una chiamata, la coscienza del senso di sé che non si esaurisce nel sé.

Per un nuovo spirito (del/la) Comune [nel 140° anniversario]

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Ci sono anniversari iper-celebrati, altri dimenticati. Oggi sono passati 140 anni dallo scoppio della rivolta comunarda parigina. Quando Lecomte voleva far sparare sulla folla per prendersi i cannoni di Montmartre e i soldati fraternizzarono con la folla e con la Guardia Nazionale. Pubblico il video della canzone (con i disegni di Otto Gabos a illustrarla): La Comunarda, il cui testo fu scritto da me e da Francesco Forlani, immaginandoci una storia d’amore sulle barricate – perché la rivolta ha sempre in sé una smisurata promessa d’avvenire. mr

per non restare stupida – un romanzo di formazione

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di Laura Barile

Si vede una bimba in un costumino a righe degli anni trenta, capelli al vento, colta nel balzo delle lunghe gambette che salta ambedue gli scafi del patino: spiaggia di Riccione. E’ la foto di Luciana Castellina in copertina del suo La scoperta del mondo (nottetempo 2011). Il libro, autobiografico, è giocato su un diario ritrovato su quaderni di scuola di se stessa fanciulla (vedi foto dell’autografo nelle illustrazioni). I vecchi quaderni, in corsivo, costituiscono il filo rosso, il racconto dal vivo, intorno al quale sorgono altri ricordi, riflessioni, battute, commenti, quasi un dialogo mai nostalgico ma sempre intelligente e spiritoso, della Castellina di oggi.

The Atomic Cafe

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The Atomic Cafe (1982) è un film di compilazione costruito su materiali d’archivio americani risalenti agli anni ’40, ’50, ’60 (Newsreels, esperimenti militari sull’atollo di Bikini, programmi televisivi, pubblicità progresso ecc.). Per i registi – Jayne Loader, e i fratelli Kevin e Pierce Rafferty – cinque anni di lavoro duro alla ricerca di materiali dedicati all’atomica e alla causa nucleare (vantaggi e – ebbene sì – qualche leggero effetto collaterale).
Avevo cercato on line Crossroads di Bruce Conner (1976), realizzato con materiali militari, sempre legato agli esperimenti di Bikini, un montaggio strabiliante e “critico” sull’effetto esplosivo e detonante dell’atomica. Senza successo. (Sul sito www.archive.org potete invece trovare vecchi filmati degli anni ’40 / ’50 sugli effetti della bomba.) The Atomic Cafe è forse più vicino a Kubrick e al finale di Doctor Strangelove (1964). Non ricordo se anche qui compaia la canzone We’ll Meet Again. Ma l’uso della colonna sonora (in particolare di You Are My Sunshine) concede l’azzardo di un paragone.
(rinaldo censi)

APPELLO PER UN NUOVO RISORGIMENTO

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di Giacomo Sartori

Lo stato nazionale italiano è il frutto di un vasto (a dispetto di quel che si insinua) movimento di idee e di passioni, il cui minimo comune denominatore, oltre che la liberazione dall’invasione straniera, era l’aspirazione alla libertà individuale e alla dignità della persona: il Risorgimento. La crisi attuale di questa nostra Nazione, della quale festeggiamo ora il 150° compleanno, è sotto gli occhi (e la penna) di tutti. Ed è ormai chiaro che una sua rinascita, in continuità con i valori risorgimentali, gli stessi che hanno ispirato la liberazione dal fascismo, e dalla quale è nata la Costituzione, non potrà realizzarsi nel quadro della politica attuale. Né questa sinistra catalettica né questa destra adulterata (non sto negando le differenze tra destra e sinistra, non mi si fraintenda), sapranno proporre una qualsivoglia soluzione, senza un risveglio e il pungolo di una larga banda di cittadini, senza l’intervento trainante di individui che si battano per quegli stessi ideali dai quali è nato il nostro stato unitario e indipendente. Mi permetto insomma, dall’alto della mia abissale ingenuità di narratore (non ignara tuttavia di quanto è stato scritto nel corso di due secoli sul carattere degli italiani, e quindi scientemente velleitaria, ma alla luce di qualche recente sintomo forse anche realista), di vagheggiare un nuovo Risorgimento.

Gli attori principali di tale nuovo Risorgimento, che per comodità chiamo “noi”, saranno i seguenti:

1) le donne a cui ripugna l’avvilimento mercificato del corpo femminile propugnato dal Presidente del Consiglio e dai suoi seguaci, e che non intendono avallarlo in alcun modo; il loro Risorgimento consisterà nel rifiutarsi di assistere all’offesa quotidiana e rituale della loro dignità più intima, spegnendo la televisione al primo scosciamento o decerebramento vaginale, e impedendo ai loro congiunti e familiari di sesso maschile di fruirla; e naturalmente facendolo sapere, dispiegando per esempio alla finestra un drappo rosa: chi passerà capirà; sappiano far capire che questa loro lotta, beninteso estesa alle strade e ai luoghi di lavoro, è in difesa della loro libertà, anche appunto sessuale, di cittadine e di donne per nulla inibite;

Dal paese guasto. Partitura per un inizio

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di Marco Rovelli

[Nel giorno dell’Unità d’Italia, viene presentato a Milano il nuovo numero dell’Ulisse, dedicato al paese guasto. Pubblico il poemetto che ho scritto per l’occasione, contando di pubblicare poi – quando l’avrò – la versione musicata]

Guasto:
s’inceppa, s’incanta,
torna su se stesso come un paradosso
un gorgo senza fondo, sterminato
termine infecondo:
guasto
senza riscatto, fino al midollo
molcito, fradicio, impestato:
guastato.
(Inutile agitarsi, signora, non funziona!
Vani ‘sti suoi sforzi d’aggiustarlo).
Il marcio sta nel cavo, nel vuoto
che sorregge l’armatura
ponteggio senza gambe né puntelli:
tutti ‘sti fratelli di un’Italia ch’è molesta
– s’è mai desta? – notizia fragorosa, questa

SIGISMUNDUS

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Anticipiamo un estratto dal romanzo 1977 di Gianni D’Elia, edito con una nota di Roberto Roversi dalla “Sigismundus Editrice” di Ascoli Piceno, che il 19 marzo inaugurerà le proprie attività editoriali. Il catalogo di Sigismundus (www.sigismundus.it) si apre anche con il nuovo libro di Davide Nota, La rimozione. (ndr).

di GIANNI D’ELIA

le mani è stato il viaggio delle mani viola piccine della nascita fino allo scheletro la musica distorta mi sono svegliato cominciando a filmare le mani che si aprivano poi il tempo è volato è stata l’alba in cinque minuti sono uscito la campagna intorno era dolcissima la prima luce aranciata mielosa visti di spalle Nanni e Vito abbracciati la maglia a strisce orizzontali bianche e rosse stupenda stagliata e sotto la collina tutta la città stesa e il mare ho baciato le scorze dei piccoli pini davanti alla tettoia della casa ero eccitato la corteccia odorava e sapeva di resina era sensuale polposa l’erba madida di guazza del praticello mi sono accoccolato l’ho carezzata strofinata con la testa con le mani da così vicino le gocce tramavano ostinate in cima ai fili le scrollavo poi a correre come un pazzo cercavo un dono da fare ai due amici le scarpe e i calzoni zuppi tra le erbe alte e i ciliegi la scorza marcia di un albero tagliato il legno rosa marcito di un ceppo tra tante cose belle che potevo donarvi proprio questa ho detto porgendo quel poco di sughero farinoso ai due

DISUMANIZZAZIONE

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di Antonio Sparzani

Quando nei lontani anni sessanta mi laureai in fisica, la famiglia e il parentado e anche alcuni amici erano tutti stupiti e ammirati e chiedevano, sbarrando gli occhioni, fisica nucleare? E io ad affannarmi a rispondere che no, che io mi ero laureato in fisica teorica, e anche specializzato così e che no, fisica nucleare no, e tutti vagamente delusi a dire ah ecco, già, io credevo, ma cos’è, insomma, ecc.

La fisica teorica ha un suono meno importante e meno mediaticamente interessante, mentre la fisica nucleare, quella sì che si sa cosa possa servire. Appunto. Non è mai stata la mia passione, non ho mai neppure dato l’esame di “fisica nucleare” o “istituzioni di fisica nucleare” fondamentali per un altro indirizzo. Ma anche se così fosse, se avessi seguito un indirizzo “più nucleare”, dovrei confessare qui che chi davvero è in grado di mettere le mani nella costruzione di una centrale è un ingegnere nucleare cioè uno di quelli che ha una formazione che gli permette di progettare un complesso di apparecchiature in grado di far funzionare davvero un impianto nucleare.

Perché, sapete, cosa sia una centrale nucleare è facile a dirsi a grandi linee: è un impianto che produce acqua calda,

Classifiche pordenonelegge-Dedalus Opere tradotte 2010

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Per la Classifica delle Opere tradotte si vota una sola volta l’anno (tra dicembre e gennaio). È stato possibile votare per opere di narrativa e poesia tradotte per la prima volta in italiano nel 2010 (escluse, quindi, ritraduzioni o nuove edizioni). Le opere tradotte, inoltre, non devono essere apparse in edizione originale prima del 1950.

Seguono le Classifiche tre “dichiarazioni di voto” di altrettanti lettori e lettrici (Azzurra D’Agostino, Riccardo De Gennaro, Roberta Salardi).

Narrativa

1) Roland Barthes, Dove lei non è, Einaudi, p. 48
(trad. Valerio Magrelli)

2) Michel Houellebecq, La carta e il territorio, Bompiani, p. 46
(trad. Fabrizio Ascari)

3) J. M. Coetzee, Tempo d’estate, Einaudi, p. 27
(trad. Maria Baiocchi)

I giornaletti

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un vacuo ragionamento attorno alla visione delle fotografie di Benjamin Béchet di Gianni Biondillo

Ognuno ha l’immaginario che si merita. O forse, più semplicemente, quello che si è trovato fra i piedi. Fossi cresciuto in un’altra epoca, chissà, avrei eroi differenti, mitologie più auliche, referenti più alti. Io sotto i banchi di scuola, alle elementari, non nascondevo dallo sguardo accigliato della mia maestra libelli rivoluzionari o romanzi magniloquenti ma i fumetti sgualciti dei supereroi americani. I giornaletti, li chiamava la maestra, spregiativa. Il mio mondo fantastico ha preso il volo lì, di nascosto dalle autorità scolastiche. In casa poi dato che non c’erano libri, figlio del sottoproletariato urbano, già il fatto che leggessi avidamente quei fumetti mi faceva sembrare strano, persino un po’ eccentrico, agli occhi di molti.

Seak sick sic

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di Jacopo Galimberti

Sono un poeta e uno scrittore collettivo. Per due anni ho lavorato a un romanzo storico insieme ad altri 99 scrittori. Sappia il lettore che nel 2007 Gregorio Magini e Vanni Santoni hanno inventato un metodo di scrittura collettiva, detto “metodo SIC”: il sito dedicato a questo lavoro plurale ha prodotto sinora una manciata di racconti a dieci/dodici mani, tutti scaricabili con licenza copyleft, ma il vero, decisivo stacco è avvenuto nel febbraio del 2009, quando il gruppo di scrittori coagulatosi attorno al progetto SIC ha lanciato in rete l’idea di un romanzo che abbracciasse un numero più ampio di partecipanti―ci si augurava almeno cinquanta. Contro ogni aspettativa, la proposta ha ricevuto un numero di adesioni esorbitante, arrivando a oltre duecento iscritti, tra cui io stesso. Duecento iscritti che si sono subito dimezzati quando è stato chiaro che non si trattava di un giochino, di uno di quei divertissement letterari che fioccano in rete, ma che ci sarebbe stato da scrivere davvero, intensamente, molte pagine, per molti mesi.