Deboli
(Una breve premessa). Questo scritto nasce da un intervento per una presentazione del Laico Alfabeto a Firenze il 12 di febbraio, il giorno prima della manifestazione per la dignità delle donne in varie piazze d’Italia. Prendendo spunto dal libro ho messo insieme alcune mie brevi considerazioni sui diritti e sull’idea di uguaglianza. Non è norma generale in Nazione Indiana che un redattore recensisca il lavoro di un altro o ne parli diffusamente. Tuttavia è proprio in seno alle relazioni di stima e d’amicizia che spesso si è stimolati a ragionare su “se stessi” attraverso l’altro. Da una discussione e riflessione condivisa dunque parte questo pezzo per raggiungere altri lettori e pensieri. FM.
di Francesca Matteoni
Avendo tra le mani il Laico Alfabeto di Franco Buffoni, è impossibile per me restare un lettore a distanza, che non si sente chiamato in causa per rispondere a questa semplice, fondamentale domanda: come si partecipa dell’altro. Entro in queste pagine da essere umano donna ed eterosessuale. La solidarietà verso una vaga idea dell’umano a cui essere fedeli o le norme della buona educazione, imparate come la tabellina, non mi bastano certo per dire che questo libro mi riguarda. Eppure questo libro mi riguarda. Come essere umano ragionevole e limitato so che non sarò sensibile a tutto il male che altri subiscono, che riuscirò ad empatizzare con il particolare, non con il generale.
Essere narratori cosmologici
La scienza mineraria ci insegna che la coerenza è una condizione caratterizzata da una fortissima coesione interna. L’incoerenza, viceversa, è connotata da scarsa o nulla coesione. Nell’incoerenza, a prevalere è il detrito non cementato, la scheggia, il frantumo, la deriva verso il granulo, la polverizzazione.
Raccontare il presente – ma forse raccontare tout court – vuol dire dare coerenza all’incoerenza, radunare i frammenti esplosi e plasmarli in una forma, recuperare tutto ciò che è scoria espulsa dal senso, connetterla ad altre scorie ugualmente insensate e costruire quella scultura di parole – il romanzo e i racconti – in grado di risignificare l’insignificante.
CONTINO GIACOMO
di Franco Buffoni
Ho pensato a te, contino Giacomo, vedendo
Su una rivista patinata
Le foto degli scavi in Siria a Urkish,
A te e ai tuoi imperi e popoli dell’Asia
Quando intuivi immensamente lunga
La storia dell’umanità.
Altro che i Greci il popolo giovane di Hegel
O il mondo solo di quattromila anni della Bibbia
Credendo di dir tanto, fino a ieri.
Tu lo sapevi che sotto sette strati stava Urkish
La regina coi fermagli
L’intero archivio su mille tavolette
Già indoeuropea nella parlata
L’accusativo in emme. Capitale urrita
Dai gioielli legati all’infinita pazienza
Dei ricami in oro. Tu lo sapevi che poi gli Hittiti
Sarebbero giunti a conquistarla,
Già loro vecchi e di vecchi archivi nutriti…
Sono stufo di preti e di poeti, conte Giacomo.
E di miti infantilmente riadattati.
L’anima che soffrì d’essere il suo corpo
di César Vallejo traduzione di Giuseppe Scaglione
Tu soffri di una ghiandola endocrina, è ovvio,
o, chissà,
soffri me, la mia sagacità acuta, tacita.
Tu sopporti il diafano antropoide, là, vicino,
Dove la tenebra è tenebrosa.
Tu ruoti intorno al sole, afferrandoti l’anima,
estendendo i tuoi calli corporali
e aggiustandoti il collo; questo è ovvio.
di Stefano Chiodi ( da doppiozero)
La mancata elaborazione della memoria coloniale è stata ed è una delle più vistose lacune della coscienza collettiva italiana. Non che siano mancate analisi e riflessioni sulle avventure africane del nostro paese tra la fine dell’Ottocento e gli anni quaranta del secolo scorso: da tempo ormai la storiografia ha denunciato le comode mitologie del colonialismo umbertino e fascista, la sua violenza, il suo rapace avventurismo, il suo razzismo. Ciò che è mancata è semmai un’elaborazione culturale comune sulle conseguenze di quella storia sulla nostra identità attuale, tanto più in un mondo globalizzato in cui il confronto tra culture è diventato un tema fondamentale e non eludibile.
La conquista della Luna
Aleksej Meshkov (Mosca, 1966). Da diversi anni in Italia, è musicista. È autore del thriller politico Il cane Iodok, romanzo che sarà pubblicato in Francia nel 2011.
di Aleksej Meshkov
Egregio Flotow,
ho letto con vivo interesse il suo editoriale di mercoledì sulle colonne de “l’Univers”.
“In società come la nostra”, lei scrive, “così fragili e prive di certezze, la paura può porre le basi di un nuovo fondamentalismo e aggregare le masse allo scopo di difendere la comune fortezza.”
Si tratta di argomenti gravi, che mi piacerebbe discutere con lei durante il prossimo incontro organizzato dai colleghi di Marmor. In questa lettera intanto vorrei rispondere a un quesito formulato nel suo editoriale:
“Cosa sta accadendo nei pianeti minori e nei satelliti pressoché sconosciuti delle nostre galassie?”
Decimo quaderno a Bologna
La Libreria delle Moline
è lieta unitamente a
Marcos y Marcos editore
di invitarti alla presentazione del libro
POESIA CONTEMPORANEA
Decimo Quaderno Italiano
a cura di Franco Buffoni
Sette giovani autori di poesia italiana contemporanea:
Corrado Benigni, Andrea Breda Minello, Francesca Matteoni, Luigi Nacci, Gilda Policastro, Laura Pugno, Italo Testa
Dialogheranno con loro
Vincenzo Bagnoli e Loredana Magazzeni
Venerdì 25 febbraio 2011
alle ore 18.00
Libreria delle Moline
via delle Moline 3a, Bologna
tel. 051 232053
saranno presenti gli autori
Poesia fuori del sé, poesia fuori di sé
Poesia fuori del sé, poesia fuori di sé / Vincenzo Ostuni
[Di seguito, la prefazione al numero de L’illuminista dedicato ai Poeti degli anni Zero, che stasera viene presentato all’ESC.]
Nella premessa collettiva a Parola plurale, senz’altro la migliore antologia di poesia italiana apparsa almeno in quest’ultimo decennio – antologia che, lo ricordiamo, abbracciava un arco temporale amplissimo, fra gli anni Settanta e i primi Duemila – i curatori mettevano in guardia contro certe antologie curate da poeti, colpevoli di non giustificare in maniera criticamente adeguata la loro struttura, le linee di ragionamento e di indagine che ne motivavano la composizione; con la conclusione – del tutto condivisibile, nei casi citati – che tali linee fossero logicamente ed empiricamente debolissime.
Raccogliendo il generoso invito rivolto da Walter Pedullà ad allestire un’antologia dei poeti degli anni Duemila, chi scrive ha dovuto confrontarsi con la medesima preoccupazione, rivolta su sé. Certo di non poter che costituire un «canone policentrico», vista la natura della poesia del decennio e vista anche la mia stessa difficoltà, come poeta, a riconoscermi in tendenze o gruppi oggi attivi, ho dovuto ricorrere a un criterio composito, ciò che fa di questo volume una creatura ibrida: non una mera ricognizione ma neppure un’antologia di tendenza.
Non si disturbi il massacratore
Bacheca libica
Questo è un “post-in-progress”. Siete tutti invitati a lasciare commenti, segnalare materiali d’approfondimento, riportare testimonianze, elencare dati, ricordare la storia criminale del colonialismo italiano in Libia, prima e durante il fascismo.
«La processione degli italiani che venerano e rispettano Gheddafi, formata dagli uomini che con lui hanno lavorato al “grande accordo” che ha chiuso una lunga fase di tensioni, entra nella tenda del leader.
L’ora in cui si alzano i pendolari e i guerriglieri
http://www.youtube.com/watch?v=2LhrYMblpz8&feature=related
La vita ai tempi delle Luci Della Centrale Elettrica
di Gianluca Veltri
Trovatelo, un altro che sappia raccontare la contemporaneità come Vasco Brondi, alias Le Luci Della Centrale Elettrica. Canta, come un Tiresia con la chitarra, “questi cazzo di anni zero”, le ragazze kamikaze, i crocifissi negli uffici, le petroliere affondate. Canta ossessivamente quello che vede, quello che sente, come in un rosario: l’avanzata dei deserti, le polveri sottili, le periferie lunari. Un Lucio Battisti allucinato del Nord e degli anni Zero, cresciuto ai bordi delle spiagge deturpate, delle fabbriche arrugginite, tra ciminiere e antenne paraboliche davanti a tramonti anneriti. Un aedo della monumentalità noir postindustriale. Canta il mantra di una molteplicità irriducibile, l’impossibilità della reductio ad unum, con una procedura poetica allucinatoria costruita con accumuli, sovrapposizioni nervose, affollamenti, accatastamenti di immagini.
Il Mediterraneo è l’avvenire dell’Europa
[Intervista raccolta da Alain de Benoist, Éléments, 129 (Été 2008), pp. 26-32. Traduzione delle domande dal francese all’italiano a cura di Benoît Challand. L’intervista è tratta dal sito-rivista Jura Gentium.]
Dialogo fra Alain de Benoist e Danilo Zolo
Alain de Benoist. Lei è stato l’architetto, insieme a Franco Cassano, di un libro collettivo di oltre 650 pagine intitolato L’alternativa mediterranea (Milano, Feltrinelli, 2007, 659 pagine). Citando Peregrine Horden e Nicholas Purcell – che nella loro opera monumentale The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History (2000) scrivono: «l’unità e la coerenza dell’area mediterranea sono indiscutibili» – aggiungete: «”Unità” non significa uniformità culturale o monoteismo», ma al contrario «pluriverso». Nel corso della storia, dalle guerre di Atene contro Sparta o dal grande scisma d’Oriente alla divisione attuale dei paesi arabi, passando per le avventure coloniali francesi e britanniche, non è che il Mediterraneo sia sempre stato profondamente diviso? Aldilà dei conflitti di cui il Mediterraneo è stato testimone, secondo Lei, cosa crea questa unità mediterranea, sia a livello storico e geografico che a livello spirituale, ambientale o simbolico?
Danilo Zolo. Come è noto, un contributo di grande rilievo al dibattito sulla questione mediterranea, e quindi sull’unità del Mediterraneo, è stato offerto da Fernand Braudel. Ed è appunto al suo pensiero storiografico che si ispira il libro che Franco Cassano ed io abbiamo recentemente curato per l’Editore Feltrinelli. Mentre Henry Pirenne aveva elaborato lo schema della cesura dell’unità mediterranea a causa della conquista araba del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, Braudel ha valorizzato il pluralismo delle fonti culturali che hanno dato vita alla civiltà mediterranea.
Un punto di domanda sullo stato delle cose in Italia inaugura la nuova collana di critica letteraria edita da :duepunti edizioni
GIANCARLO ALFANO • ANDREA CORTELLESSA • DAVIDE DALMAS
MATTEO DI GESÙ • STEFANO JOSSA • DOMENICO SCARPA
DOVE SIAMO?
NUOVE POSIZIONI DELLA CRITICA
Dove siamo?, un punto di domanda inaugura Posizioni, la nuova collana di critica letteraria di :duepunti edizioni. Non un nuovo intervento pubblico sul «senso della critica» o sulla sua «attualità», ma un ragionamento plurale e – al tempo stesso – primo esito, programmatico e dichiarativo, di un progetto culturale, che vorrebbe essere, nel suo farsi, anche una presa di posizione rispetto allo stato delle cose in Italia.
Nell’Unità d’Italia, nel consolidamento della lingua nazionale e nella formazione dei cittadini italiani, gli intellettuali hanno avuto a vario titolo un grande peso, che a distanza di centocinquanta anni ci appare più che evidente.
L’importanza del ruolo della classe intellettuale è una questione che di continuo fa i conti con i mutamenti sociali in atto, si mette in crisi per riformularsi: per guardare soltanto all’ultimo dopoguerra, si pensi alla determinante rappresentanza intellettuale nella Costituente, al Gruppo ’63 e al ’68, alla querelle su “coraggio e viltà” divampata sui giornali nel ’77.
Ciao Luigi
Luigi Di Ruscio è morto oggi a Oslo, dove era in esilio dal 1957. Aveva compiuto 81 anni lo scorso 27 gennaio. Da qualche tempo la sua fibra possente mostrava segni di sofferenza. Su proposta di Silvia Ballestra, la casa editrice Feltrinelli aveva preso la decisione di pubblicare l’anno prossimo un suo libro di prose, comprendente fra l’altro l’ultimo suo testo intitolato Allegri deliri. Ad Alberto Rollo però, il quale aveva appena cominciato a lavorare a questo progetto, il 31 gennaio Luigi aveva anche mandato queste sue poesie tarde, e almeno in parte inedite, che sono un po’ il suo testamento. Non è di circostanza il ringraziamento a Rollo, per questi testi e queste notizie. Sin dagli anni Cinquanta delle sue prime uscite poetiche, come ha poi raccontato nei suoi straordinari libri in prosa, Luigi aveva inseguito – e insieme sabotato – l’ipotesi di una sua pubblicazione presso un grande editore. Era destino, evidentemente, che non dovesse mai vederla realizzata. [Andrea Cortellessa] [qui trovate una ristampa del suo volume Le streghe s’arrotano le dentiere, Marotta 1967, e qui il suo inedito Iscrizioni.]
8
per un inverno intero una vespa
fu il nostro unico animale domestico
per nutrirla bastò
una goccia di acqua e zucchero alla settimana
con la primavera sparì per sempre
per abbeverarsi in uno zuccherificio infinito
ed oggi per passare dalla zona d’ombra
alla luce è bastato un passo solo
un’altra storia di Johnny Tossi (1977-2006) [4]
di Davide Orecchio
Un’altra vita di Johnny Tossi
Un giorno
Jutta piega le gambe, avvicina le ginocchia all’erba, solleva i talloni, poggia i polpastrelli sulla terra, schiaccia il bacino sulle cosce, parte, inizia a correre veloce, veloce come se corresse per la vita, agita le braccia avanti e indietro, stringe i denti, schiude le labbra, pesta l’erba coi talloni una, due, tre volte e ora salta lontano, danza sospesa, unisce le gambe in aria tra i raggi del sole e atterra, guarda dove è atterrata, sorride, si alza, pulisce le mani, pulisce le cosce, guarda nella direzione di Johnny che spazzava la pista e a Johnny cade il rastrello.
Conversazione politica tra Johnny e Jutta sulla scalinata dello Stadio dei Marmi, poco prima del tramonto.
− E se vivessi ancora a Berlino verrebbe un nuovo giorno di parata. Un altro anniversario della Repubblica. Starei in piazza con gli altri per la marcia sulla Karl Marx Allee, davanti al compagno Andropov e al compagno Honecker.
− Compagni di squadra?
− No, compagni comunisti. Mai sentiti nominare?
− Mai.
− A te non interessa molto quello che succede nel mondo, vero? Voglio dire, la politica?
− Non so. Me l’hanno chiesto in tanti da quando sono arrivato.
− Il mio ragazzo era così. Pensava solo ad allenarsi e quando gli dicevo: ma non vedi che schifo? Non ti senti soffocare?, lui tirava fuori la storia della medaglia. Sì, che voleva vincere una medaglia alle Olimpiadi e poi sarebbe diventato allenatore, e che non gli mancava niente nella Ddr e neanche a me mancava nulla. Che non mi rendevo conto di quanto eravamo fortunati. Per questo l’ho lasciato. Per me non si può vivere fuori dal mondo.
Il mio cuore è un mandarino acerbo
CIMITERO DI POZZOVECCHIO
ESTERNO GIORNO
L’aria di morte è quella degli enormi aranceti che sbucano nel selciato dei gradini di Pozzovecchio, le tonde radici nervose a scavare il profilo della discesa a terrazze che arriva fino al mare, alla sabbia grigia che s’è ordinata qui e lì, a partire dallo sfacelo delle ossa dell’isola.
Le croci del cimitero stanno tutte affacciate su una bassa collina di salsedine, inginocchiata davanti al marmo delle cappelle della zona più alta, dove stanno le statue, qualche sedia di vimini lasciata vicino alle lapidi senza nome, gli angeli gabriele di ferro battuto con gli occhi chiusi, e molte luci rosse e blu.
Alfazeta per Alfabeta: i come intellettuali
Nuova puntata di Alfazeta per Alfabeta dedicata alla lettera I. I come intellettuali. effeffe
qui potete vedere tutte le altre puntate
Promotore dei valori morali vicini al socialismo di George Orwell, Jean-Claude Michéa critica l’intellighenzia di sinistra per il sostanziale allontanamento dal mondo proletario e popolare. Difende i valori morali collettivi, in una società sempre più individualista e liberale che fa ricorso al diritto e alla economia come unici valori di riferimento. Convinto che gli ideali liberali borghesi abbiano trionfato su quelli socialisti fagocitandone le istanze, deplora che il socialismo abbia fatto proprie le teorie del liberalismo politico.
La lezione di storia di Benigni
[Ripubblico questo articolo di Banti, uno dei migliori storici italici (e che, detto per inciso, ha scritto un eccellentissimo manuale per le scuole), per restituire la giusta dimensione all’intervento del non-più-comico toscano a Sanremo che ha ahimé suscitato plausi bipartisan, plausi che – quantomeno quelli non di destra, laddove quelli di destra sono naturaliter interessati a restituire una dimensione mitologica all’idea di Nazione – evidentemente non hanno saputo valutare la sua superficialità, la sua ignoranza di alcuni dati ormai acquisiti del dibattito storiografico, e dunque la sua nocività. Sui temi in questione Banti ha scritto, di recente, Sublime madre nostra. mr]
di Alberto Mario Banti
Dieci cose da ricordare quando si scende in piazza
di Giovanna Cosenza
Da alcuni mesi le immagini delle piazze nordafricane rimbalzano sui media: tumulti, incendi, devastazione, morti e feriti; ma anche, nel caso egiziano: sorrisi, feste, soldati e poliziotti che abbracciano i manifestanti, quasi a promettere un lieto fine. Sono immagini forti e la loro ripetizione, il loro accostamento e persino i contrasti, hanno indotto molti – specie a sinistra – a trovare più somiglianze che differenze: come se il vento nordafricano potesse soffiare anche da noi. D’altra parte – si è detto – l’anno scorso anche Atene, Londra, Roma sono andate in fiamme, dunque non siamo così diversi.
Ma la piazza italiana ha una specificità tutta sua, che la distingue anche da quelle europee, non solo dal nord Africa. In un momento di pausa dopo le ultime manifestazioni contro Berlusconi, è opportuno fare alcune riflessioni. Ecco allora dieci cose da ricordare sulla specificità dello scendere in piazza nel nostro paese.
informale spinto sul natale
Informale spinto sul natale / Sergiomaria Cerruti. 2005
non c’è alcun fine da perseguire,
alcuna meta da raggiungere
e non occorre fare alcuno sforzo per migliorarsi
Raffaele Morelli
tra le mura domestiche nel sogno un orizzonte
limitato di stanze e lo sguardo libero avevi
per gli angoli a cercare il cane o il nonno
superbo sonno e appannato ricevevi il brusio
del mondo nello specifico una finestra luccicava
sola svegliava la famiglia ma non la veglia richiedeva
era per farti addormentare ancora dopo di nuovo
la scusa era la voce sorda d’un parente percepita
malamente allora accolta
scorreva sul divano ruvida coperta della nonna
lo spreco sudaticcio del respiro a bocca aperta
la languida carezza del sentire in lontananza
le voci ed i rumori amici a fare da contorno
lo spettro del disastro in urla bianche di bambini
fondendo niente a fuoco svegliarti pressappoco
per mesi allenavi all’abbuffata lo stomaco non
ti mancava il fegato ripugnavi la presa sui vivi
sopra tutto dormivi







