di Gaia Manzini
Nel prezioso libello di Alfonso Berardinelli c’è un solo elemento che rende dubbiosi. Il titolo: Che intellettuale sei? Domanda che s’immagina pronunciata con sussurro gentile. Domanda che in realtà presuppone un lettore già eletto, o auto-elettosi, intellettuale. Tutti gli altri potenziali lettori si escludono da sé con orgoglioso diniego: tipico di chi, suo malgrado, è stato fatto fuori da un’élite. E questo è un peccato. L’intellettuale è un misantropo. Forse un filantropo critico. Possiede un’attitudine umana (la tendenza a isolarsi) che determina o sostiene un’attitudine dello sguardo. Critica e smonta il vivere sociale, le sue finzioni e le sue menzogne. E’ conscio di aver iniziato a esistere come individuo nel momento in cui ha scelto la solitudine e sa che l’ambiente sociale è diventato conoscibile solo da quando ha smesso di farne parte. Non era Montaigne a fare di solitudine saggezza? L’intellettuale misantropo vive fuori dalla società. Un fuori che diventa un oltre migliore. E qui viene il punto.









