Les nouveaux anarchistes
…Prima di accadere, una catastrofe sembra impossibile, ma dal momento in cui accade diventa agli occhi di tutti necessaria e inevitabile.
Reportage di un’ apocalisse annunciata, dunque, l’ acre e non conciliante romanzo di Piero Pieri, docente di Letteratura italiana contemporanea per il corso D.A.M.S. di Bologna, edito nel 2010 da Transeuropa Edizioni.
In tre fitti, stringenti Quaderni di cruda indagine sociale, l’ io narrante, inevitabilmente Capriccio, cerca di assemblare i cocci dell’ ormai esploso vaso di Pandora del senso comune, palpando senza patetismi “una sofferenza all’ avanguardia, contemplativa e inutile, tipica di quel ceto confuso che neanche ha il buon gusto di farsi borghesia”.
Brandelli di una generazione disgregata dall’ insensatezza panica, pungolata da un ripiegamento ciecamente intimista, che per sbarcare il lunario si scopre impegnata in annoiati Tentativi abortiti di ribellione, fallimentari già nell’ intenzione, inequivocabili nelle loro velleità antieroiche.
un’altra storia di Johnny Tossi (1977-2006) [2]
In autunno Coloccini apre una tipografia e gli offre lavoro, al che Johnny mette da parte la diffidenza per l’esule che fa troppe domande e accetta. All’inizio sbrigherai le consegne. Nel frattempo guardando il mestiere impari. Ce l’hai un motorino? Se lo procura ma troppo fragile per uno che continua a ingrassare. In curva trema, deve gonfiare le ruote ogni settimana e in salita non lo porta, per fortuna ci sono i pedali. Consegna carta in città, perlopiù a certi sindacati coi quali Coloccini ha i suoi agganci. Sembra che Coloccini conosca tutti, eppure è arrivato da un anno, non è mica nato qui (pensa Johnny). La tipografia sta in un garage sulla Casilina. Un corridoio, due stanze. Insieme a Coloccini lavora Aurora Maturáno, che non è la sua donna ma è chiaro che si vogliono bene. Johnny non l’ha mai vista al Centro. È magra, riccia di capelli e secondo Johnny “non bella bella ma sus tetas!”. Poi è scaltra, pensa Tossi. È nervosa, “fumatrice senza sorrisi” (Johnny sostiene che più le donne fumano, meno sorridono). Coloccini dice che sono amici da una vita. A Buenos Aires lui la salvò e poi lei ha salvato lui. Aurora chiama Johnny gordito, a volte stringendogli il collo tra il pollice, l’indice e il medio come a un gatto. I tre pranzano insieme.
Porte à Portes
Rewind: una lettera di Giulia Niccolai sui maestri (Porte senza porta)
di
Beppe Sebaste
Alcuni anni fa, nell’ipotesi di ripubblicare una nuova edizione dell’ormai esaurito feltrinelliano Porte senza porta (ora Il libro dei maestri. Porte senza porta rewind) ebbi l’idea di chiedere alla mia amica Giulia Niccolai, già protagonista di una bellissima puntata della trasmissione che ai Maestri avevo dedicato su Radio 3 (riproposta nel cd abbinato al libro), una prefazione: lei aveva pratica, insieme, di scrittura e di meditazione, di sottomissione ai maestri e di indipendenza. Ma, giustamente, la sintesi a cui Giulia era pervenuta irreversibilmente, la sua vita nuova, non permetteva la complicità che lei ha immaginato le chiedessi, e che io avevo probabilmente immaginato di chiederle. Mi scrisse invece una lettera personale da cui mi sentii benevolmente trafitto, e che da allora mi accompagna. Ebbi da lei, in una parola, il dono della severità.
L’ho riletta tante volte, fino a pensare (con il consenso di Giulia) che forse potrebbero leggerla giovandosene anche altri, altri magari che come me si dibattono tra alcune delle contraddizioni che lei indica nel suo testo.
Da oggi in edicole e librerie “alfabeta2” numero 6
«alfabeta2» numero 06
dal 28 gennaio in edicola e in libreria
«Gentile ministro Tremonti,
[…] mi domando come mai l’Italia abbia meno indotto turistico della Francia o della Spagna, e naturalmente di New York. C’è qualcosa che non funziona, qualcuno che non sa come far soldi (e mangiare) con la cultura nazionale». Umberto Eco apre il numero con una lettere al ministro Tremonti: Non si mangia con l’anoressia culturale.
Il focus Cultura anno Zero denuncia lo stato di collasso delle istituzioni culturali italiane. Interventi – distinti nei diversi settori (cinema, teatro, biblioteche, musei, librerie) – di Andrea Carandini, Claudio Strinati, Manuela Gandini, Antonella Agnoli, Vincenzo Ostuni e altri.
Pereživanie
Walter Benjamin
La forza di una strada è diversa a seconda che uno la percorra a piedi o la sorvoli in aeroplano. Così anche la forza di un testo è diversa a seconda che uno lo legga o lo trascriva. Chi vola vede soltanto come la strada si snoda nel paesaggio, ai suoi occhi essa procede secondo le medesime leggi del terreno circostante. Solo chi percorre la strada ne avverte il dominio, e come da quella stessa contrada che per il pilota d’aeroplano è semplicemente una distanza di terreno essa, con ognuna delle sue svolte, faccia balzar fuori sfondi, belvedere, radure e vedute allo stesso modo che il comando dell’ufficiale fa uscire i soldati dai ranghi. Così, solo il testo ricopiato comanda all’anima di chi gli si dedica, mentre il semplice lettore non conoscerà mai le nuove vedute del suo spirito quali il testo, questa strada tracciata nella sempre più fitta boscaglia interiore, riesce ad aprire: perché il lettore obbedisce al moto del suo io nel libero spazio aereo delle fantasticherie, e invece il copista lo assoggetta a un comando. La pratica cinese del ricopiare i libri era perciò garanzia incomparabile di cultura letteraria, e la trascrizione una chiave per penetrare gli enigmi della Cina.
[Da: Strada a senso unico, trad. del brano di B.C. Marinoni, Einaudi 1983.]
MILANO IN PIAZZA SABATO 29 GENNAIO
PER RACCONTARE UN’ALTRA STORIA ITALIANA
Le moltissime adesioni che continuano ad arrivare all’appello “Mobilitiamoci per ridare dignità all’Italia”, partito da Milano e dalla Lombardia, insieme alla richiesta arrivata spontaneamente da centinaia di donne di una presa di parola pubblica, ci hanno indotto a lanciare la proposta di una manifestazione nella nostra città. L’appuntamento è per sabato 29 gennaio, alle 15, in piazza Scala. Con un simbolo: la sciarpa bianca del lutto per lo stato in cui versa il Paese. Uno slogan: Un’altra storia italiana è possibile. Ci saremo con le nostre facce. Le facce delle donne italiane, quelle della realtà. Appuntandoci sulla giacca una fotocopia della nostra carta di identità con su scritto chi siamo: cassaintegrate, commesse, ricercatrici precarie, artiste, studentesse, registe, operaie e giornaliste, per dire la forza che rappresentiamo, a dispetto di tutto. Perché sarebbe bello che una spallata, magari quella definitiva, politica molto prima che giudiziaria, la dessimo proprio noi al capo supremo di questa telecrazia autoritaria, eversiva e misogina.
Quel che accade del nostro Paese offende le donne, ma anche gli uomini che non si riconoscono nella miseria della rappresentazione di una sessualità rapace e seriale, nello squallore di una classe dirigente che ha fatto dell’eversione di ogni regola e nel sovvertimento di qualunque verità il suo tratto distintivo. Ed è anche a questi uomini che chiediamo di essere con noi sabato 29. Per ribadire insieme che “un’altra storia italiana è possibile”.
Su un editoriale di Silvia Avallone
di Andrea Inglese
Ieri Silvia Avallone, autrice di un romanzo di cui molto si è parlato, e che quindi – pur non avendolo letto – immagino sia stato importante, ha scritto sul “Corriere della sera” un editoriale, in ragione credo di una duplice competenza, quella del romanziere e quella della donna. Questo editoriale ha bizzarramente due titoli, uno in prima pagina, e l’altro a pagina 6, dove è possibile leggere interamente il pezzo: “Se le donne perdute diventano conformiste” e “Ma dove è finito quel tormento delle donne perdute?”. Da questi titoli, probabilmente redazionali, si deduce che, oltre ad esistere la categoria delle “donne perdute”, vi è un rapporto inverso tra “tormento” e “conformismo”. E il tema potrebbe essere interessante, anche se bisognerebbe capire di che donne perdute si parla: quelle di carta o quelle di carne?
Notte e Nebbia [Aiutami a parlare della cenere di un cuore.]
[sottotitoli tradotti da O. Puecher]
Con ognuna delle tue parole così brillanti d’oro
Aiutami a parlare della cenere di un cuore.
[“Père Jacques, mon pur feu flambant” di Jean Cayrol]
di Orsola Puecher
Ogni anno il 27 Gennaio mi attende il dovere di commemorare il Giorno della Memoria, rinnovando una sofferenza che solo chi ha avuto delle vittime del Nazifascismo fra i suoi familiari può comprendere profondamente. Ma mai come quest’anno occorre raccontare della cenere di un cuore, per strappare la memoria alla retorica, all’abitudine e all’intento strisciante di svilire, ridicolizzare e ⇨ falsificare la storia, per poi più facilmente rimuovere e dimenticare.
Alternative metal
http://www.youtube.com/watch?v=uc-VqT97iZQ
di Mauro Baldrati
Io e la lady ci facciamo questa pista, sottraendola al sacchetto che dobbiamo portare all’avvocato. Modica quantità, per andare su di giri, non per uscire di testa. L’avvocato non se accorgerà. Perché non può accorgersene, visto che non avrà certo il tempo di pesarla.
La vita impersonale di Aldo Nove
di Daniele Giglioli
Il lettore che avesse seguito la carriera di Aldo Nove fin dal suo esordio con Woobinda, nel 1996, e col suo incipit ormai divenuto proverbiale: “Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal. // Mia madre diceva che quel bagnoschiuma idrata la pelle ma io uso Vidal e voglio che in casa tutti usino Vidal. // Perché ricordo che fin da piccolo la pubblicità del bagnoschiuma Vidal mi piaceva molto. // Stavo a letto e guardavo correre quel cavallo. // Quel cavallo era la libertà. // Volevo che tutti fossero liberi. // Volevo che tutti comprassero Vidal”; e che lo avesse poi accompagnato nei suoi sviluppi successivi, da Puerto Plata Market (1996) a Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese (2006), passando per Amore mio infinito (2000) e La più grande balena morta della Lombardia (2004); quel lettore dovrebbe guardarsi, dopo aver terminato questo suo ultimo La vita oscena (Einaudi, 111 pagg, 15, 50 euro), dall’esclamare: a-ha, ora ho capito, ecco cosa c’era dietro. Quel mondo esilarante e desolato, quelle gag tragicomiche, quel linguaggio che nelle sue espressioni più riuscite è la perfetta mimesi del balbettare di un idiota, non era solo un artificio letterario. C’era una storia dietro, un grumo di realtà incistato, dolorante e inesauribile che comandava con la sua regìa ferrea la lingua e i personaggi di Aldo Nove. La letteratura era vita; basta quindi con l’ammirazione diffidente e il riso a mezza bocca, e benvenuto a Nove nel mondo sudaticcio dei sentimenti “autentici” e del “provare sulla propria pelle” ciò di cui si scrive e si legge.
Un libro vi trasporterà: Giorgio Vasta
Nuova puntata di ” Un libro vi trasporterà ” per gli amici di Torno Giovedì , dedicata a “Spaesamento” (ed. Laterza) , di Giorgio Vasta. Con lui, Tommaso Cerasuolo, cantante dei Perturbazione, band con cui Giorgio ha realizzato alcuni reading. La cornice è quella del Circolo dei lettori di Torino, e poi, poi c’è la furia autistica dei dittatori soft e il coraggio dei maratoneti. effeffe
“Il mal di Montano” di Enrique Vila-Matas
recensione per la quale è necessario avere letto il libro
di Gianluca Cataldo
«“È mia opinione che il mestiere dell’opinionista non sia un mestiere”. Così esordiva Manuel Faltausencia in un suo vecchio saggio del 1991, apparso per la prima volta nella rivista madrilena Claves de razón práctica. E non ho alcuno motivo per non credere alla buonafede del suo gioco di parole, del suo inganno. Ortega y Gasset aggiungeva, molto tempo prima, che il linguaggio serve anche per nascondere i nostri pensieri, per mentire. E che l’inganno risulta essere “un umile parassita dell’ingenuità”. E chi siamo noi per non credergli? E se a tanto illustri pensatori chiosa un Canetti, che scrive che “è la precisa conoscenza di quel che si tace a rendere il silenzio così vantaggioso”, come non possiamo trasformarci in tanti parassiti letterari e, come un Borges qualsiasi o un Vila-Matas, dire per loro bocca che non dire, ma lasciare dire, sia meglio che opinare?
È mia opinione – scrivo io che di mestiere faccio tutt’altro – che le opinioni, ultimamente, siano troppe e troppo mollemente tollerate. Come le contraddizioni. E le rivendico entrambe!, le mie opinioni e le mie contraddizioni».
In questa maniera un po’ irritante iniziava un articolo che qualche tempo fa ho letto in uno dei tanti blog su internet. Mi era piaciuto al punto da scriverci sopra, ma durante il trasferimento dall’Italia le poste svizzere (strano a dirsi ma è così) hanno perso tutte le scatole contenenti i miei libri, scatole che, come quelle di Zuckerman, aumentano di anno in anno, decuplicando la mole di citazioni che posso utilizzare, col solo sforzo di memorizzarne la provenienza.
Ancora contro la censura in biblioteca
[In merito all’iniziativa lanciata dall’Assessore alla Cultura della Provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, ecco la lettera inviata il 19 gennaio scorso dall’Associazione Italiana Biblioteche al Presidente della Regione Veneto e al Presidente della Provincia di Venezia. Non è la prima volta che l’AIB si occupa della ingerenze politiche in Veneto: qui un caso simile.]
Al Presidente della Regione del Veneto
Luca Zaia
Palazzo Balbi – Dorsoduro 3901
30123 Venezia
Al Presidente della Provincia di Venezia
Francesca Zaccariotto
Palazzo Ca’ Corner, San Marco 2662
30124 Venezia
Egregio Presidente,
sono venuto a conoscenza dalla stampa dell’intento, da parte di un suo Assessore, di intraprendere iniziative volte a eliminare dagli scaffali delle biblioteche civiche e scolastiche del territorio tutti i libri i cui autori firmarono nel 2004 una petizione a favore di Cesare Battisti.
Dover essere riconosciuti ancor prima di nascere
di Roberta Salardi
Nell’articolo La lobby vaticana di Franco Buffoni, apparso su Alfabeta2 (n° 3, novembre 2010), e ripreso qui su NI, si trova una considerazione che non si può che condividere: “Esistono società meritocratiche (in genere quelle anglosassoni), società socialdemocratiche (con lo stato in funzione di nume tutelare dalla culla alla tomba: in genere quelle nord-europee) e società familistiche come quella italiana, per la quale il primato dei valori è nell’ambito famigliare.”
Legami di sangue o parentela più o meno stretta si confermano come forza di coesione primaria nella familiocrazia. Si deve presumere che ciò valga anche per quella nicchia che è la casta letteraria. Amicizie o conoscenze radicate nel passato, inerenti alla famiglia o alla scuola, potranno essere decisive. La loro discreta importanza avranno in seguito le amicizie giovanili più solide, quelle degli anni formativi legate alla politica e all’ideologia, la condivisione di scelte analoghe fino alla vera e propria militanza negli stessi gruppi, schieramenti o chiese. Questi sodalizi intellettuali,
Le poesie di Isidore Ducasse. I
di Michele Zaffarano
[Quella che segue è la bandella presente sui due volumi delle Poésies di Ducasse, nell’edizione con testo a fronte ed apparato di note apparsa presso La camera verde nel 2009 a cura di Michele Zaffarano. Nei prossimi giorni metterò on line le traduzioni di Zaffarano.]
«Cantare la noia, il dolore, la tristezza, la malinconia, la morte, l’ombra, l’oscurità, ecc. significa volere, a tutti i costi, guardare soltanto il puerile rovescio delle cose. (…) Sempre a piagnucolare. Ecco perché ho completamente cambiato metodo, per cantare esclusivamente la speranza, l’aspettativa, la calma, la felicità, il dovere».
È con queste parole che Isidore Ducasse, in una lettera indirizzata al proprio banchiere, annuncia il radicale mutamento che segna la sua nuova scrittura, in conseguenza e in opposizione ai precedenti Canti di Maldoror, troppo compromessi con la ripudiata «poetica del dubbio».
Dietro la banale apparenza delle due raccolte di massime e aforismi, pubblicate tra l’aprile e il giugno 1870 sotto il fuorviante titolo di Poesie, il giovane autore cela in realtà una dissacrante manovra di ristrutturazione globale del fare poetico. Di questa operazione, la supposta «conversione al bene» rappresenta solo un superficiale e sarcastico leitmotiv, un’esca tesa ad attrarre l’attenzione e l’energia della «ragione volgare».
A prose is a prose: Giulia Niccolai
All’inaugurazione della mostra di Biagio Cepollaro, a Milano, c’era anche Giulia Niccolai. Erano anni che volevo chiederle l’autorizzazione a pubblicare il piccolo testo che segue. Anni per un piccolo testo così? si chiederà qualcuno. Certo, un piccolo testo da un grandissimo libro.
E così ringrazio Giulia e l’editore Archinto di avercela accordata. effeffe
da ” Esoterico Biliardo” , Giulia Niccolai, ed.Archinto pp. 176 € 12,39 Lire 24.000

Da diversi anni ormai, tutte le volte che esco con i cani per le loro passeggiate quotidiane, porto con me dei vecchi giornali per poter raccattare e poi buttare in un cestino i loro escrementi. Mi sono sentita in dovere di prendere questa decisione a causa delle occhiate di negozianti e portinai che a volte guardavano passare me e i due cani con espressione torva e sospettosa, mentre ora al contrario ci salutano molto cordialmente. L’iniziativa dunque, per quanto sgradevole, ha avuto un certo successo e sono così riuscita a evitare un po’ di quell’attrito che rende la vita quotidiana così simile alla carta vetrata.
Col tempo ho potuto anche accumulare una certa casistica relativa alle reazioni dei passanti. La signora che arriccia il naso e dice: che schifo! Il signore che sentenzia: è così che si deve fare, ecc.
Quella calda e deserta mattina di agosto mi trovavo in via Verga diretta ai giardinetti, quando Lennie al centro del marciapiede comincia ad assumere quella classica e goffa posizione ingobbita dei cani prima di fare i loro bisogni. Da parte mia estraggo un giornale dalla borsa di plastica, lo apro per poterne sfilare due fogli e come sempre mi inchino e raccatto. A operazione conclusa sento un sonorissimo BRAVA! Mi guardo attorno ma non scorgo anima viva, alzo la testa verso le finestre delle case ma anche li, nessuno. Non capendo da dove potesse essere venuta la voce, rimango interdetta col mio cartoccio in mano chiedendomi se non avessi per caso avuto un’allucinazione uditiva. BRAVA! Non più presa alla sprovvista, questa seconda volta ne identifico la provenienza: la voce viene da lì, da quel pertugio rettangolare nel basamento della casa. La voce proviene da una cantina.
Ricapitolando: agosto in città, una strada deserta, un cane fa i suoi bisogni, una donna li raccatta, un uomo da una cantina le dice brava!
Mai come in quel momento ho capito Samuel Beckett.
Oh Lou, in una poesia che mi riesce . . .
Quando tre anni fa visitai il castello di Duino ‒ la prima apertura per chi arriva da occidente su l’amato golfo di Trieste ‒ trovai un piccolo angolo dedicato a Rilke, che vi fu ospitato, a cavallo tra il 1911 e il 1912, dalla principessa Maria von Thurn und Taxis (née Marie von Hohenlohe-Waldenburg-Schillingsfürst); appeso a una parete di questo angolo lessi un breve stralcio di una lettera del poeta a Lou Andreas-Salomè. È di questo stralcio, che non riesce a uscirmi di mente, che vi voglio dire.
Auguste Rodin era nato a Parigi il 14 novembre 1840. Nel 1900, a sessant’anni, era all’apice della carriera, come dire “ricco e famoso”: una vita turbinosa di viaggi, vari atelier con giovani artisti che lavoravano per le numerose opere che gli venivano ormai commissionate ‒ a caro prezzo ‒ e non poche donne che gli giravano intorno. Rodin era un tombeur de femmes. Isadora Duncan, conosciuta nel 1901, danzò per lui nei boschi di Vélizy, nel 1903.
Clara Westhoff, giovane scultrice di Brema, era stata nel 1899, ventunenne, allieva di Rodin. L’anno successivo iniziò a frequentare lo studio del pittore e architetto tedesco Heinrich Vogeler, a Worpswede, due passi da Brema, dove conobbe Rainer Maria Rilke (René, alla nascita — poi cambiato in Rainer per volere di Lou, Praga 1875 ‒ Valmont 1926), col quale si sposò nella primavera del 1901.
Personaggi Precari 2011 – Il quinto elemento
Lorena
– Signora, ma cosa fa, spia?
…
– Signora, dico a lei!
(Lorena trotterella via)
Bruno
Di tutti i trentenni passati bruscamente dalla convinzione di poter fare tutto all’evidenza di non poter fare nulla, Bruno è di gran lunga quello a cui sono cambiati i piani del viso nel modo più grottesco.
Valentina
Che gli può dire ancora, al mondo, questa “provincia ricca”, questi bassi capanni di aziende – per carità, internazionali – questi colli dai pochi cipressi e dalle moltissime ginestre che attraverso in Intercity, così disarmati (così spaventati), pensa Valentina, senza scarpe i piedi appoggiati sul sedile di fronte, la tendina dello scomparto tirata, la borsa floscia accanto, gli oggetti che la definiscono così visibili, e così pochi, lì dentro.
Diana
– Oh..! Antidolorifici! Ma grazie, era proprio quello che desideravo!
LOGORAMA [ Un fottuto ghepardo cieco che sbatte contro gli alberi… ]
di Orsola Puecher
Il corto francese LOGORAMA, di François Alaux, Hervé de Crécy e Ludovic Houplain, vincitore dell’Oscar per l’Animazione 2010, ci illustra un mondo ormai coperto da copyright pubblicitario in ogni sua più piccola manifestazione, naturale o artificiale che sia.









