di Marco Belpoliti
Rivoluzione addio? Sì, il suo posto è stato preso dalla rivolta. Da Clichy-sous-Bois, nella banlieue parigina, nel 2005, ad Atene nel 2008, all’assalto degli studenti londinesi nel 2010, o alla discesa in piazza a Roma del corteo degli studenti l’altro ieri, la rivolta sembra aver preso il posto delle forze rivoluzionarie. La rivolta non ha progetto, non si proietta nel tempo futuro. Come ha sostenuto uno dei suoi teorici, il germanista e mitologo Furio Jesi, morto giusto trent’anni fa, in Spartakus. Simbologia della rivolta, testo apparso postumo, “prima della rivolta e dopo di essa si stendono la terra di nessuno e la durata della vita di ognuno, nelle quali si compiono ininterrotte battaglie individuali”. Evocando Rimbaud e la Comune di Parigi, Jesi affermava: “solo nella rivolta la città è sentita come l’haut-lieu e al tempo stesso come la propria città”; nell’ora della rivolta non si è più soli, ma si è nel flusso cangiante del Noi, entità provvisoria e labile, estatica e violenta.












