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RITRATTI DI FAMIGLIE

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di Circolo Mario Mieli – Roma

Ritratti di famiglie non convenzionali

Mostra fotografica di Mirta Lispi

Inaugurazione 16 Dicembre 2010, ore 17.30 Libreria Feltrinelli – Piazza Colonna Roma

Le fotografie raccontano storie di coppie e di Nuove Famiglie, che da anni vivono “consapevolmente” la mancanza di un loro completo riconoscimento sociale e giuridico. Coppie gay, coppie lesbiche, coppie eterosessuali non sposate, coppie che scelgono di concepire un figlio o di crescere i figli che sono stati generati da precedenti legami di uno dei partner, famiglie formate da amici, unioni durature e feconde di legami, di relazioni, famiglie innovative, “esperimenti” d’amore, famiglie che si aggregano sulla base di scelte di vita e di condivisione: un universo variegato di situazioni che, prescindendo da orientamenti sessuali e identità di genere, mette insieme i progetti di vita di persone che formano nuclei familiari diversi da quello formalizzato dallo statuto del matrimonio tradizionalmente concepito.

Train de vie : Florina Ilis

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Cher Francesco,
Je t’invite au lancement de mon roman La crociata dei bambini à L’Accademia di Romania de Rome. Si, par hasard, tu pouvais venir, voilà les coordonnées: Accademia di Romania (Biblioteca), Valle Giulia, Piazza José de San Martin, 1, 00197 Roma.
L’événement se passera Lunedì, 13 dicembre, ore 18,30.

Purtroppo non potrò andarci ma a chi si trovasse a Roma quest’oggi consiglierei di andare. Vale la pena il romanzo, vale la pena l’autore. Qui di seguito il testo di Bruno Maillé dell’Atelier du Roman
effeffe

Ironie et enchantement– prima parte
Sur La croisade des enfants de Florina Ilis
di
Bruno Maillé
traduzione (in progress) di Francesco Forlani

La crociata dei bambini di Florina Ilis è uno dei romanzi europei più importanti di quest’ultimo decennio. Pubblicato nel 2005 in Romania dove è stato acclamato come capolavoro, tradotto in diverse lingue, sembra per il momento quasi sfuggito ai critici francesi, nonostante la bella traduzione in francese di Nir Marily. Dopo La descente de la croix (2001) et L’appel de Mathieu (2002), quest’opera è la terza parte, autonoma per una trilogia che spero sarà presto interamente tradotta. I pochi critici francesi che hanno parlato de La crociata dei bambini lo hanno celebrato come un grande romanzo sulla Romania post-comunista e contemporanea. Impossibile dar loro torto: Florina Ilis descrive con humour acerbo il disastro postcomunista. Il suo romanzo è di uno scetticismo radicale nei confronti della rivoluzione del 1989 e della democrazia post-comunista. La gente comune vi rimpiange l’era comunista. Tuttavia, La crociata dei bambini non può essere ridotto a questa unica dimensione. Rinchiuderlo nel contesto rumeno, è cercare di scostare lo specchio che ci sta porgendo. Ecco che, esausto e grottesco il volto che si riflette nello specchio non è solo una faccia della Romania. È soprattutto la nostra, quella dell’umanoide planetario senza tetto né legge. E dei suoi figli. La catastrofe che la risata di Florina Ilis svela è il nostro comune disastro democratico. Il disastro mondiale e globalizzato. La commedia della democrazia spettacolare con lo sfondo della devastazione capitalista e della quasi compiuta fusione di Stato e mafia.

Rewind: Beppe Sebaste

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Nota
di
Beppe Sebaste
Quando l’editore Luca Sossella mi ha chiesto di ripubblicare il “libro dei maestri”, contagiandomi col suo entusiasmo, ci ho messo un po’ ad acconsentire, ma lui conosce un sacco di trucchi filosofici e poetici per convincere gli altri. Poi mi sono venuti i dubbi. Non è un libro invecchiato? O troppo ingenuo? Interessa ancora a qualcuno l’idea del “maestro”? Non è troppo tardi (come prima era troppo presto)? Intendo, non è troppo tardi per coinvolgere persone ormai incallite nella loro solitudine, per distogliere lettori ormai perdutamente anarchici (quali, poi?) dalla frammentazione delle loro esperienze, in un mondo ormai privato di un senso narrativo dell’esistenza (ciò che chiamiamo precarietà)? Per non dire della moltitudine anestetizzata che vive l’illusione dell’eterno presente sul modello di una televisione sempre accesa.
Siamo in un paese dove “pensare” o “contemplare” è sentito come sinonimo di “essere tristi”, dove il giudizio di valore (di qualità) è ovunque soppiantato dalla constatazione acritica del successo (di un libro, di un leader, perfino di un’idea), dove il lavoro intellettuale è il piú umiliato che ci sia, soprattutto quello degli insegnanti, e dove anche gli scrittori hanno interiorizzato i meccanismi e le retoriche del potere piú effimero e cieco invece di denunciare la colonizzazione della mente di cui siamo (tutti, nessuno escluso) vittime e conniventi.

MILTON – IV parte

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di Franco Buffoni

Monumentale termine di riferimento per gli autori successivi, più che modello poetico in senso stretto (si pensi alla splendida elegia di Thomas Gray, dove Milton viene esplicitamente menzionato come sinonimo di grandezza poetica assoluta, marmorea: “Some mute inglorious Milton here may rest”), il poeta di Lycidas e la sua opera maggiore acquisirono subito – già a partire dal primo Settecento – un siderale distacco dalla società e dall’uomo del tempo; mentre Shakespeare ringiovaniva con il passare dei decenni e dei secoli, adattandosi a gusti completamente diversi (dalla settecentesca necessità di non far morire Cordelia, o di dimostrare che Romeo e Giulietta morivano per avere disobbedito ai genitori, alla bardolatria ottocentesca), Milton saliva sempre più su nell’empireo dei classici, vieppiù marmorizzandosi. Pronto per le esercitazioni scolastiche, per la lezione sulle tre caratteristiche in comune tra Odissea, Eneide e Paradiso perduto.
Milton aveva fatto di tutto perché ciò accadesse, portando anche da dieci a dodici il numero finale dei libri che compongono l’opera, perché fosse immediatamente chiaro che intendeva porsi ideologicamente nell’ambito dei multipli di tre, con approdo a dodici o ventiquattro; quindi non un approdo dantesco, ma virgiliano o omerico (Odissea). Inoltre, come nell’Odissea e nell’Eneide, la narrazione nel Paradiso perduto è nettamente separata a metà. All’inizio del settimo libro, Milton infatti dichiara che da quel punto in poi l’azione nel suo poema si svolgerà esclusivamente sulla terra. Come ha fatto notare Northrop Frye, l’azione nel Paradiso perduto inizia dal punto sideralmente più distante dalla presenza di Dio (cioè dall’inferno), così come nell’Odissea la narrazione ha inizio dal punto più lontano da casa per Ulisse (l’isola di Calipso), e nell’Eneide – egualmente – si inizia con il naufragio di Enea sulla costa di Cartagine.

Perché bisogna difendere il professore di lettere

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di Andrea Cortellessa

In copertina al pamphlet di Davide Rondoni, Contro la letteratura (il Saggiatore, pp. 135, € 13.00), figura un Dante al quale viene puntata una pistola. Ma chi vuole uccidere la letteratura per Rondoni (poeta diciamo di grana grossa, ideologo di Comunione e Liberazione, opinionista di «Avvenire» e del «Sole 24 ore» nonché di trasmissioni televisive “di sinistra”) non sono i governanti che coi loro tagli forsennati costringono gli insegnanti a portarsi a scuola da casa le fotocopie e il gesso (o la carta igienica). Bensì quei mediocri «fannulloni» che, per gli stessi governanti, sono i professori di Lettere. Contro di loro, ecco la sua alata invettiva: «Sei un peso per la società / e anche se nessuno lo fa / io ti dico: vattene di qua». «Milioni di euro pubblici buttati in un pozzo» per Rondoni alimentano una classe col «culo dell’anima seduto comodo».

Quarto Oggiaro criminogena!

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di Gianni Biondillo

Intuisco, dalle parole della Procura della Repubblica del Tribunale dei Minori, che in una Quarto Oggiaro criminogena la malavita minorile trova spazio grazie a un senso di appartenenza al luogo degno di un clan. Vi voglio raccontare una storia: quella che fu la cava nei miei ricordi d’infanzia (cava Cabassi, in via Simoni), è da anni un bel parco con oltre trecento alberi rigogliosi dove gli uccelli nidificano e a primavera tutto fiorisce. Qui giocano ragazzi, i cani scorazzano e mia madre si incontra ogni giorno con un gruppo di amiche.

Emily Dickinson «Ho sentito la vita con entrambe le mani». Firenze 10-18 dicembre

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180° anniversario dalla nascita

Venerdì 10 dicembre • 15,30-19,30
Palazzo Medici Riccardi, Sala Luca Giordano
Via Cavour 1
IL CERVELLO È PIÙ VASTO DEL CIELO
l’eredità poetica di Emily Dickinson
con Martha Nell Smith e Elisa Biagini, Franco Buffoni,
Bianca Maria Frabotta, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli

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Editoria low cost, una via d’uscita dal Grande Terrore

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di Mauro Baldrati

“I librai prenotano pochissime copie dei libri di narrativa. Non si fidano. Sanno, o qualcuno ha detto loro, che venderanno solo un piccolissimo numero di romanzi italiani, e solo di alcuni autori” scriveva Enrico Piscitelli su Alfabeta 2.

gli atipici [di Radio3]

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Se oggi Radio3 sarà muta sarà anche per colpa nostra. Siamo gli atipici della rete, lavoratori più che precari, quasi sempre a partita iva, sotto contratto per molti mesi all’anno in cambio di compensi ridicolmente bassi e in via di riduzione. Siamo redattori, conduttori, registi, autori: siamo l’anima della rete, quelli chiamati perché esperti di musica, di politica, di scienza o di letteratura. Domani appoggeremo lo sciopero dei nostri colleghi dipendenti Rai contro il piano aziendale di Masi (pur non avendo diritto di sciopero, insieme a tanti altri diritti come ferie, malattia, maternità). Significa che non faremo nulla di diverso da quello che prevedono formalmente i nostri contratti e non chineremo la testa al ricatto di un’azienda che ci fa lavorare come dipendenti da anni e poi, come liberi professionisti, finisce di fatto per utilizzarci per sostutuire i colleghi in sciopero.

GLI ATIPICI DI RADIO3 INVITANO I COLLEGHI ALTRETTANTO ATIPICI A FARE MASSA CRITICA. SCRIVETE a ivaparty[at]gmail[dot]com

Le nudecrude cose

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di Viola Amarelli
a. Le nudecrude cose se ne fottono o, più esattamente, restano imperturbabili. Hai voglia  a ricoprirle con tappezzieri, pittori, arredatori. C’è sempre la carta vetrata, al fondo il muro, l’asse maestro. Dietro, l’oceano.
b.  Molti, furbissimi, ne profittano occultandole a proprio uso e consumo. I più infilano occhiali, rosa nera, ignavi. Per paura. Un tacito patto a ignorarle finché è possibile: è possibile per poco.
c.  Se immagina  l’intelaiatura, lo scheletro,  è di silice e di titanio. Le nudecrude sono pietre dure, che durano,  adattandosi con impercettibili variazioni. Lo stato dei fatti cambia continuamente, più non le guardi, più spiazzano.
d.  Hanno una loro bellezza, anche quando distorte, lesive, a volte mortali. Non dipende da loro, sospetta, un ponte è un ponte, come lo attraversi è un tuo problema.
e.  L’armonia c’entra poco, è la compiutezza che leva il fiato, l’esattezza millimetrica: nulla da aggiungere né da sottrarre. Il resto, superfluo di disturbo.

Alcune parole chiave / Sergio Soda Star. 2010

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Alcune parole chiave

Attraverso l’utilizzo delle parole chiave è possibile esprimere concetti sintetici o analitici. facilmente si riscontrano nella comprensibilità attraverso la facenza delle parole chiave che s’inoltrano nella comprensione del senso che diventa automatico. Solo attraverso l’utilizzo delle parole chiave è possibile dire il termine automaticamente. Esse attualmente sono (soprattutto in italia): eco saviano caserta napoli fiat telecom Trenitalia sofri servillo new york Barcellona victoria cabello daria bignardi il figlio di sofri facchinetti roma fabio fazio enel.

L’utilizzo delle parole chiave (d’imperizie) significa la fruizione inautomatica del linguaggio il quale si presta così alla cosiddetta “non deriva autoritaria”. Per esempio è possibile dire roberto eco senza scandalizzare o facendo ridere ma comunque all’interno di un contesto democratico cioè immutabile. La stessa cosa capita a daria bignardi e in misura ridotta a facchinetti. Per esempio si può dire daria senza scandalizzare o facendo ridere ma comunque all’interno di un contesto democratico.

È invece tuttavia molto difficile l’utilizzo di alcune parole chiave minori ma attuali come victoria cabello in cui è impossibile dire victoria cabello e basta oppure utilizzare immagini. Infatti attraverso l’utilizzo del termine victoria cabello si vuole indicare una specie di scopo sociale (non cioè desiderio) e la fine di questo non può purtroppo essere asserito all’interno di un contesto in cui senza scandalizzare o facendo ridere non all’interno per questo motivo dell’assetto sociale.

Progressismo e sottocultura

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di Luca Lenzini

“Dove sono stati per tutto questo tempo i progressisti?” La domanda posta da Massimiliano Panarari a p.122 di L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip (Einaudi) riguarda l’ultimo trentennio di storia patria, e merita attenzione.

Secondo l’autore, docente di “analisi del linguaggio politico” all’università, quel periodo ha visto il trionfale instaurarsi nel corpo sociale della sottocultura dell’intrattenimento e del gossip, funzionale all’“episteme della contemporaneità postmoderna” (p.9): diffusa in modo molecolare attraverso i media e coerente con il progetto reazionario del “pensiero unico neoliberale” ovvero del “fondamentalismo di mercato” (p.5), per Panarari essa ha saputo conquistare quegli ampi strati della popolazione che la sinistra non è stata più capace di coinvolgere, a partire dagli anni ottanta, e che perciò dell’ideologia neoliberista – con il suo corredo di individualismo, darwinismo sociale e primato assoluto dell’economia – hanno subito l’incontrastata egemonia.

Compagni di Cellula

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Modello Cellulare, Fenomenologia, Superamento della Soglia, Energia ed Equità
di
Paolo Lapponi

La Cellula è dunque un sistema “autopoietico” nel dominio biologico-cognitivo. Su scale dimensionali topologicamente differenti, potremo sostenere che tutta l’organizzazione della vita sul pianeta è realizzata sul modello cellulare, con il quale condivide alcune caratteristiche strutturali essenziali, innanzitutto la “membrana permeabile”, che chiamerei in senso lato “capsula permeabile”. Anche il corpo umano possiede queste caratteristiche. Anche il suolo terrestre non cementificato possiede queste caratteristiche. Anche la biosfera possiede queste caratteristiche: la biosfera rappresenta quella esclusiva ed unica “capsula permeabile” entro la quale è possibile la vita nel sistema solare. Per avere un’idea della limitatezza del nostro spazio vitale, la porzione del pianeta contenuta nella sua capsula permeabile in cui possiamo vivere è solamente il 4% della superficie terrestre per un’altezza di circa 10 chilometri di troposfera: se si riduce il pianeta alle dimensioni di un mappamondo da tavolo corrisponde ad un sottilissimo velo di vernice. Tutto qui lo spazio a disposizione per la vita umana.

da “Il diario dei sogni”

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[Marco Candida è stato tradotto da Elizabeth Harris ed è apparso, unico italiano, su The literary Review e Best European Fiction 2011 a cura di Aleksandar Hemon per Dalkey Archive Press. Qui l’estratto originale tratto da Il diario dei sogni, Las Vegas Edizioni.]

di Marco Candida
Ora, però, vorrei riprendere quel che stavo per fare prima di interrompermi con questi sogni e queste considerazioni, ovvero chiarire come sia possibile che mi sogni la notte cose come quelle che ho riportato, dove e come dorma per sognarle, in quali posizioni, e che cosa mangi prima di addormentarmi.
Per prima cosa descriverò la mia stanza, e anzi la descriverò attraverso un sogno che ho fatto il 6 aprile 2006 – o per meglio dire che è annotato il 6 aprile 2006, ma che potrebbe essere stato fatto prima dello scoccare della mezzanotte, ossia – ovviamente – il 5 aprile 2006. Dico potrebbe perché il 6 aprile 2006 sono stati annotati due sogni che con ogni probabilità ho fatto in momenti distinti della notte. Non credo di aver sentito ancora parlare della possibilità di far due sogni distinti durante lo stesso sonno. Così la cosa più verosimile può essere che mi sia svegliato e non abbia annotato il sogno e una volta riaddormentato abbia cominciato con un altro sogno e una volta sveglio nuovamente abbia annotato i due sogni uno di seguito all’altro come se facessero parte dello stesso periodo di sonno. Deve essere andata senz’altro così e tra l’altro questo è l’unico caso tra tutte quante le annotazioni contenute nel diario.

In ricordo di Pietro Mirabelli, minatore calabrese

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Gli amici di Pietro in Toscana insieme al Teatro Corsini Barberino di Mugello (FI) organizzano
7 dicembre 2010 ore 21.00
In ricordo di Pietro Mirabelli, minatore calabrese

Ingresso: 8 euro (studenti e disoccupati 5 euro). L’incasso sarà devoluto in un fondo a memoria di Pietro Mirabelli per azioni e studi per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.


Info: Teatro Corsini 055/ 841237 055/ 331449.

www.pietromirabelli.it

Lo scorso 22 settembre è morto sul lavoro Pietro Mirabelli, un operaio, un minatore.

Il popolo della gru. Cronaca di un’azione politica.

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Gherardo Bortolotti, Andrea Inglese e Maria Luisa Venuta

[Una prima versione di questo testo è apparsa su www.alfabeta2.it]

2009: viene approvata la cosiddetta Sanatoria per colf e badanti. La Sanatoria è da subito “abusata”, come ampiamente previsto, dai lavoratori non regolari di cantieri, fabbriche, etc. per uscire dalla clandestinità e dal lavoro nero. Oltre a dover pagare diverse centinaia o migliaia di euro tra bolli e contributi, spesso i migranti devono accedere a un mercato nero di finti datori di lavoro pronti, dietro pagamento, a presentare con loro la domanda di sanatoria. In tutto questo interviene anche una circolare del marzo 2010, detto Circolare Manganelli, che esclude dalla sanatoria i clandestini che hanno ricevuto un decreto di espulsione. La circolare dà luogo a diversi assurdi giuridici che vengono risolti in modo diverso a seconda dei contesti.

L’occidente è dunque questo luogo senza popolo? Il popolo sono sempre gli altri. Noi siamo individui spopolati. Spettatori, ma per nulla passivi. Assoldati dalle mille astuzie tecnologiche, per allestire come meglio ci riesce il nostro quotidiano spettacolo: ciò che del reale riusciamo a far filtrare fino a noi in dosi piacevoli, narcotizzando il resto, il disastro.

For a New Italian Epic

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Finalmente è uscita per Mesogea la nuova traduzione in esametri dell’Iliade, curata dal nostro Daniele Ventre. Così ho chiesto alle fantastiche genti di Mesogea l’autorizzazione a pubblicare su NI la prefazione, en entier, del mio antico amico Luigi Spina. Li ringrazio per avercela accordata e a Daniele, auguro una marea di lettori. effeffe


Provaci ancora, Dea!

di
Luigi Spina
Tradurre di nuovo, ancora una volta, l’Iliade? E perché no? Fra i primi traduttori di Omero si può annoverare Platone. Traduceva dal greco al greco, è vero, ma Jakobson ci ha insegnato che anche in questo caso si tratta di traduzione: l’ha chiamata intralinguale (o riformulazione/ rewording) – cioè all’interno della stessa lingua – nel senso che lingua di partenza e lingua di arrivo coincidono. Ma questo non basta. Se coincidessero anche i testi, infatti, allora ci troveremmo di fronte a un Platone, autore dell’«Iliade» (molti ricorderanno il Pierre Menard autore del Chisciotte, immortalato da Jorge Luis Borges).
Nel terzo libro della Repubblica Platone fa inventare a Socrate una classificazione dei generi narrativi. Gli odierni narratologi, a partire da Gérard Genette, vanno, dunque, considerati tutti suoi allievi, visto che la parola greca che usa Platone è dieghesis, ‘diegèsi’, anche se non si diverte a complicarla con ammiccanti prefissi, del tipo di meta-, intra-, extra- ecc. Sostiene Socrate che si può narrare in tre modi: 1) in modo semplice, cioè usando la propria voce; 2) con una narrazione mimetica, imitativa (forse, meglio: rappresentativa): prestando, cioè, la propria voce ad altri, ai personaggi protagonisti delle narrazioni; 3) in modo misto, usando cioè i due tipi in una stessa opera. Poesia lirica, teatro, epica, rispettivamente: questi i tre generi letterari che corrispondono ai tre generi di narrazione. E, per meglio far capire al suo interlocutore (Adimanto) di cosa si tratti, Socrate gli chiede di richiamare alla mente i primi versi dell’Iliade (12-42), dei quali dà subito uno stringatissimo riassunto (anch’esso una forma di traduzione condensata): «in quei versi il poeta dice che Crise pregava Agamennone di liberare la figlia, ma quest’ultimo si fece prendere dalla collera; l’altro, allora, visto che non riusciva nel suo scopo, pregava il dio di punire gli Achei».

La vita oscena, la lingua arsa

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di Marco Rovelli
“Solo la prova asfissiante, impossibile dona all’autore il mezzo di spingere lontano la sua visione, di andare incontro all’attesa del lettore stanco dei limiti angusti imposti dalle convenzioni. Come si può perdere tempo su libri alla cui creazione l’autore non sia stato manifestamente costretto?”. Così Georges Bataille nel 1957. Ho pensato a questo, leggendo “La vita oscena” di Aldo Nove. Un libro estremo, nel senso pieno e forte del termine, dove è l’estremità del senso a compiersi, rovesciandosi nell’oscena oscurità dell’insensato. Aldo Nove espone in questo breve romanzo – e tanto più breve quanto più intenso – il “trascendentale” delle sue differenti scritture precedenti, la loro condizione di possibilità: ovvero il suo porsi all’altezza della morte. E’ un’autobiografia adolescenziale, che parte dal suo vissuto, e un romanzo di formazione: dalla morte dei genitori agli attraversamenti dei territori ossessivi-compulsivi del sesso e della droga, territori dove si cerca e si trova lo spossessamento da sé, e dove “io non è più di me”.

La Natività del Caravaggio. Dei delitti, delle pene. E dei reati caduti in prescrizione.

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di Cristina Babino

Al centro, una Madonna giovane e plebea, con le mani ancora appoggiate al grembo appena svuotato del suo miracolo, il capo e lo sguardo rivolti al giaciglio improvvisato dove s’allunga tenerissimo il corpo del Bambino. Sulla destra San Giuseppe ci volge le spalle, colto nella sorpresa di uno scatto improvviso e ritorto (forse un implicito riferimento michelangiolesco), in conversazione con un (probabile) Fra Leone appoggiato stancamente al suo bastone accanto a San Francesco orante, chiuso in una contemplazione compresa e rapita. Sulla sinistra, speculare, San Lorenzo si china amorevole come a saggiare più da vicino il prodigio che si compie, a fianco di un bue mansueto e sbigottito. Sormonta la scena un angelo dalle ali nere che – come già nel Martirio di San Matteo – proteso da un’oscurità indefinita, spezzata solo da un incrocio accennato di travi di legno, a collegare si direbbe le due dimensioni terrena e celeste col tramite della sua presenza, reca in mano un sacro cartiglio. Personaggi dai modi e dalle apparenze popolani, spogliati d’ogni aureola, crisalide di santità che in natura non è data, e precipitati invece in una misura tutta mondana, terrena. Umana. Il primato del vero, del reale, sulle pretese secolari della rappresentazione sacra. Una scena semplice, semplificata, che tanta più sacralità acquista tanto più si svincola dalle consuetudini dei dettami iconografici, tanto più si cala in una dimensione quotidiana, abitandone gli usi, i luoghi, gli abiti.

Viva Amanda Palmer

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di Marco Rovelli

Lo confesso, Amanda Palmer per me è al di là del bene e del male. Straordinaria cantante, compositrice, musicista. Detiene uno spettro di espressività ampio e variegato come quello pochi altri. Il suo “Who killed Amanda Palmer”, il primo album solista (i precedenti erano a nome Dresden Dolls, che poi erano lei e il batterista), è il cd che sto ascoltando di più negli ultimi due anni, e riesce a non usurarsi. Perché l’usura delle canzoni è ancora più insidiosa di quella delle parole di derridiana memoria: spesso sono solchi che, dopo un ripetuto attraversamento, si rivelano svuotati, senza più niente da scoprire, vene ormai esaurite, spugne che hanno rilasciato tutto quel che avevano da dare. Altre volte c’è un’energia che invece promana inesauribile. E’ il caso, per me, della gioiosa energia di Amanda Palmer.