di Franco Buffoni
Con il settimo libro del Paradiso perduto siamo completamente sulla terra: essa diventa il palcoscenico della tragedia, della caduta dell’uomo, della creazione del suo inferno interiore. E quindi delle sue curiosità – che sono le curiosità del poeta Milton. Un esempio tra tutti, nell’ottavo libro, l’indagine astronomica di Adamo: da dove vengo, chi sono, dove vado? Ma anche: chi (o che cosa) ho in me, a non darmi pace. Forse quell’essere elegante che mi dà forma e tiene sciolti i miei capelli sulle spalle? (Il fatto su cui in passato si è tanto insistito per dimostrare l’arretratezza del pensiero di Milton rispetto al suo tempo, relativamente alla risposta di Raffaele ad Adamo – che propone il sistema copernicano solo come una possibilità – mentre l’opera è teogonicamente tolemaica, ci pare assolutamente irrilevante).
Il principe dei poeti, come Byron definì poi Milton, forse un po’ pesante (“a little heavy”) ma non per questo meno divino (“no less divine”), mette poi in scena la storia con Adamo, Eva e il serpente, ed essi – i presunti protagonisti – non sono che maschere, riedizioni dei miracoli o dei misteri medievali. Le vere svolte psicologiche, e dunque la modernità, sono appannaggio esclusivo di Satana. E la dimostrazione è data dal fatto che il climax narrativo, inteso in senso psicologistico e quindi moderno, viene raggiunto soltanto quando l’obiettivo del poeta indulge sulla aspettativa di Satana. Egli deve riuscire a trovare Eva da sola e a parlarle, ma non sa se riuscirà, né tanto meno quando. L’aspettativa del male, forse più di quella del bene, o come quella dell’amato bene, inonda di frisson colui che attende. Tradotta in termini narrativi tale aspettiva crea sospensione, attesa anche nel lettore, partecipazione. Satana è qui Jago in attesa del momento giusto per deporre il fazzoletto, è un protagonista dostojevschiano nel momento in cui massima se ne manifesta la libido audendi.










