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Mercoledì 20 ottobre 2010 – Ore 18.00
Libreria Rizzoli, Sala Biagi
Corso Vittorio Emanuele II, 79 – Milano
Maurizio Cucchi e Stefano Gallerani
Presentano
Giardini di loto
di Andrea Melone
(Gaffi editore in Roma)
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Mercoledì 20 ottobre 2010 – Ore 18.00
Libreria Rizzoli, Sala Biagi
Corso Vittorio Emanuele II, 79 – Milano
Maurizio Cucchi e Stefano Gallerani
Presentano
Giardini di loto
di Andrea Melone
(Gaffi editore in Roma)
Pubblicato il 19 settembre 2010 da Gigi Bettoli in:
⇨ www.storiastoriepn.it/blog/?p=82
⇨ www.storiastoriepn.it/blog
⇨ www.storiastoriepn.it
⇨ Casellario Politico Centrale fascista
La creazione di un’anagrafe delle persone considerate pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica risale all’età crispina. Con la circolare n. 5116 del 25 maggio 1894 nell’ambito della Direzione generale di pubblica sicurezza fu istituito un ufficio con il compito di curare l’ impianto e il sistematico aggiornamento dello schedario degli oppositori politici. Anarchici, repubblicani, socialisti ma anche oziosi e vagabondi furono oggetto di una capillare attività di sorveglianza che alimentò un consistente archivio di fascicoli personali.
L’organizzazione dell’ufficio e dell’archivio fu modificata con successive circolari (1896, 1903, 1909, 1910 e 1911) fino ad assumere il nome di Casellario politico centrale con legislazione eccezionale del 1925 e del 1926.
Durante il periodo fascista l’attività di sorveglianza e controllo della polizia si amplificò comprendendo non più soltanto i politici ma tutta una indeterminata categoria di persone, definita genericamente antifascista, e gli allogeni ossia le minoranza etniche soprattutto della Venezia Giulia.
di Franco Buffoni
Nato nel 1894 – quindi più giovane di T. S. Eliot ma più vecchio di Auden, quasi coetaneo di Montale – E. E. Cummings può essere facilmente messo a fuoco facendo scorrere su un ideale schermo dietro alla sua figura, alternativamente, due fondali dai contorni precisi. Fondali culturali, cioè discorsi fissi, coordinate acquisite. Il primo riguarda esclusivamente i poeti americani, e consiste in quell’attrazione verso l’Europa che – in particolare negli anni venti e trenta – causò vere e proprie migrazioni, dai grand tour un po’ dilatati di William Carlos Williams e Hart Crane ai più mentali, ma non meno profondi e necessari, spostamenti oltreoceano di Wallace Stevens o Marianne Moore, ai definitivi traslochi di cittadinanza di T. S. Eliot o Ezra Pound.
Il secondo fondale culturale concerne la storia della poesia occidentale in senso più ampio, e riguarda quella rivoluzione dei mezzi espressivi – con ampio ricorso anche al virtuosismo verbale – che può configurarsi in Majakovskj come in Apollinaire, in Marinetti come – per l’appunto – in E. E. Cummings, ferme restando ovviamente le peculiarità di ciascuno e le grandi differenze tra i vari “movimenti”.
Sul termine movimento, forse, è possibile trovare un punto di intersezione tra i due fondali: perché è vero che l’entrata nel circuito europeo significava contatto e interazione con surrealismo, futurismo, dadaismo e cascami del simbolismo. Ma è anche vero che l’imagismo viene importato in Europa dagli Stati Uniti, e il vorticismo è già un fenomeno di area anglosassone.
[Simona Baldanzi mi manda questo pezzo, nel giorno, come lei stessa mi ha fatto notare, dell’apertura del tunnel del Gottardo. Fatto a cui è stata data ampia evidenza dai giornali. Non altrettanta evidenza è stata data al fatto che pochi giorni fa, in quel tunnel, ha perso la vita Pietro Mirabelli. Ultimo di un serie. La foto mostra la cappella che ricorda gli otto minatori morti nel tunnel prima di Pietro. E leggo adesso, mentre sto per pubblicare, di un’altra esplosione in una miniera in Cina: venti minatori morti, diciassette intrappolati. mr]
Quando ho letto che i 33 minatori del Cile erano ancora vivi dopo 17 giorni dal crollo della miniera ho interrotto i miei appunti. Da aprile mi stavo segnando le notizie apparse sulla stampa internazionale con al centro il lavoro in miniera.
Aprile 2010. Crolla miniera di carbone in Virginia. Venticinque morti e dieci dispersi. Aprile 2010. Cina, trovati cinque cadaveri nella miniera del “miracolo. I soccorritori hanno miracolosamente estratto vivi 115 minatori, sopravvissuti a una settimana sottoterra mangiando corteccia e bevendo acqua lurida. Maggio 2010. Siberia, esplosioni in una miniera. Trenta morti, decine di feriti e dispersi. Maggio 2010. Russia. Esplode miniera di carbone. Dentro 312 minatori, 12 morti. Maggio 2010. Turchia, scoppio in miniera. 28 minatori morti, 2 dispersi. Giugno 2010. Nigeria. Strage di bambini tra i minatori. 111 morti nella corsa all’oro illegale.
Non stavo tenendo la lista delle stragi. Stavo prendendo appunti per il libro che sto scrivendo sui lavoratori dei cantieri delle grandi opere in Mugello. Fra le tute arancione ci sono i minatori, quelli che scavano le gallerie di strade e ferrovie. Minatori di infrastrutture moderne che lavorano nelle pance delle montagne. Pur tenendo presente la differenza di mansioni, di contratti, di diritti, di condizione di vita e di salute, sia per i minatori in Mugello che per quelli americani, cinesi, cileni, russi, turchi, nigeriani pensiamo siano solo fotografie del passato, fantasmi che vagano in qualche angolo della memoria e che ci scuotono dal torpore solo quando muoiono in massa o si salvano per miracolo. Invece ci sono, emigrano per lavorare in miniera o in galleria, vivono in baracche o campi base, non vedono crescere i loro figli, si ammalano di silicosi. Vicino a noi e nel silenzio.
Nella notte tra giovedì e venerdì il sito di Nazione Indiana è stato disattivato dal nostro fornitore (Dreamhost LLC in USA) a causa di una presunta violazione dei diritti d’autore su di una fotografia pubblicata. Il detentore dei diritti si è avvalso della legge USA “DMCA” per attivare una procedura di infrazione nei nostri confronti. Noi abbiamo controllato e ci siamo adeguati rimuovendo i contenuti indicati.
Questi incidenti sono triviali, vengono di solito risolti in fretta, ma questa volta la faccenda è stata più complicata (la foto era sulla nostra CDN) ed il sito è tornato disponibile solo ieri sera.
alfabeta2 mensile di intervento culturale – è in edicola il numero 3/2010 con due temi principali:
Sommario – in edicola, libreria, e prossimamente come ebook.
da Nord Operaio : lavoratori, sindacato, politica tra globalizzazione e territorialità
[Da parecchie settimane, è scoppiato in provincia di Brescia il caso della scuola di Adro, il nuovo complesso scolastico della cittadina franciacortina tappezzato di simboli della Lega Nord come fosse la scuola di un regime totalitario. Il sindaco, Oscar Lancini, ha difeso e sta difendendo questa operazione continuando a richiamarsi al concetto di identità territoriale, espressa anche dal massiccio consenso popolare della Lega alle ultime elezioni amministrative.
Per spiegare il successo della Lega, d’altra parte, si ricorre spesso a concetti come identità, comunità, radicamento e così via. Tutti strumenti ideologici che appaiono adeguati eppure insufficienti. Sarebbe interessante cercare di capire di quale realtà effettiva sono espressione e, al tempo stesso, strumento questi concetti.
Nord Operaio : lavoratori, sindacato, politica tra globalizzazione e territorialità è un libro edito nel 2008 da Manifestolibri e raccoglie i materiali di una giornata di discussione tenuta a Brescia in quello stesso anno e promossa da Associazione per il rinnovamento della sinistra e Centro riforma dello stato. Tra i vari interventi trovo quello di Matteo Gaddi, da cui ho selezionato i passaggi che riporto in questo post – estremamente utili, mi sembra, per capire di che cosa si parla, in effetti, quando si parla di identità, comunità, radicamento e “piccole patrie” in casi come questi.
Ringrazio per la disponibilità Manifestolibri e ringrazio anche Matteo Gaddi, che purtroppo non sono riuscito a contattare e che, magari, qualche lettore di NI può avvertire.]
Da tempo la Lombardia, come evidenziano molti indicatori economici, “segna il passo”. Ce lo indicano i dati relativi alla riduzione della spesa per investimenti delle industrie lombarde, la diminuzione del valore aggiunto prodotto nei settori a tecnologia medio alta, il basso numero di brevetti a confronto con le regioni europee più sviluppate ecc.
In questo quadro di declino economico si colloca l’attuale tendenza del capitalismo alla mercificazione del territorio lombardo: si tratta di una vera e propria messa a valore del territorio e delle sue risorse. Per questo accolgo volentieri l’invito di Vittorio Rieser di concentrare la mia comunicazione su quelle che stiamo indagando come le trasformazioni del capitalismo di territorio, che hanno ovviamente ricadute e conseguenze immediate sulla composizione della forza lavoro, sulla sua distribuzione territoriale, sul tessuto sociale, sulle forme di organizzazione e di rappresentanza del mondo del lavoro e della società.
di Franco Buffoni
“Trevor” è un semplice, intenso e intelligente cortometraggio statunitense su adolescenza e diversità. Dura 16 minuti. La presentazione della durata di 4 minuti è di Ellen DeGeneres nel contesto del “Ellen DeGeneres Show”. Buona visione.
Abito in San Donato. Polvere, veleno, rumore. Morti, sono tutti morti. Cadaveri che camminano. Mummie al volante. Ectoplasmi col passeggino.
Anche Dorian è morto. E’ già sepolto. La sua sentenza capitale è stata la perdita del lavoro, quel giorno è salito sul patibolo. Il suo padroncino di autocarri è fallito, i camion confiscati, Dorian a terra con la liquidazione vaporizzata. La moglie lo ha lasciato, anzi, l’ha buttato fuori di casa. Come farò ora? Ripete continuamente. Come farò a quarantacinque anni? E piange.
Quarantacinque anni, salito sul patibolo.
È una vergogna che ci sia al mondo un cielo simile. È una vergogna che il cielo, in certi momenti, sia com’era il cielo in quel giorno, in quel momento. Ciò che mi faceva correre per la schiena un brivido di paura e di schifo, non erano quei piccoli schiavi appoggiati al muro della Cappella Vecchia, né quelle donne dal viso scarno vizzo incrostato di belletto, né quei soldati marocchini dai neri occhi scintillanti, dalle lunghe dita ossute: ma il cielo, quel cielo azzurro e limpido sui tetti, sulle macerie delle case, sugli alberi verdi gonfi di uccelli. Era quell’alto cielo di seta cruda, di un azzurro freddo e lucido, dove il mare metteva un remoto e vago bagliore verde.
Curzio Malaparte, La Pelle
Intorno alle ore 10 Autostrade per l’Italia ha comunicato che è stato riaperto il tratto sulla A1 tra Parma e Fiorenzuola in direzione Milano. Anche sulla carreggiata opposta si sono registrati forti rallentamenti a tratti, per quasi 30 chilometri, indotti dalla curiosità di chi rallenta per vedere cosa è successo.
[Queste note di poetica sono state sollecitate da Milli Graffi per il numero 43 de “il verri”. Hanno coinvolto anche Andrea Raos e Marco Giovenale, partendo dai testi contenuti nel libro a più voci Prosa in Prosa (2009).]
di Andrea Inglese
Che genere di discorso è la “prosa in prosa”? Questa espressione è frutto dell’invenzione del francese Jean-Marie Gleize, teorico e scrittore, che attraverso di essa gioca ambiguamente a proporre un sobrio manifesto e, nel contempo, a descrivere una nuova tipologia di testi apparsi intorno agli anni ottanta del secolo scorso. La formula, ovviamente, reca da un lato traccia di quella più consuetudinaria di “poesia in prosa”, ma dall’altro annuncia un oltrepassamento e una cesura con le categorie del passato. Additare una prosa elevata a potenza, una iper-prosa, significa allontanare le codificazioni di genere (i vari apparati formali e tematici), per individuare una zona indefinita, non di genere, forse equidistante dai generi, forse al di là dei generi. Gleize parla di “uscite” dalla poesia (Sorties, Questions théoriques, 2009), di scomparsa del genere, ma anche di nudità come principio. In ogni caso, senza voler approfondire il discorso teorico di Gleize, che per altro si presenta come astutamente frastagliato e fluido, possiamo ritenere questa nozione di un movimento duplice, di fuoriuscita da un genere e di penetrazione in uno spazio discorsivo non ancora identificato dal punto di vista letterario.
[questo è uno spezzone aggiuntivo, non pubblicato, dell’intervista di Roberta Salardi a Luigi Di Ruscio (Cristi polverizzati), pubblicata sul numero 52 (aprile 2010) di Nuova Prosa (Greco&Greco), e ripresa qui da NI; gs]
di Roberta Salardi
1) Ho trovato in un’edizione rarissima un altro suo libro in prosa, L’allucinazione (Cattedrale, Ancona 2007). Anche questo libro come gli altri romanzi viene da lontano, da molti anni addietro?
Ho preso in mano L’allucinazione, pubblicato solo due anni fa, e di questo libro non ricordavo nulla. Ricordo solo che diedi il manoscritto all’editore precisamente a Valentina Conti, che poi mi fece sapere che il libro voleva pubblicarlo ed io avevo cambiato idea, il libro non volevo più pubblicarlo. La Valentina Conti (molto bella e molto corteggiata), insisteva ed io alla fine dissi pubblicate anche questo, va bene, nel frattempo continuavo a scrivere corte prose immaginando che non si potesse scrivere poesia senza che la cattedrale dell’ultimo secolo abbia una sua centralità. La cattedrale dell’ultimo secolo è la fabbrica metallurgica. Il sottoscritto doveva diventare un chierico della grande cattedrale. Come comunista e come poeta
Liu Xiaobo è stato insignito del Premio Nobel per la pace «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina» l’8 ottobre 2010. È il primo cinese a ricevere il riconoscimento per la pace. Ecco una rassegna stampa specializzata, da parte della comunità italiana di esperti di cose cinesi – Jan Reister
Idillio nero
a Isabel
Ho letto che Elsa Triolet, la moglie di Aragon,
se ne stava nuda in una grande gabbia surrealista costruita
allo scopo dal celebre consorte e, inginocchiata su un letto di spine,
lo pregava di godere del suo membro
I segreti sono come disperati in fuga
in una città fantasma dopo la fine di una battaglia:
non trovano rifugio in nessun luogo e non hanno alleati
né tra le fila dei compatrioti né tra quelle dei nemici
di
Evelina Santangelo
Chi, apprendendo quello che è accaduto a Sarah, non ha sentito un dolore fisico, un odio cieco nei confronti di quello zio per quel che ha fatto, per il modo in cui poi si è offerto alle telecamere nel tentativo di depistare le indagini, per l’orrore che quella violenza compiuta nei confronti della nipote getta su tutto un universo familiare? Chi seguendo il programma Chi l’ha visto? non ha sperato, dapprima, che tutto ciò non fosse vero, e poi, quando non c’era più cosa sperare, che quel calvario finisse? Il calvario di quella madre che si è trovata all’improvviso costretta a dare in pasto il proprio sgomento davanti alle telecamera. Ma anche il «proprio» personale calvario, o meglio, il «nostro» calvario collettivo di telespettatori incapaci di staccarci dal video, anzi, da quel volto letteralmente pietrificato di quella madre, che il video ostinatamente restituiva, violandolo in un parossismo di morbosità e dolore.
[Seconda parte di un fondamentale contributo sulla coppia di cineasti Gianikian e Ricci Lucchi. Per chi non lo conoscesse, consiglio la visione di Dal Polo all’Equatore. DP]
di Rinaldo Censi
Dettagli
Ecco qui esposto un dispositivo e insieme un piano d’azione.
Il lavoro dei Gianikian sembra qui incrociare le indicazioni teoriche contenute in un libro la cui importanza è ormai notoria. Mi riferisco a Le Détail. Pour une histoire rapprochée de la peinture scritto da Daniel Arasse nel 1992. Faccio mie dunque alcune osservazioni sul concetto di doppia dislocazione del dettaglio, inteso come “particolare” e come “dettaglio”.
Per Arasse esiste una doppia natura del dettaglio:
– Particolare, «piccola parte» di un insieme, il dettaglio rispunta perché è necessario alla pittura mimetica che «mette davanti agli occhi», e specifica quindi, inevitabilmente, l’«aspetto» di questa pittura.
– Dettaglio, in quanto tale, presuppone un soggetto che «de-tagli» un oggetto (il quadro all’occorrenza), un soggetto che può corrispondere sia a colui che dipinge, sia a colui che guarda. La configurazione del dettaglio dipende dal punto di vista del «dettagliante» e, nel conseguente rapporto intimo con l’opera, il taglio del dettaglio sfugge a qualsiasi controllo, a qualsiasi norma. (…) Il dettaglio-dettaglio è, nel quadro, indizio di un programma di azione, della mano, dello sguardo, che si posano sulla superficie dipinta, e la percorrono.[1]
di Giacomo Sartori
Il treno rallenta sempre di più come arrivando in stazione, ma nell’umidume d’alabastro del mattino si susseguono ennesime periferie senza attrattive e come invecchiate precocemente. L’uomo fissa i sandali della viaggiatrice seduta di fronte, e le domande gli restano impigliate dietro la lingua, riesumando simulacri che credeva ormai sepolti sotto metri di macerie. I sandali della ragazza sono sandali sfiancati da lunghe marce, ma i piedi sono espressivi e fiduciosi nel futuro: l’ostinata cupezza del viso non ha avuto ragione su di loro. “Vuole qualcosa da me?”
da Maledetto nei secoli l’amore, Piero Manni 2008

e allora, caro cugino, io ti parlo e anche di me ti parlerei (di Lady Mora), se non fosse che Lady Mora è avvolta nel mistero, se non fosse la regina dell’occulto che illuminando il destino della gente (come il sole) nel suo destino ha l’ombra, e per questo (per questo – dico sporgendomi sensuale verso la telecamera) Lady Mora è sole ma anche luna (qui solitamente – tarataratà – parte la sigla), un universo da esplorare ma che nessuno esplora, perché, di fatto, nessuno è in grado di andare oltre una breve passeggiata sulla superficie, quattro reperti raccolti da una sonda, un approssimativo calcolo aritmetico (tutto qua – tutta qua, la scienza umana), cosicché alla fine mi domando (mi domando, ché del proprio inesplorabile mistero Lady Mora non parla con nessuno) se è inesplorabile in quanto mistero, o mistero in quanto inesplorabile (in quanto nessun uomo, scienziato o poeta, è mai stato in grado di violarlo), in quanto nessun uomo (e in quanto a te, cugino –) mai è stato in grado di cogliere nell’infrangibile cristallo sotto il quale è esposta la mia vita il punto di rottura, nella roccia la fessura, e in quanto a te, cugino, la mia alla fine non è altro che una domanda che domandare è lecito e alla quale rispondere sarebbe cortesia, alla quale (cortesemente) rispondere si può rispondere
Per una volta il risvolto va preso in parola: «uno dei più disturbanti romanzi di questi anni». Anche perché «disturbante» non è annoverato fra gli epiteti promozionali dell’editoria glam di oggi. E quale occasione più glam dell’esordio narrativo di una giovane donna, ispida critica letteraria per di più, che addirittura affronta il più abusato dei temi – l’amore?
Ecco: se già vi state facendo un’idea, di che tipo di romanzo possa essere Il farmaco di Gilda Policastro, mettetela subito da parte. Perché di glamour, qui, non ce n’è punto. Perché quest’amore è simile, piuttosto, al «brutto poter» evocato dal Leopardi estremo di A se stesso (evidente matrice ideologica del testo). È un veleno insomma, come appunto ogni farmaco nell’etimo: «dove la medicina e il male sono la stessa cosa».