Abito in San Donato. Polvere, veleno, rumore. Morti, sono tutti morti. Cadaveri che camminano. Mummie al volante. Ectoplasmi col passeggino.
Anche Dorian è morto. E’ già sepolto. La sua sentenza capitale è stata la perdita del lavoro, quel giorno è salito sul patibolo. Il suo padroncino di autocarri è fallito, i camion confiscati, Dorian a terra con la liquidazione vaporizzata. La moglie lo ha lasciato, anzi, l’ha buttato fuori di casa. Come farò ora? Ripete continuamente. Come farò a quarantacinque anni? E piange.
Quarantacinque anni, salito sul patibolo.
Favolose nullità
TV (b)
È una vergogna che ci sia al mondo un cielo simile. È una vergogna che il cielo, in certi momenti, sia com’era il cielo in quel giorno, in quel momento. Ciò che mi faceva correre per la schiena un brivido di paura e di schifo, non erano quei piccoli schiavi appoggiati al muro della Cappella Vecchia, né quelle donne dal viso scarno vizzo incrostato di belletto, né quei soldati marocchini dai neri occhi scintillanti, dalle lunghe dita ossute: ma il cielo, quel cielo azzurro e limpido sui tetti, sulle macerie delle case, sugli alberi verdi gonfi di uccelli. Era quell’alto cielo di seta cruda, di un azzurro freddo e lucido, dove il mare metteva un remoto e vago bagliore verde.
Curzio Malaparte, La Pelle
Intorno alle ore 10 Autostrade per l’Italia ha comunicato che è stato riaperto il tratto sulla A1 tra Parma e Fiorenzuola in direzione Milano. Anche sulla carreggiata opposta si sono registrati forti rallentamenti a tratti, per quasi 30 chilometri, indotti dalla curiosità di chi rallenta per vedere cosa è successo.
Che genere di discorso
[Queste note di poetica sono state sollecitate da Milli Graffi per il numero 43 de “il verri”. Hanno coinvolto anche Andrea Raos e Marco Giovenale, partendo dai testi contenuti nel libro a più voci Prosa in Prosa (2009).]
di Andrea Inglese
Che genere di discorso è la “prosa in prosa”? Questa espressione è frutto dell’invenzione del francese Jean-Marie Gleize, teorico e scrittore, che attraverso di essa gioca ambiguamente a proporre un sobrio manifesto e, nel contempo, a descrivere una nuova tipologia di testi apparsi intorno agli anni ottanta del secolo scorso. La formula, ovviamente, reca da un lato traccia di quella più consuetudinaria di “poesia in prosa”, ma dall’altro annuncia un oltrepassamento e una cesura con le categorie del passato. Additare una prosa elevata a potenza, una iper-prosa, significa allontanare le codificazioni di genere (i vari apparati formali e tematici), per individuare una zona indefinita, non di genere, forse equidistante dai generi, forse al di là dei generi. Gleize parla di “uscite” dalla poesia (Sorties, Questions théoriques, 2009), di scomparsa del genere, ma anche di nudità come principio. In ogni caso, senza voler approfondire il discorso teorico di Gleize, che per altro si presenta come astutamente frastagliato e fluido, possiamo ritenere questa nozione di un movimento duplice, di fuoriuscita da un genere e di penetrazione in uno spazio discorsivo non ancora identificato dal punto di vista letterario.
Intervista a Luigi Di Ruscio (un’integrazione)
[questo è uno spezzone aggiuntivo, non pubblicato, dell’intervista di Roberta Salardi a Luigi Di Ruscio (Cristi polverizzati), pubblicata sul numero 52 (aprile 2010) di Nuova Prosa (Greco&Greco), e ripresa qui da NI; gs]
di Roberta Salardi
1) Ho trovato in un’edizione rarissima un altro suo libro in prosa, L’allucinazione (Cattedrale, Ancona 2007). Anche questo libro come gli altri romanzi viene da lontano, da molti anni addietro?
Ho preso in mano L’allucinazione, pubblicato solo due anni fa, e di questo libro non ricordavo nulla. Ricordo solo che diedi il manoscritto all’editore precisamente a Valentina Conti, che poi mi fece sapere che il libro voleva pubblicarlo ed io avevo cambiato idea, il libro non volevo più pubblicarlo. La Valentina Conti (molto bella e molto corteggiata), insisteva ed io alla fine dissi pubblicate anche questo, va bene, nel frattempo continuavo a scrivere corte prose immaginando che non si potesse scrivere poesia senza che la cattedrale dell’ultimo secolo abbia una sua centralità. La cattedrale dell’ultimo secolo è la fabbrica metallurgica. Il sottoscritto doveva diventare un chierico della grande cattedrale. Come comunista e come poeta
Il nobel per la pace a Liu Xiaobo
Liu Xiaobo è stato insignito del Premio Nobel per la pace «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina» l’8 ottobre 2010. È il primo cinese a ricevere il riconoscimento per la pace. Ecco una rassegna stampa specializzata, da parte della comunità italiana di esperti di cose cinesi – Jan Reister
Scuola di calore III
Idillio nero
a Isabel
Ho letto che Elsa Triolet, la moglie di Aragon,
se ne stava nuda in una grande gabbia surrealista costruita
allo scopo dal celebre consorte e, inginocchiata su un letto di spine,
lo pregava di godere del suo membro
I segreti sono come disperati in fuga
in una città fantasma dopo la fine di una battaglia:
non trovano rifugio in nessun luogo e non hanno alleati
né tra le fila dei compatrioti né tra quelle dei nemici
Sarah, un orrore domestico
di
Evelina Santangelo
Chi, apprendendo quello che è accaduto a Sarah, non ha sentito un dolore fisico, un odio cieco nei confronti di quello zio per quel che ha fatto, per il modo in cui poi si è offerto alle telecamere nel tentativo di depistare le indagini, per l’orrore che quella violenza compiuta nei confronti della nipote getta su tutto un universo familiare? Chi seguendo il programma Chi l’ha visto? non ha sperato, dapprima, che tutto ciò non fosse vero, e poi, quando non c’era più cosa sperare, che quel calvario finisse? Il calvario di quella madre che si è trovata all’improvviso costretta a dare in pasto il proprio sgomento davanti alle telecamera. Ma anche il «proprio» personale calvario, o meglio, il «nostro» calvario collettivo di telespettatori incapaci di staccarci dal video, anzi, da quel volto letteralmente pietrificato di quella madre, che il video ostinatamente restituiva, violandolo in un parossismo di morbosità e dolore.
Togliere gli errata dalla storia (2)
[Seconda parte di un fondamentale contributo sulla coppia di cineasti Gianikian e Ricci Lucchi. Per chi non lo conoscesse, consiglio la visione di Dal Polo all’Equatore. DP]
di Rinaldo Censi
Dettagli
Ecco qui esposto un dispositivo e insieme un piano d’azione.
Il lavoro dei Gianikian sembra qui incrociare le indicazioni teoriche contenute in un libro la cui importanza è ormai notoria. Mi riferisco a Le Détail. Pour une histoire rapprochée de la peinture scritto da Daniel Arasse nel 1992. Faccio mie dunque alcune osservazioni sul concetto di doppia dislocazione del dettaglio, inteso come “particolare” e come “dettaglio”.
Per Arasse esiste una doppia natura del dettaglio:
– Particolare, «piccola parte» di un insieme, il dettaglio rispunta perché è necessario alla pittura mimetica che «mette davanti agli occhi», e specifica quindi, inevitabilmente, l’«aspetto» di questa pittura.
– Dettaglio, in quanto tale, presuppone un soggetto che «de-tagli» un oggetto (il quadro all’occorrenza), un soggetto che può corrispondere sia a colui che dipinge, sia a colui che guarda. La configurazione del dettaglio dipende dal punto di vista del «dettagliante» e, nel conseguente rapporto intimo con l’opera, il taglio del dettaglio sfugge a qualsiasi controllo, a qualsiasi norma. (…) Il dettaglio-dettaglio è, nel quadro, indizio di un programma di azione, della mano, dello sguardo, che si posano sulla superficie dipinta, e la percorrono.[1]
Avventure 8 – Intimità
di Giacomo Sartori
Il treno rallenta sempre di più come arrivando in stazione, ma nell’umidume d’alabastro del mattino si susseguono ennesime periferie senza attrattive e come invecchiate precocemente. L’uomo fissa i sandali della viaggiatrice seduta di fronte, e le domande gli restano impigliate dietro la lingua, riesumando simulacri che credeva ormai sepolti sotto metri di macerie. I sandali della ragazza sono sandali sfiancati da lunghe marce, ma i piedi sono espressivi e fiduciosi nel futuro: l’ostinata cupezza del viso non ha avuto ragione su di loro. “Vuole qualcosa da me?”
love cost: Carlo D’Amicis
da Maledetto nei secoli l’amore, Piero Manni 2008

e allora, caro cugino, io ti parlo e anche di me ti parlerei (di Lady Mora), se non fosse che Lady Mora è avvolta nel mistero, se non fosse la regina dell’occulto che illuminando il destino della gente (come il sole) nel suo destino ha l’ombra, e per questo (per questo – dico sporgendomi sensuale verso la telecamera) Lady Mora è sole ma anche luna (qui solitamente – tarataratà – parte la sigla), un universo da esplorare ma che nessuno esplora, perché, di fatto, nessuno è in grado di andare oltre una breve passeggiata sulla superficie, quattro reperti raccolti da una sonda, un approssimativo calcolo aritmetico (tutto qua – tutta qua, la scienza umana), cosicché alla fine mi domando (mi domando, ché del proprio inesplorabile mistero Lady Mora non parla con nessuno) se è inesplorabile in quanto mistero, o mistero in quanto inesplorabile (in quanto nessun uomo, scienziato o poeta, è mai stato in grado di violarlo), in quanto nessun uomo (e in quanto a te, cugino –) mai è stato in grado di cogliere nell’infrangibile cristallo sotto il quale è esposta la mia vita il punto di rottura, nella roccia la fessura, e in quanto a te, cugino, la mia alla fine non è altro che una domanda che domandare è lecito e alla quale rispondere sarebbe cortesia, alla quale (cortesemente) rispondere si può rispondere
Il farmaco
Per una volta il risvolto va preso in parola: «uno dei più disturbanti romanzi di questi anni». Anche perché «disturbante» non è annoverato fra gli epiteti promozionali dell’editoria glam di oggi. E quale occasione più glam dell’esordio narrativo di una giovane donna, ispida critica letteraria per di più, che addirittura affronta il più abusato dei temi – l’amore?
Ecco: se già vi state facendo un’idea, di che tipo di romanzo possa essere Il farmaco di Gilda Policastro, mettetela subito da parte. Perché di glamour, qui, non ce n’è punto. Perché quest’amore è simile, piuttosto, al «brutto poter» evocato dal Leopardi estremo di A se stesso (evidente matrice ideologica del testo). È un veleno insomma, come appunto ogni farmaco nell’etimo: «dove la medicina e il male sono la stessa cosa».
Caso oggettivo
undici settembre
di Nicola Ingenito
Prologo
a: lisasimpason@hotmail.com
da: su.sontag@hotmail.com
Data: 10 settembre 2001
Oggetto: De no- tragedy e history of sex
Cara signorina Lisa Simpson,
sono Susan Sontag e ho letto la sua raccolta di saggi. Il libro in sé mi è sembrato sin troppo attuale per sfuggire alle caratteristiche di una raccolta confusionaria, tuttavia incisiva, prolissa, ma con punte di ironia e intelligenza, davvero singolare. Di tutto il suo lavoro io salverei i suoi due saggi: “No-tragedy” e “Preservativi: storia del sesso contemporaneo”. Il primo, nel suo linguaggio d’apocalisse, forse troppo lirico, racconta assai bene il nulla delle comunità anestetizzate dal dolore, mentre il secondo è la migliore “gay (hi)story” dell’ AIDS , che abbia mai letto negli ultimi dieci anni: puntuale e ironica. Devo dire che lei mi è simpatica, perché mischia, allo stesso tempo, il rigore di uno studio luterano con la raffinatezza del migliore bozzetto di costume. Me la figuro come una ragazzina con l’aspetto di un’intellettuale europea, che non sbaglia mai tailleur. Infatti vorrei verificare questa sua attitudine all’effimero incontrandola domattina, 11 settembre, alle ore 11 e 30, per un pranzo di piatti francesi.
Mi mandi il suo orario d’arrivo, e verrò a prenderla io stessa al deposito dei bus.
Il vuoto
sangue di cane
Che cos’è il sangue di cane. Che cos’ha di speciale la ferita, la cicatrice del randagio di strada, lo squarcio improvviso del compagno domestico aggredito da un altro cane, più forte. Il cane è l’amico leale, il servo, lo schiavo disprezzabile, e dunque l’insulto per chi sta sotto, umiliato dalla sua stessa fedeltà. Il figlio di. La creatura rabbiosa da sopprimere, la cosa storta che non si può giustificare. Il sangue di cane è la vita reietta, antieroica, le croste nere, la cancrena senza redenzione. È la non appartenenza, il male senza gloria che si concentra in un solo essere, ne fa capro e carnefice di se stesso prima di tutto. Si può amare una cosa storta così, il sangue d’un cane?
MARIANGELA GUALTIERI Bestia di Gioia
di Viola Amarelli
“Bestia di gioia” (Einaudi, 2010), ultima raccolta di Mariangela Gualtieri, delinea con una scrittura limpida e appassionata insieme una ricerca giocata – nel senso più alto del termine – non sulle ma con le parole. E’ tra il suono e la sua origine, il silenzio – lemma non a caso ricorrente come un fil rouge nel libro unitamente a “forza” e “potenza” – che s’inserisce il vettore mistico, vero protagonista dei testi (la trama misteriosa/che per certa sappiamo od, anche, ciò che viene splendido in dono). Si tratta tuttavia di una mistica saldamente radicata nel concreto, tra il nato fra le zampe e tutte le ragnatele, e che proprio per questo riesce a intrecciare senza soluzione di continuità un andirivieni stupito ma consapevole fra terra e cielo, in una natura talmente immanente da diventare chiave, e non solo simbolo, per l’oltre, per l’Essere ogni cosa. La stessa dimensione verticale di numerosi testi affollati di stelle e cieli e fuoco e nuvole e vento fluisce con l’acacia chiama l’ape che ricama/…/Nasce un cantare d’uccello/sconosciuto, un viavai d’alveare.
I piedi pensano, olé
La nazionale scrittori in in collaborazione con la Società Dante Alighieri e con il Centro Sportivo APD OLIMPIA. presenta:
Italia- Argentina, una sfida culturale
Letteratura, cinema e teatro ai tempi della crisi.
Programma:
Foto di gruppo senza piazza
da «il Fatto Quotidiano» (sabato, 2 ottobre 2010)
di Evelina Santangelo
Immaginate una piazza o il corso principale di uno dei tanti centri minori o province che costituiscono l’Italia. Immaginate dei ragazzi – adolescenti e post-adolescenti – che, seduti sui motorini, più o meno parlano, perché qualcuno ha un cellulare di ultima generazione tra le mani e invia raffiche di sms magari a chi gli sta di fronte, mentre qualcun altro se ne sta a dimenarsi con le cuffie dell’ipod nelle orecchie. Immaginate di ascoltarli, questi ragazzi di un ceto indefinito.
VATICALIA
di Franco Buffoni
Dopo gli interventi della Digos a Porta Pia a Roma il XX settembre per identificare e disperdere i laici che si limitavano a rendere dignitosa testimonianza mentre la Roma istituzionale era genuflessa dinanzi al Cardinale Tarcisio Bertone, in occasione della visita di Benedetto XVI a Palermo, sono accaduti nuovi e incresciosi episodi. Su un terrazzo, proprio di fronte al palco del Foro Italico, era pronto uno striscione, con una frase tratta dal Vangelo di Matteo. Sullo striscione si leggeva: “La mia casa è casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. Le forze dell’ordine sono intervenute immediatamente, tentando di entrare nell’appartamento senza alcun mandato. Sono quindi intervenuti i vigili del fuoco con le scale mobili e hanno strappato lo striscione.
“E’ un regime, neppure in casa nostra possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero” afferma Franca Gennuso, una delle persone presenti nella casa “incriminata”, tenuta sveglia tutta la notte da continue telefonate delle forze dell’ordine che intimavano, con le buone e con le cattive, di ritirare lo striscione. “La verità è che non vogliono sbavature. Vogliono dare l’immagine di una visita perfetta, con un consenso perfetto”.
da EEEEE EEE EEEE / Tao Lin. 2007
di Tao Lin
traduzione di Gherardo Bortolotti
Andrew guida verso il lavoro. La musica è troppo alta. La spegne. I suoi genitori vivono in una torre; una di otto. Quale? Quella con il cancro. Sara è nel sedile a fianco. Andrew guarda. Non c’è. Se ci fosse gli avrebbe indicato qualcosa e poi ci si sarebbero arrampicati. Una montagna. Ci sarebbero state delle montagne. Andrew l’avrebbe abbracciata. Non ha voglia di consegnare le pizze. Ha voglia di costruire una casa sull’albero. Al lavoro saranno tutti ritriti e pieni di cliché. Andrew è ritrito e pieno di cliché. Non ha niente da dire a nessuno. Nessuno ha niente da dire a nessuno, per qualche ragione. È tutto pieno di cliché e melodrammatico. Una volta, La ragazza di Andrew al college ha cercato di uccidersi con il valium di un’operazione ai denti. Aveva fatto sentire Andrew pieno di cliché e melodrammatico. Avrebbe dovuto riderle in faccia come un maniaco, e poi ucciderla con un tubo di piombo. Lui e Sara, che ridevano in modo sexy in faccia al cadavere della sua ex. Baciarla mentre rideva in modo sexy. Mentre sono ancora sull’albero. Sposarla con astuzia e sveltezza, e poi ucciderla, per qualche ragione. Andrew dovrebbe vendere la sua casa immensa e andare a New York. Si porterebbe il denaro in una valigetta. Ci sarebbe lì Sara, che ride. Starebbero lì in piedi nelle librerie. Darebbero la caccia a Jhumpa Lahiri e la seguirebbero come delle pecore con i loro tubi di piombo. Costruiamole una casa sull’albero sulla faccia. Sara darebbe del figlio di puttana ad uno di quei poliziotti a cavallo. Il poliziotto distoglierebbe lo sguardo. Sara gli chiederebbe indicazioni per il selvaggio west.











