Liu Xiaobo è stato insignito del Premio Nobel per la pace «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina» l’8 ottobre 2010. È il primo cinese a ricevere il riconoscimento per la pace. Ecco una rassegna stampa specializzata, da parte della comunità italiana di esperti di cose cinesi – Jan Reister
Scuola di calore III
Idillio nero
a Isabel
Ho letto che Elsa Triolet, la moglie di Aragon,
se ne stava nuda in una grande gabbia surrealista costruita
allo scopo dal celebre consorte e, inginocchiata su un letto di spine,
lo pregava di godere del suo membro
I segreti sono come disperati in fuga
in una città fantasma dopo la fine di una battaglia:
non trovano rifugio in nessun luogo e non hanno alleati
né tra le fila dei compatrioti né tra quelle dei nemici
Sarah, un orrore domestico
di
Evelina Santangelo
Chi, apprendendo quello che è accaduto a Sarah, non ha sentito un dolore fisico, un odio cieco nei confronti di quello zio per quel che ha fatto, per il modo in cui poi si è offerto alle telecamere nel tentativo di depistare le indagini, per l’orrore che quella violenza compiuta nei confronti della nipote getta su tutto un universo familiare? Chi seguendo il programma Chi l’ha visto? non ha sperato, dapprima, che tutto ciò non fosse vero, e poi, quando non c’era più cosa sperare, che quel calvario finisse? Il calvario di quella madre che si è trovata all’improvviso costretta a dare in pasto il proprio sgomento davanti alle telecamera. Ma anche il «proprio» personale calvario, o meglio, il «nostro» calvario collettivo di telespettatori incapaci di staccarci dal video, anzi, da quel volto letteralmente pietrificato di quella madre, che il video ostinatamente restituiva, violandolo in un parossismo di morbosità e dolore.
Togliere gli errata dalla storia (2)
[Seconda parte di un fondamentale contributo sulla coppia di cineasti Gianikian e Ricci Lucchi. Per chi non lo conoscesse, consiglio la visione di Dal Polo all’Equatore. DP]
di Rinaldo Censi
Dettagli
Ecco qui esposto un dispositivo e insieme un piano d’azione.
Il lavoro dei Gianikian sembra qui incrociare le indicazioni teoriche contenute in un libro la cui importanza è ormai notoria. Mi riferisco a Le Détail. Pour une histoire rapprochée de la peinture scritto da Daniel Arasse nel 1992. Faccio mie dunque alcune osservazioni sul concetto di doppia dislocazione del dettaglio, inteso come “particolare” e come “dettaglio”.
Per Arasse esiste una doppia natura del dettaglio:
– Particolare, «piccola parte» di un insieme, il dettaglio rispunta perché è necessario alla pittura mimetica che «mette davanti agli occhi», e specifica quindi, inevitabilmente, l’«aspetto» di questa pittura.
– Dettaglio, in quanto tale, presuppone un soggetto che «de-tagli» un oggetto (il quadro all’occorrenza), un soggetto che può corrispondere sia a colui che dipinge, sia a colui che guarda. La configurazione del dettaglio dipende dal punto di vista del «dettagliante» e, nel conseguente rapporto intimo con l’opera, il taglio del dettaglio sfugge a qualsiasi controllo, a qualsiasi norma. (…) Il dettaglio-dettaglio è, nel quadro, indizio di un programma di azione, della mano, dello sguardo, che si posano sulla superficie dipinta, e la percorrono.[1]
Avventure 8 – Intimità
di Giacomo Sartori
Il treno rallenta sempre di più come arrivando in stazione, ma nell’umidume d’alabastro del mattino si susseguono ennesime periferie senza attrattive e come invecchiate precocemente. L’uomo fissa i sandali della viaggiatrice seduta di fronte, e le domande gli restano impigliate dietro la lingua, riesumando simulacri che credeva ormai sepolti sotto metri di macerie. I sandali della ragazza sono sandali sfiancati da lunghe marce, ma i piedi sono espressivi e fiduciosi nel futuro: l’ostinata cupezza del viso non ha avuto ragione su di loro. “Vuole qualcosa da me?”
love cost: Carlo D’Amicis
da Maledetto nei secoli l’amore, Piero Manni 2008

e allora, caro cugino, io ti parlo e anche di me ti parlerei (di Lady Mora), se non fosse che Lady Mora è avvolta nel mistero, se non fosse la regina dell’occulto che illuminando il destino della gente (come il sole) nel suo destino ha l’ombra, e per questo (per questo – dico sporgendomi sensuale verso la telecamera) Lady Mora è sole ma anche luna (qui solitamente – tarataratà – parte la sigla), un universo da esplorare ma che nessuno esplora, perché, di fatto, nessuno è in grado di andare oltre una breve passeggiata sulla superficie, quattro reperti raccolti da una sonda, un approssimativo calcolo aritmetico (tutto qua – tutta qua, la scienza umana), cosicché alla fine mi domando (mi domando, ché del proprio inesplorabile mistero Lady Mora non parla con nessuno) se è inesplorabile in quanto mistero, o mistero in quanto inesplorabile (in quanto nessun uomo, scienziato o poeta, è mai stato in grado di violarlo), in quanto nessun uomo (e in quanto a te, cugino –) mai è stato in grado di cogliere nell’infrangibile cristallo sotto il quale è esposta la mia vita il punto di rottura, nella roccia la fessura, e in quanto a te, cugino, la mia alla fine non è altro che una domanda che domandare è lecito e alla quale rispondere sarebbe cortesia, alla quale (cortesemente) rispondere si può rispondere
Il farmaco
Per una volta il risvolto va preso in parola: «uno dei più disturbanti romanzi di questi anni». Anche perché «disturbante» non è annoverato fra gli epiteti promozionali dell’editoria glam di oggi. E quale occasione più glam dell’esordio narrativo di una giovane donna, ispida critica letteraria per di più, che addirittura affronta il più abusato dei temi – l’amore?
Ecco: se già vi state facendo un’idea, di che tipo di romanzo possa essere Il farmaco di Gilda Policastro, mettetela subito da parte. Perché di glamour, qui, non ce n’è punto. Perché quest’amore è simile, piuttosto, al «brutto poter» evocato dal Leopardi estremo di A se stesso (evidente matrice ideologica del testo). È un veleno insomma, come appunto ogni farmaco nell’etimo: «dove la medicina e il male sono la stessa cosa».
Caso oggettivo
undici settembre
di Nicola Ingenito
Prologo
a: lisasimpason@hotmail.com
da: su.sontag@hotmail.com
Data: 10 settembre 2001
Oggetto: De no- tragedy e history of sex
Cara signorina Lisa Simpson,
sono Susan Sontag e ho letto la sua raccolta di saggi. Il libro in sé mi è sembrato sin troppo attuale per sfuggire alle caratteristiche di una raccolta confusionaria, tuttavia incisiva, prolissa, ma con punte di ironia e intelligenza, davvero singolare. Di tutto il suo lavoro io salverei i suoi due saggi: “No-tragedy” e “Preservativi: storia del sesso contemporaneo”. Il primo, nel suo linguaggio d’apocalisse, forse troppo lirico, racconta assai bene il nulla delle comunità anestetizzate dal dolore, mentre il secondo è la migliore “gay (hi)story” dell’ AIDS , che abbia mai letto negli ultimi dieci anni: puntuale e ironica. Devo dire che lei mi è simpatica, perché mischia, allo stesso tempo, il rigore di uno studio luterano con la raffinatezza del migliore bozzetto di costume. Me la figuro come una ragazzina con l’aspetto di un’intellettuale europea, che non sbaglia mai tailleur. Infatti vorrei verificare questa sua attitudine all’effimero incontrandola domattina, 11 settembre, alle ore 11 e 30, per un pranzo di piatti francesi.
Mi mandi il suo orario d’arrivo, e verrò a prenderla io stessa al deposito dei bus.
Il vuoto
sangue di cane
Che cos’è il sangue di cane. Che cos’ha di speciale la ferita, la cicatrice del randagio di strada, lo squarcio improvviso del compagno domestico aggredito da un altro cane, più forte. Il cane è l’amico leale, il servo, lo schiavo disprezzabile, e dunque l’insulto per chi sta sotto, umiliato dalla sua stessa fedeltà. Il figlio di. La creatura rabbiosa da sopprimere, la cosa storta che non si può giustificare. Il sangue di cane è la vita reietta, antieroica, le croste nere, la cancrena senza redenzione. È la non appartenenza, il male senza gloria che si concentra in un solo essere, ne fa capro e carnefice di se stesso prima di tutto. Si può amare una cosa storta così, il sangue d’un cane?
MARIANGELA GUALTIERI Bestia di Gioia
di Viola Amarelli
“Bestia di gioia” (Einaudi, 2010), ultima raccolta di Mariangela Gualtieri, delinea con una scrittura limpida e appassionata insieme una ricerca giocata – nel senso più alto del termine – non sulle ma con le parole. E’ tra il suono e la sua origine, il silenzio – lemma non a caso ricorrente come un fil rouge nel libro unitamente a “forza” e “potenza” – che s’inserisce il vettore mistico, vero protagonista dei testi (la trama misteriosa/che per certa sappiamo od, anche, ciò che viene splendido in dono). Si tratta tuttavia di una mistica saldamente radicata nel concreto, tra il nato fra le zampe e tutte le ragnatele, e che proprio per questo riesce a intrecciare senza soluzione di continuità un andirivieni stupito ma consapevole fra terra e cielo, in una natura talmente immanente da diventare chiave, e non solo simbolo, per l’oltre, per l’Essere ogni cosa. La stessa dimensione verticale di numerosi testi affollati di stelle e cieli e fuoco e nuvole e vento fluisce con l’acacia chiama l’ape che ricama/…/Nasce un cantare d’uccello/sconosciuto, un viavai d’alveare.
I piedi pensano, olé
La nazionale scrittori in in collaborazione con la Società Dante Alighieri e con il Centro Sportivo APD OLIMPIA. presenta:
Italia- Argentina, una sfida culturale
Letteratura, cinema e teatro ai tempi della crisi.
Programma:
Foto di gruppo senza piazza
da «il Fatto Quotidiano» (sabato, 2 ottobre 2010)
di Evelina Santangelo
Immaginate una piazza o il corso principale di uno dei tanti centri minori o province che costituiscono l’Italia. Immaginate dei ragazzi – adolescenti e post-adolescenti – che, seduti sui motorini, più o meno parlano, perché qualcuno ha un cellulare di ultima generazione tra le mani e invia raffiche di sms magari a chi gli sta di fronte, mentre qualcun altro se ne sta a dimenarsi con le cuffie dell’ipod nelle orecchie. Immaginate di ascoltarli, questi ragazzi di un ceto indefinito.
VATICALIA
di Franco Buffoni
Dopo gli interventi della Digos a Porta Pia a Roma il XX settembre per identificare e disperdere i laici che si limitavano a rendere dignitosa testimonianza mentre la Roma istituzionale era genuflessa dinanzi al Cardinale Tarcisio Bertone, in occasione della visita di Benedetto XVI a Palermo, sono accaduti nuovi e incresciosi episodi. Su un terrazzo, proprio di fronte al palco del Foro Italico, era pronto uno striscione, con una frase tratta dal Vangelo di Matteo. Sullo striscione si leggeva: “La mia casa è casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. Le forze dell’ordine sono intervenute immediatamente, tentando di entrare nell’appartamento senza alcun mandato. Sono quindi intervenuti i vigili del fuoco con le scale mobili e hanno strappato lo striscione.
“E’ un regime, neppure in casa nostra possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero” afferma Franca Gennuso, una delle persone presenti nella casa “incriminata”, tenuta sveglia tutta la notte da continue telefonate delle forze dell’ordine che intimavano, con le buone e con le cattive, di ritirare lo striscione. “La verità è che non vogliono sbavature. Vogliono dare l’immagine di una visita perfetta, con un consenso perfetto”.
da EEEEE EEE EEEE / Tao Lin. 2007
di Tao Lin
traduzione di Gherardo Bortolotti
Andrew guida verso il lavoro. La musica è troppo alta. La spegne. I suoi genitori vivono in una torre; una di otto. Quale? Quella con il cancro. Sara è nel sedile a fianco. Andrew guarda. Non c’è. Se ci fosse gli avrebbe indicato qualcosa e poi ci si sarebbero arrampicati. Una montagna. Ci sarebbero state delle montagne. Andrew l’avrebbe abbracciata. Non ha voglia di consegnare le pizze. Ha voglia di costruire una casa sull’albero. Al lavoro saranno tutti ritriti e pieni di cliché. Andrew è ritrito e pieno di cliché. Non ha niente da dire a nessuno. Nessuno ha niente da dire a nessuno, per qualche ragione. È tutto pieno di cliché e melodrammatico. Una volta, La ragazza di Andrew al college ha cercato di uccidersi con il valium di un’operazione ai denti. Aveva fatto sentire Andrew pieno di cliché e melodrammatico. Avrebbe dovuto riderle in faccia come un maniaco, e poi ucciderla con un tubo di piombo. Lui e Sara, che ridevano in modo sexy in faccia al cadavere della sua ex. Baciarla mentre rideva in modo sexy. Mentre sono ancora sull’albero. Sposarla con astuzia e sveltezza, e poi ucciderla, per qualche ragione. Andrew dovrebbe vendere la sua casa immensa e andare a New York. Si porterebbe il denaro in una valigetta. Ci sarebbe lì Sara, che ride. Starebbero lì in piedi nelle librerie. Darebbero la caccia a Jhumpa Lahiri e la seguirebbero come delle pecore con i loro tubi di piombo. Costruiamole una casa sull’albero sulla faccia. Sara darebbe del figlio di puttana ad uno di quei poliziotti a cavallo. Il poliziotto distoglierebbe lo sguardo. Sara gli chiederebbe indicazioni per il selvaggio west.
Kamikaze + Featured Creatures
di Gian Maria Annovi & Joseph Keckler
brilla corpo-kamikaze:
stella avariata
spunta le dita dei passanti
le falangi per aria
in un volo armato di
colombe
(tutto il mondo è bombato)
che nel balzo ti inclina
la schiena
che ti sbalza la pelle
di costole / di vertebre
che piombi acceso sul selciato
***
Odiare i poveri: quando l’indifferenza non basta
[Questo articolo è apparso sul numero 2 di “alfabeta2”, in edicola e nelle librerie dal 17 settembre.]
di Andrea Inglese
Vi è un passo nel romanzo la Nave morta di B. Traven, ambientato nel primo dopoguerra del secolo scorso, in cui è evocato l’ordinario disprezzo che circola tra coloro che occupano gli ultimi gradini della scala sociale. Il protagonista, vagabondo e mendicante, si trova confrontato con la carità avvelenata dei marinai, che per Traven costituiscono il paradigma dei più sfruttati tra gli sfruttati. “A volte, mentre sto sulla banchina, guardando lassù verso il castello di una nave dove l’equipaggio sta mangiando, sento qualcuno di loro che grida: «Oh, voialtri, canaglie, bighelloni fetenti, non avete nulla da inghiottire? Suppongo che vogliate venire su a leccare gli sputi: ma solo due per volta, che vi possa tenere d’occhio, ladri!». Altri si divertivano a gettare il cibo: minestra, carne, pane, fave, prugne, caffè, tutto in un recipiente insieme con i loro avanzi già in parte masticati; poi ci offrivano quel pastone dicendo: «Se avete fame davvero, mangiate questo e dite grazie».”
Malgrado il fatto che, negli anni Venti, la linea di separazione tra un semplice marinaio e un vagabondo nullatenente fosse socialmente poco significativa, essa era sufficiente a generare nel primo un atteggiamento di scherno nei confronti del secondo, quasi che il sentimento caritatevole fosse direttamente proporzionale alla distanza sociale che separava il beneficiante dal beneficiato. Ciò nonostante, il gesto impietoso dei marinai non esprimeva odio e non giungeva al punto di trasformare l’irrisione in persecuzione.
Errorismo di Stato
di
Sergio Bologna
Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato. Laterza, Bari 2010.
Nemmeno i negazionisti erano arrivati a tanto. Si erano limitati a dire che i campi di sterminio non erano mai esistiti, ma non si sono spinti a dire che gli ebrei avevano gasato i nazisti. I tre autori di questa nuova prova della miseria italiota vanno oltre il negazionismo. L’arresto di Toni Negri e di molti suoi compagni il 7 aprile 1979 è stato il primo atto di una persecuzione giudiziaria e di un linciaggio mediatico che non aveva precedenti nella storia d’Italia dal 1945 ad allora e non ha avuto eguali nei trent’anni successivi. Nel libro in questione Toni Negri appare invece come un criminale dal volto ancora sconosciuto, grazie alla “copertura” dei servizi di Stato deviati e golpisti. “Getti la maschera” continua a gridargli Calogero, “scopra finalmente il suo volto”, “esca dal suo nascondiglio”! E questo lo grida a un uomo bersagliato per mesi da titoli cubitali dei giornali come l’ispiratore di 17 omicidi (così recitava il primitivo mandato di cattura stilato da Calogero), a un uomo del quale sono stati gettati in pasto alla folla affetti personali e appunti sul notes, agende telefoniche e abitudini quotidiane. Toni Negri tra galera e domicili coatti si è fatto 11 anni. E qui viene definito come uno che lo Stato ha colpevolmente protetto.
Sono passati poco più di trent’anni da allora e trent’anni esatti dalla sconfitta della classe operaia Fiat dopo l’occupazione durata 35 giorni. Trent’anni lungo i quali tanti fili si sono spezzati, tante sequenze sono state interrotte, tranne una sola: l’umiliazione del lavoro. A leggere oggi certe testimonianze su come vengono trattati i giovani laureati negli stages, a scorrere le cronache sui 35 operai morti nelle pulizie delle cisterne, a navigare sui blog dove centinaia di giovani italiani raccontano d’essersene andati da un Paese per loro invivibile, viene da dire: “Sono stato di Potere Operaio e ne sono orgoglioso”.
Sakineh sì e Teresa no?
Sulla legittimità e sulla giustezza della mobilitazione in favore della cittadina iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani non credo alcuno abbia dubbi, non solo per la particolare crudeltà della tecnica di assassinio di stato, la lapidazione, ancorché ora apparentemente cambiata in impiccagione, ma, e a mio parere soprattutto, per l’assurdità e la violenza della pratica e della teoria della pena di morte, nella quale uno stato si arroga un diritto che, sempre a mio parere, non ha mai e in nessun caso. Sakineh è stata condannata da un tribunale del suo paese – sul quale purtroppo solo scarne notizie abbiamo ‒ per avere commesso crimini per i quali il diritto del suo paese prevede la pena di morte, ma è questo diritto che vogliamo mettere in discussione.
La mobilitazione in questo senso è stata però largamente sottolineata dai mezzi di comunicazione di massa, con tanto più gusto e speranza di condivisione in occidente a causa della cattiveria intrinseca dello Stato Iraniano, che non si sottomette facilmente ai consigli e soprattutto alle pretese degli stati forti e che quindi automaticamente acquista il rango di stato canaglia. Stato che, poi, vuole anche la tecnologia nucleare, inaudito,











