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Territori d’oltremare

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di Luca Baldoni

SPUNK CLUB

In questa grotta metropolitana dietro
all’intricata prospettiva di binari in fuga
di King’s Cross la domenica pomeriggio
gli uomini stanno seduti al bar col
cazzo in mano oppure nudi invitanti
sdraiati su un divano –
e io seppur assorto
attendo il turno tra i compagni
accetto il gioco della rete e della fionda
di questa partita che si semina ogni volta.

*** ***

In lungo e al largo

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Negli archivi dell’Istituto Luce c’è addirittura un filmato NC del 1975 (notizie cinematografiche) di quattro minuti. La didascalia recita: nel villaggio svedese di Baia Domizia (Caserta) una ‘fettina’ di Svezia in Italia. 217 cottages per 1600 posti, un villaggio nato nel 1968 grazie ad una cooperativa, protagonisti i sindacati svedesi. La telecamera inquadra una bellissima ragazza che accompagna lo spettatore attraverso ogni singola stanza di quel piccolo mondo. Si vedono le camere, socialdemocratiche, mobili in stile Ikea, e le spiagge di sabbia scura percorse da capelli biondi al vento.
Palme (Olof) di Baia Domizia
di
Francesco Forlani

Le storie mica si scrivono a tavolino, lo sguardo perso nel nulla, gli occhi a cercare un’ispirazione, no, no, caro lettore di Fresco di Stampa, le storie, ma sarebbe meglio dire, la storia, ti affonda la penna nelle narici e senti un odore di miscela e gomme. Ferro, come quello del ponte del Garigliano – perché l’umanità in quegli anni si divideva in al di qua del fiume e nell’al di là. Da Caserta Noi ci arrivavamo con la 500 guidata da mamma. Noi, perché nelle famiglie numerose l’io non esisteva nemmeno per i primogeniti che manco cominciavano a parlare che già c’era una sorella e un fratello a mettere la N di noi a IO. Da questa parte del Garigliano c’era il mondo, il nostro, preso tra due cumuli di terra e verde, monte d’oro e monte d’argento, da quella il bel mondo, il loro. Baia Domizia. Le classi si dividevano sopra quel ponte, e se prima dell’estate con i grembiuli si era tutti uguali, con la stagione perfino i compagni di banco si separavano per affermare il diritto della proprietà. Ville da una parte e appartamenti da questa, dalla nostra parte. La villeggiatura durava due mesi interi trascorsi a fare tuffi, capricci con gli altri, gli amici, a cercare una vocazione, i primi baci, la nobile visione dei peli sotto le ascelle di Lucy, che poi non ci dormivi la notte. Da quella parte del fiume invece, ci arrivavano poi al rientro di fine settembre, nelle aule  di scuola, racconti fantastici, come di sopravvissuti dal paese dei balocchi, e allora ci sembrava ancora più povero il campo di calcio con le porte senza rete di fronte al lido Italia e senza alcun appeal la discoteca del Lido del Sole con l’ insegna, Poubelle.

In lungo e al largo

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di
Anna Maria Papi
29 luglio 2010 0re 23

I lungomari. Mi piacciono i lungomari. I viali a mare.”Vada sul lungomare, poi volti a destra. Sul viale a mare forse ce lo trova”. Mi piacciono un casino i lungomari . Sia che guardino su un mare piccolo che su un mare grande. Sia che siano su un mare di destra o su un mare di sinistra. Alcuni sono a ovest. Cioè a ponente. ‘Vada a ponente che trova il lungomare.’ No, questo non lo dice più nessuno. Oppure,guardi a levante c’è un lungomare bellissimo. Neanche questo. Vada ad ovest lo dicono solo gli americani. Nei libri. Che poi chissà perchè, gli americani nei libri vanno sempre o verso ovest o verso sud. Da noi non si dice è andato verso sud sarà mezz’ora. Da noi si dice ha preso a sinistra, a destra. Generalmente da noi si dice così. Oppure da noi non si sa dove è andato. Non ce ne frega nulla dove è andato.

Ancora sull’università, la poesia, il gusto

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[Mi permetto di presentare le risposte di Alfano, nate da questo thread, in forma di post autonomo. I punti toccati mi sembrano davvero importanti.]

Giancarlo Alfano

Cari commentatori,
non so bene come funzioni l’etichetta del discorso in un blog, non so cioè se ci si aspetta una risposta a ciascun commento o se invece è più educato tirare le somme da un certo numero di osservazioni. Mi sembra però il caso di riprendere alcune vostre osservazioni, soprattutto per alcuni punti ricorrenti. Ci sono in particolare due aspetti che vorrei spiegare meglio. Il primo riguarda l’impegno “divulgativo”. Far conoscere la poesia. Nell’incontro di Fosdinovo mi sono chiesto se noi che lavoriamo all’Università creiamo davvero nuovi lettori. Se cioè l’Università funziona ancora come luogo di promozione della libertà individuale e di conseguenza come luogo di educazione del gusto. L’espressione può sembrare vecchia, ma vi prego di ponderarla: educazione del “gusto” (non “al” gusto).

Di un luogo inabitabile / Scenografie, cattivo gusto, recitazione: brevi riflessioni sul Lubitsch tedesco

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di Rinaldo Censi

Non è forse un caso che certi regni filmati da cineasti di origine ebraica siano immaginari. I principati o i piccoli ducati dei film di Eric von Stroheim, per esempio, come quello di Montebianco in The Merry Widow (1925), film tratto da Die lustige Witwe, operetta che fa il suo debutto a Vienna nel 1905, su cui anche Lubitsch applicherà il suo mestiere (1934), mantenendo il  territorio indicato dal testo originario: il principato di Marshovia. Nei primi decenni del ‘900 i viaggi certificano ancora l’incontro con l’esotico, con un altrove sconosciuto e immaginario. L’oriente casalingo di Lubitsch, ad esempio: è l’Egitto di Die Augen der Mumie Ma (1918), o Das Weib des Pharao (1922) o ancora l’Oriente di Sumurum (1923), filmati senza muoversi dalla Germania, giusto schizzando fregi dal sapore esotico, immaginando labirinti scenografici, piazzandovi una mummia, o qualche elefante dello zoo. E che dire della fortezza militare di Tossenstein a due passi da Piffkaneiro (Die Bergkatze)?

50 aforismi #2

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Morte/Umanità/Amore/Suicidio

di Luca Ricci

Aveva faticosamente imparato quello che altri semplicemente sapevano.

Un ribelle a cui viene spiegato per filo e per segno a cosa ribellarsi.

Scommetteva sulla propria incoerenza, e vinceva sempre.

Charles Taylor, “Radici dell’io”: una genealogia della modernità (2)

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[La prima parte di questo articolo si trova qui; questa seconda parte può costituire anche una riflessione sul brano di Bellow e Botsford postato da Massimo Rizzante qui. La questione non è di poco conto: riguarda la non ovvia convivenza di ideali selettivi legati all’opera d’arte e letteraria con ideali propri di una società democratica.]

di Andrea Inglese

L’espressione di sé tra parodia diffusa e sublime elitario

La valorizzazione della svolta espressivista nella modernità ha un ruolo fondamentale nell’argomentazione filosofica di Taylor. Per lui, l’unica possibilità di dare senso al sistema di valori promosso dal liberalismo occidentale, basato sulla difesa di diritti umani universali e sulla giustizia procedurale, consiste nell’esplicitare le premesse antropologiche su cui quel sistema si basa. Queste premesse implicano il riconoscimento di “fonti morali”, ossia di beni nel senso aristotelico del termine, che vanno perseguiti per se stessi. Il rispetto della vita umana e dei diritti fondamentali delle persone non può basarsi su una generica benevolenza verso i miei simili, ma deve fare leva su una concezione dell’integrità della vita umana e dei beni che rappresentano per essa esperienze quali l’autonomia, il possesso, l’espressione di sé. È da individuare qui il contributo filosofico decisivo di Taylor al dibattito contemporaneo sulle questioni morali. Per uscire da un’etica puramente formale, basata sul rispetto della norma e della procedura, bisogna ricollocare la concezione dei diritti universali entro una prospettiva antropologica, che riscopra l’esistenza di quella pluralità di beni in grado di rendere una vita umana integra, degna e piena di senso. Così facendo, però, si è anche trovato il modo di articolare beni collettivi e beni individuali, le richieste della società nei confronti del singolo e quelle del singolo nei confronti della società. Il perseguimento della mia realizzazione personale non appare più in contraddizione con la difesa della dignità per il più grande numero di persone, in quanto entrambi questi valori si sostengono e si sviluppano in modo correlato.

Alfa Zeta1 per Alfabeta2- B come Bologna

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Sulla strage di Bologna e l’ora esatta le sentenze no. Con le parole di Jacques Prévert in pioggia su Brest. Nuova serie, Alfa Zeta, dei Photoshoperò per il sito di Alfabeta2 (effeffe)

Corpo stellare

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di Fabio Pusterla

LAMENTO DEGLI ANIMALI CONDOTTI AL MACELLO

Guarda: ci portano via. Nella canzone
dei giorni ci stramazzano. E cantiamo
per questa ultima ora: noi cantiamo
la nostra bellezza negata. E siamo vivi.

Vagano spore al vento, ali del cuore
che chiama il sangue a sé, che lo fa scorrere
nei fiumi delle vene, ai venti caldi
dei desideri che ci sono tolti. E siamo vivi.

E sono mari i nostri desideri,
percorriamo foreste di memoria
tra poco incenerite, ed ora splendide.

Cenere i tronchi, i mari in secca. Ma noi vivi,
vivi più vivi della mano che martoria. Chi ci nega
la luce ignora questo: siamo vivi

nella gloria del male che ci è dato,
nel silenzio del colpo che ci è inferto.
Muti, dimenticati.

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intermezzo estivo 2: sempre allegri

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di Antonio Sparzani

Alfa Zeta1 per Alfabeta2

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Hommage à Baudelaire (Lo straniero) in una video intervista sull’Arte della scrittura a Gaetano Sgambati (Accademia Belle Arti di Napoli). Nuova serie, Alfa Zeta, dei Photoshoperò per il sito di Alfabeta2 (effeffe)

Pista!

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di Gianni Biondillo

In questa Milano tropicale bevo una birra ghiacciata con M., amico di sempre che vive ancora a Quarto Oggiaro. Ci vediamo poco, abbiamo vite diverse: io con moglie e figlie la sera resto a casa, lui di notte inizia a vivere. Mi sono preso la sera libera, insomma; giro con lui in macchina per una città che non conosco e che non mi appartiene, incrociando di continuo i luoghi topici della movida, della vida loca, dello sballo. Ma non c’è voyerismo, da parte nostra, né pelosa indignazione. Semplicemente si va per percorsi sempre uguali a se stessi, abitudinari.

La “critica universitaria” e l’esplosione. Un invito a partire dal lavoro sulla poesia

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di Giancarlo Alfano

 Cari amici di Nazione indiana, riprendo qui in forma di lettera alcune considerazioni che ho proposto un paio di mesi fa nel corso del festoso e proficuo incontro del 29 maggio. Lo faccio adesso anche perché si discute in questi giorni in Parlamento il disegno di legge cosiddetto “Gelmini”, che, a mio avviso, umilia profondamente la funzione pubblica dell’insengamento e della ricerca universitaria (limitando di fatto l’accesso all’università pubblica) e perché il dibattito sul mondo universitario mi pare povero, stanco, ripetitivo. Occorre invece tenere alta la guardia su quel che sta succedendo e su quel che ci sembra fondamentale per la formazione intellettuale in Italia.

Durante il dibattitto promosso da Andrea Inglese “Alla ricerca del vocabolario perduto” a me è toccato ragionare sulla “critica universitaria”, nel tentativo di rispondere alla domanda del promotore, e cioè se fosse «possibile individuare un vocabolario condiviso per la critica». Personalmente non sono persuaso che esista una cosa come la “critica universitaria” distinta da altri esercizi critici. Credo invece che si debba capire che cosa fa chi lavora all’interno delle istituzioni accademiche (sia o non sia ricercatore, borsista, dottorando, docente, etc.).

G. M. HOPKINS

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di Franco Buffoni

G. M. Hopkins (1844-1889) oggi si staglia ai vertici poetici della letteratura inglese del secondo Ottocento, ma occorsero decenni perché il suo genio venisse riconosciuto. Basti pensare che la prima edizione parziale della sua opera – apparsa in 750 copie solo nel 1918 – impiegò dieci anni ad andare esaurita. (E va dato atto a Benedetto Croce di essere stato tra i primi in Europa a riconoscere il valore di Hopkins sulla rivista “Critica” nel 1937). Incrollabile nella fede cristiana, tolemaico nella visione cosmogonica, Hopkins entra a ventiquattro anni nella Compagnia di Gesù, distruggendo quasi tutte le poesie fino ad allora composte e giurando a se stesso – come Gerard – di non più scriverne. Il secondo nome – Manley – era il nome del padre, e Hopkins spesso fece mostra di esserselo scordato, forse per una questione di omofonia con l’aggettivo manly (virile) che non prediligeva per sé. Studente al Balliol di Oxford, teneva un diario in cui elencava anche i peccati commessi, con abbreviazioni (O.H. – Old Habits, vecchie abitudini: “Ho guardato un corista al Magdalen”).

intermezzo estivo 1: il fantastico armando

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di antonio sparzani

carta st[r]ampa[la]ta n.24 bis

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di Fabrizio Tonello

Sono al mare con le mie nipotine pesaresi e quando sento strillare “Cacca! Cacca! Pipì! Popò!” penso siano arrivate le cuginette di Fano: due anni è l’età giusta per scoprire le funzioni corporali e giocare a scandalizzare i grandi. Invece è il vicino di ombrellone che legge a voce alta un articolo del Foglio. Nel solleone domenicale qualcuno deve aver trovato divertente un articolo di tale Filippo Timi che inizia: “Porca puttana caco sangue dal culo!” e continua “Tutti facciamo la cacca, tutti. Per quanto una persona sia importante, deve, come me, andare in bagno e cacare: il Papa, Berlusconi, Obama, la Kidman, Raoul Bova, Valentino, Armani…” la lista prosegue e, dopo la battuta finale “Fare la cacca è uno dei rari momenti per stare soli con se stessi” mi precipito sulla passerella che scavalca la ferrovia dietro la spiaggia, guardando se arriva in lontananza l’Intercity Milano-Crotone per buttarmi di sotto. Ha 120 minuti di ritardo e lascio perdere.

Charles Taylor, “Radici dell’io”: una genealogia della modernità (1)

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[Il lungo articolo che qui propongo in due puntate riguarda una delle maggiori opere del filosofo canadese Charles Taylor. La sua interpretazione della modernità credo possa fornire concetti utili a chi riflette sul nesso tra letteratura e questioni morali.]

di  Andrea Inglese

 Fonti e dilemmi morali della modernità

            Nel 1989 viene pubblicato Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna(1) di Charles Taylor. Il suo autore è conosciuto sopratutto per un saggio di storia della filosofia apparso nel 1979 e intitolato Hegel e la società moderna(2). In Taylor l’approccio storico, comune ad entrambi i lavori, costituisce lo strumento più adeguato per affrontare problemi di natura pratica e politica. Detto in altri termini, uno studio storico e genealogico permette di offrire al dibattito filosofico concetti più adeguati e chiari per riformulare i dilemmi morali e politici che affliggono il mondo uscito dalla modernità. Hegel e Radici dell’io possono essere considerati come una sorta di dittico che affronta l’epoca moderna secondo una duplice e complementare prospettiva: quella che s’interroga sui beni condivisi nella società e quella che s’interroga sui beni individuali.

Crediti

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[La mostra di Elisabetta Benassi, All I remember, rimarrà aperta fino al 31 luglio. Il testo che si presenta è tratto dal catalogo pubblicato da NERO]

di Andrea Cortellessa

Mi dice Elisabetta Benassi che l’origine prima di All I Remember va ricercata in un oggetto che in questa sua ultima opera-mostra, caratteristicamente, non figura. Fra le sue non soverchie attrattive «Pommidoro», ristorante romano del quartiere una volta popolare di San Lorenzo, vanta un assegno non datato ma risalente alla sera del 1° novembre 1975. L’assegno, di undicimila lire, non venne mai incassato, e qualche tempo dopo finì incorniciato sulla parete dove anche adesso fa mostra di sé. Perché, la mattina dopo, le prime pagine dei giornali non parlavano d’altro che della tragica notte appena passata dal suo firmatario. Uno che di firme, nella sua vita troppo breve, ne aveva poste moltissime: e quella lasciata da «Pommidoro» era stata l’ultima. Come si vede la firma, in basso a destra come di prammatica, non è chiarissima; ma chi pagava la cena, quella sera, non aveva certo bisogno di farsi riconoscere. Intanto perché da «Pommidoro» era habitué; e poi perché era Pier Paolo Pasolini.

50 aforismi #1

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Morte/Umanità/Amore/Suicidio

di Luca Ricci

Per chi vuole sparire niente di peggio che vedere sparire un altro.

Dal fondo doloroso di un lutto si risale sempre. Anche se alcuni morendo.

Quando si parla della morte il livello di insensatezza è assoluto. L’ultimo venuto può spararne una più grossa di Maometto, Buddha o Cristo al primo colpo…

Il Colpo dello Strega

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From July 2010  back to July 1947


di

Anna Maria Papi

Era un  amico ma si chiamava Andrea, Era il luglio del 47 ma eravamo a Roma. Era nei socialisti ma faceva  caldo. Guidava una Topolino ma c’era Lelio Basso. Avevo diciotto anni ma l’invito era alle nove. Faceva caldo ma si chiamava Andrea. Era un amico ma era il luglio del 47.C’era Lelio Basso ma avevo diciotto anni. Levati il cappotto ma guidava una Topolino.Gilda e Glenn Ford ma lui era socialista. Amado mio ma l’invito è alle nove. Avevo diciotto anni ma Paul Henreid e Rita Hayworth. Era un poeta ma guidava una Topolino.Virginia Blend ma sciolte e a pacchetti. Era il luglio del 47 ma levati il cappotto. Guido Alberti ma nel cono grazie. Nocciola e fragola ma Maria Bellonci.  Players Navy Cut ma faceva caldo. Roma città aperta ma avevo diciotto anni. Roberto Rossellini ma ci sono i Military Police. Ennio Flaiano ma Casablanca.  Lelio Basso ma dammi una sigaretta. Era nei comunisti ma si chiama Alvaro. Le parole sono pietre ma prendi il 27. Silvio Micheli ma nel cono grazie.

Notizie da un tribunale

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(ANSA) – NAPOLI, 21 LUG – Il Tribunale di Napoli ha dato ragione a Roberto Saviano respingendo l’accusa di plagio da parte di alcuni quotidiani campani.
‘A volte la verità’ e’ più’ forte del fango’, il commento dello scrittore. Secondo gli editori dei quotidiani Cronache di Napoli e Corriere di Caserta, Saviano avrebbe usato per ‘Gomorra’ parti di loro articoli. Il Tribunale ha invece condannato gli stessi editori per aver copiato articoli che lo scrittore aveva pubblicato su altri quotidiani.

Ricostruiamo l’antefatto. Nell’autunno del 2006, il cronista napoletano Simone di Meo si rivolge a Mondadori per lamentare che Gomorra riporta il testo dell’accordo di pace di Scampia pubblicato da “Cronache di Napoli” senza citare per nome il quotidiano, né la sua firma dell’articolo. Per quanto il brano serva a denunciare come il giornale agisca da portavoce dei clan e quindi la citazione sembra più nuocere che giovare a chi l’ha scritto, la richiesta viene accolta da Saviano “in assenza di alcun obbligo al riguardo” –  come stabilisce testualmente la sentenza –  a partire dalla nona edizione di ottobre 2006.