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carta st[r]amp[al]ata n.7

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di Fabrizio Tonello

Paolo Mieli, da direttore del Corriere, amava farsi intervistare dalla televisione nel suo ufficio, con alle spalle un’austera libreria interamente occupata da quella che sembrava proprio l’enciclopedia Treccani; non sappiamo se Ferruccio de Bortoli abbia conservato l’arredamento o abbia sostituito i grossi volumi rilegati con un più moderno link al portale Treccani.it, ma consigliamo affettuosamente ai responsabili della gloriosa testata milanese di avviare un programma di sostegno ai loro redattori. Materia: “cultura generale”, con un modulo aggiuntivo “ricerche on line”.

La necessità di tale intervento si è palesata in tutta la sua urgenza il 26 febbraio quando Pigi Doppiomento Battista ha registrato una puntata della sua rubrica Il sorpasso per Corriere-Tv dedicata al processo Mills (l’avvocato inglese di Silvio B.). Seduto in una poltroncina palesemente inadatta alla sua mole, Pigi Doppiomento esordiva dicendo che “avremmo tutti dovuto laurearci in giurisprudenza per capire cosa succede nella politica italiana” e ha poi continuato dicendo che sempre di più “bisogna scendere in tecnicismi, dettagli molto specializzati di quello che sono i processi…”

I 60 anni di Filmcritica (II)

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[Ricorrono i 6o anni della rivista «Filmcritica», per chi voglia abbonarsi il modulo si trova qui. DP]

Sulla rivista si sono alternate figure di scrittori (di nuovo: non a caso non si dice critici cinematografici), assolutamente atipici rispetto al parlar di cinema in Italia. Una di queste era Giuseppe Turroni, pittore, studioso di fotografia, critico,  forse il più acuto interprete di cinema americano che si sia letto nel nostro Paese.
La scelta cade su due interventi. Il primo, a pochi mesi dalla morte, vede Turroni cimentarsi, a margine del tradizionale appuntamento che la rivista dedica ai dieci migliori film dell’anno, con una riflessione teorica sul mestiere del critico (con in testa i suoi 10 migliori del 1989). Il testo è tratto dalla sezione Americana (a cura di L. Esposito), pp. 153-154.
Il secondo è una conversazione fra Turroni stesso e Alfred Hitchcock, all’inizio degli anni Settanta, in cui si vede bene come anche il concetto di intervista su Filmcritica vira prepotentemente in direzione letteraria. La conversazione sembra una battaglia fra titani, dove il più sorprendente è Turroni… La sezione di riferimento è intitolata Discorsi (a cura di L. Esposito e D. Turco), pp. 191-193.
(Lorenzo Esposito.)


1.

Il lavoro del critico
di Giuseppe Turroni
n. 391/392, gennaio 1989

L’impero del sole, di Steven Spielberg
Intrigo a Hollywood, di Blake Edwards
Frantic, di Roman Polanski
Monkey Shines, di George A. Romero
Danko, di Walter Hill
L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese
Come sono buoni i bianchi, di Marco Ferreri
Chi protegge il testimone, di Ridley Scott
Omicidio allo specchio, di Arthur Penn
Encore, di Paul Vecchiali

En amitié fidèle

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En amitié fidèle
Serata per Roland Barthes

La responsabilità dell’autore: Ferruccio Parazzoli

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi e Emanule Trevi, ecco le risposte di Ferruccio Parazzoli]


Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Se la vitalità nasce dal senso che si dà o che viene da quanto si fa e si pensa, nell’odierna società, annegata nel nichilismo di massa e nella ‘pappa del niente’, il pensiero, la decodificazione del caos e dell’assurdo da parte di chi pensa e ne scrive, è del tutto irrilevante. Ne deriva un inevitabile calo di vitalità, compresa qualla della narrativa.

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

No, l’editoria, ‘pallida madre’, fa solo il suo mestiere: prepara con grande professionalità la pappa giusta per i suoi bambini.

Flaiano feat Flaiano

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Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso.
Ennio Flaiano

Il 5 marzo 1910 nasceva Ennio Flaiano uno degli intellettuali più originali dello scorso secolo. La sua figura ha influenzato tutto l’immaginario italiano soprattutto per il contributo dato ad uno dei mezzi espressivi più importanti della contemporaneità ovvero il cinema, per cui ha firmato decine di sceneggiature, stringendo un rapporto particolare con grandi maestri come Antonioni e Fellini.

Al fine di ricordare l’attualità del pensiero di Flaiano il magazine da tavola Sugo gli ha dedicato tutto il nuovo numero di marzo (uscita il 12 marzo) intitolandolo “1910-2010 Un secolo di Flaiano e chiedendo a Boosta dei Subsonica di scrivere un articolo su questo tema che lui ha intitolato “La Stupidità ha fatto passi da gigante” e con un editoriale di Fabrizio Vespa dedicato allo sceneggiatore della Dolce Vita (foto storiche e massime del grande scrittore.)
Sugo è distribuito a Torino, Milano, Firenze, Bologna, Genova e Roma.

The death of Bunny Cave

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di Camilla Barone

 

 

 

 

 

Sex maniac, poi Death trip of a sex maniac e alla fine The death of Bunny Munro. Nick Cave, alla conferenza stampa di presentazione del suo nuovo romanzo, va dritto al punto, e mette subito in scena il non detto svelando, attraverso le metamorfosi che ha imposto al titolo nel tempo, quale sia il vero personaggio centrale il suo libro. La morte che attende il protagonista Bunny, annunciata sin dalle prime parole del romanzo, quella stessa feroce liberazione rivoluzionaria, misandrica e paradossalmente pop dello SCUM Manifesto di Valerie Solanas, e quella stessa che è episodicamente ossessiva nei vangeli di San Marco e che ispira, come ci racconta l’autore, la struttura del romanzo. La vita non è che è il rovescio di un’esistenza al limite, viene da dire guardando Nick Cave e a forza di intuire la tensione del suo mistero seduttivo: Vita-Nella-Morte come continua e irriverente marcatura di ciò che è assente, innervata dal gusto per un desiderio ironico e sprezzante.

E’ così che nasce il libro La morte di Bunny Munro, edito da Feltrinelli: dalla marcatura di ciò che non avrebbe dovuto essere.

Questo libro è un altro

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Roma, giovedì 4 marzo 2010, alle ore 20:00

al Beba do Samba
via de’ Messapi 8

http://www.bebadosamba.it/

ce livre est un autre

questo libro è un altro

:

gli autori di Prosa in prosa (Le Lettere, 2009) presentano il libro

visto attraverso letture di altri libri (francesi e inglesi: in traduzione italiana)

=

>>> Marco Giovenale, Andrea Raos, Michele Zaffarano <<<

(e, in absentia, Bortolotti, Broggi e Inglese)

Ad limine Artaud – (ancora in margine a scrittura ed etica)

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di Marco Rovelli

Oggi, 4 marzo 2010, sono passati 71 anni dalla morte di Antonin Artaud. 71 è il numero atomico del lutezio. Metallo bianco-argenteo il cui nome viene dall’antica Parigi. A Parigi Artaud frequenta i surrealisti e li abbandona, a Parigi gli viene diagnosticata la malattia mentale, a Parigi Antonin Artaud muore e nasce Antonin Nalpas.

(Al PAC di Milano, qualche anno fa). Artaud, messo in mostra. Il suo corpo-parola lo si vede, sta esposto moltiplicato come il volto di uno skizo-dio. Foto, disegni, sequenze di film proiettate insieme su schermi e su specchi, e la voce che urla: Artaud aggetta da ogni-dove, la sua immagine riprodotta-riflessa-tracciata ti osserva, e non è mai la stessa. Come nella Visio dei di Cusano, solo che qui l’Origine è ovunque, l’Infinito è tutto qui, ed è sempre lo stesso che ritorna eternamente.

Correre

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di Gianni Biondillo

Jean Echenoz, Correre, Adelphi, 148 pag., trad. di Giorgio Pinotti

Emil corre. Corre, continuamente, da ragazzo, da adulto, sempre e comunque. Emil conosce il secolo breve dalla parte sbagliata dell’Europa, conosce la Storia dal suo villaggio sperduto della Moravia: arrivano i nazisti, i tedeschi, è la seconda guerra mondiale; poi i sovietici, la cortina di ferro, la repubblica socialista di Cecoslovacchia. Ed Emil corre. Puro di sentimenti. Senza neppure uno stile, senza la grazia o l’eleganza di certi atleti molto più famosi di lui. Corre a perdifiato, resiste alla fatica, al dolore muscolare. Diventa il più veloce di tutti. Diventa Emil Zàpotek. Una leggenda del fondo mondiale.

Apocalissi quotidiane – a Monza

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GIOVEDì 04 MARZO ALLE ORE 21
presso il Teatro Binario 7 | via Turati 8, piazza Castello, Monza (di fianco alla stazione FS)

“APOCALISSI QUOTIDIANE”
Regie Gibson (USA), reading -prima assoluta-
Kaos One (MI), intervista e lectio magistralis –
+ MONZA POETRY SLAM: slammers vs rappers
Chiara Daino (GE), Adriano Padua (RG), Scarty (MB), Sparajurij Lab (TO), Vaitea (MI)

è un evento di Poesiapresente

Questo evento sarà una serata di ordinaria apocalisse.
L’idea di porre a confronto i mondi del poetry slam e del rap si è sviluppata partendo da “IncastRImetrici vol. 2” (Arcipelago Edizioni, Milano 2010) a cura di Marco Borroni, antologia sui linguaggi metropolitani che accosta e analizza questi due fenomeni artistico-letterari.

La new wave della poesia italiana

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Milano, giovedì 4 marzo 2010, ore 21:00

Casa della poesia, Palazzina Liberty

[ Largo Marinai d’Italia ]

presentazione di

Poesia Contemporanea
Decimo Quaderno Italiano

a cura di Franco Buffoni
Marcos y Marcos, febbraio 2010

Servi al Teatro della Cooperativa

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dal 3 al 14 marzo 2010 – prima milanese
Teatro della Cooperativa
con il sostegno di Lunatica
Si ringrazia l’Assessorato alla Cultura di Pontremoli

SERVI
di Marco Rovelli e Renato Sarti
Con Marco Rovelli, Mohamed Ba
Musiche in scena di Marco Rovelli (chitarra e voce), Lara Vecoli (violoncello) e Davide Giromini (tastiere e fisarmonica)
Regia Renato Sarti

T.R.S.T me!

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(Trieste vista dalla Luna)


di
Azra Nuhefendic

Essendo la più piccola mi toccava sempre fare lo «schvabo», come chiamavamo i tedeschi, i nostri peggiori nemici, nell’immediato dopoguerra. Il ruolo dei partigiani lo giocavano i bambini più grandicelli, quelli di sette, otto anni. Era scontato che i partigiani dovevano vincere sempre. Quando i «partigiani» si stancavano di vincere, si giocava a intonare canti rivoluzionari; o a gridare vari slogan che per un bambino di cinque, sei anni non avevano alcun significato. Me ne ricordo due in particolare: «Zona A, Zona B, bice nase obadvje» (Zona A, Zona B, sarete nostre, oh sì) e «Trst je nas», Trieste è nostra. Quest’ultimo mi è rimasto impresso più a lungo nella memoria. Di certo per ragioni né ideologiche né politiche. All’età di cinque anni non avevo idea di cosa volesse dire «Trst», e nemmeno capivo perché era «nostra». Ma mi divertiva un sacco pronunciare tutte quelle consonanti con la bocca piena di latte in polvere. Mentre scandivo le lettere T R S T, dalla mia bocca uscivano delle nuvole bianche che coprivano non solo la mia faccia ma anche quella di coloro che mi stavano vicino.
Il latte in polvere, americano, lo mangiavamo a merenda, prendendolo con una mano direttamente dalla busta. Ci arrivava assieme agli aiuti umanitari – operazione Unra. C’era anche il chaddar cheese, un formaggio giallognolo ed elastico come la gomma. Erano anni di povertà collettiva. Ma a nessuno importava niente, perché ci veniva promesso un futuro bello, radioso, ricco e pieno di giustizia e di uguaglianza.

Danilo De Marco: LA COMUNE DI OAXACA

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Testi di Carlos Montemayor e Erri De Luca

Ninfa (nonna)

Felipe (rettore dell’università)

La responsabilità dell’autore: Emanuele Trevi

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek, Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, e Giulio Mozzi, seguono le risposte di Emanuele Trevi]

1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Secondo me, quando non si vede nulla all’orizzonte, il problema sta più nel proprio apparato percettivo che nella situazione esterna. Ogni volta che ci si interroga sullo «stato della nostra letteratura contemporanea» mi viene da pensare alla più imprendibile ed ambigua delle categorie, quella del presente. Ricordate l’inizio della Certosa di Parma ? Fabrizio, l’eroe di Stendhal, è ancora un adolescente, ma vuole misurarsi con la Storia, o con la Vita Vera, e parte per Waterloo, arrivando in tempo per prendere parte alla battaglia. La sua massima ambizione è vedere Napoleone. Ma i cavalli, col procedere della giornata, hanno sollevato un tale polverone che non è più possibile vedere nulla. A un certo punto, in realtà, Fabrizio ha una fuggitiva visione: il pennacchio degli elmi di una pattuglia di dragoni al galoppo. La scorta dell’Imperatore in fuga ? Chi lo sa. Ecco, questo è il presente: un polverone nel quale, per il fatto stesso di esserci immersi, non vediamo praticamente nulla. I miei fuggitivi «dragoni», per stare alla metafora di Stendhal, sono parecchi. Con alcuni ho condiviso molta strada, per altri si è trattato di un incontro momentaneo, con altri ancora si sono verificate rotture più o meno dolorose. Mi sembra che quei critici che citate, i quali «denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea», ammesso che esistano e non siano una figura retorica, siano semplicemente degli sfaccendati privi del coraggio di buttarsi nella zuffa.

LUNGO VIAGGIO DALL’OSCURITA’ – per Carlos Montemayor

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di Danilo De Marco

O probabilmente ci troviamo dentro la pagina bianca del suo viaggio/là alza le braccia e ci chiama/ siamo parte di quella festa che non finisce/ parte di quel lungo viaggio che/ continua a cercare e accogliere ciascuno di noi./ Lo scorgo laggiù, lontano./ Alzo la mano per salutarlo./ Pur sapendo che viaggia fra di noi.
Con queste parole Carlos Montemayor ricordava Tito Maniacco meno di un mese fa, mentre lui stesso era gravemente malato di cancro allo stomaco.
Quando mi presentai a casa sua nel 1996 a Citta del Messico, non servirono molte parole. Carlos Montemayor mi accolse come gli uomini accolgono gli uomini.
Raramente ho incontrato un uomo, un grande intellettuale, un poeta, uno scrittore più umile di Carlos Montemayor. Umile nel senso etimologico della parola,

Primo marzo : sciopero dei migranti!

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Opera di André Kertész
Per informazioni vedi le Pagine Corsare a cura di Angela Molteni

carta st[r]amp[al]ata n.6

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di Fabrizio Tonello

Al Capone? Un chierichetto. Bonnie e Clyde? Due dilettanti. I film di Quentin Tarantino? D’ora in poi li trasmetteranno nei programmi per bambini, al posto di Melevisione. Sì, perché la realtà supera di molte lunghezze la fantasia: secondo la Repubblica di giovedì scorso, negli Stati Uniti ci sono stati, dal 1 gennaio al 24 febbraio di quest’anno, 16.354 omicidi con arma da fuoco (più strangolamenti, accoltellamenti, botte in testa, annegamenti nella vasca da bagno e altro arsenico e vecchi merletti).

Mamma mia!

I 60 anni di Filmcritica (I)

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[Ricorrono i 6o anni della rivista «Filmcritica», per chi voglia abbonarsi il modulo si trova qui. DP]

Esce per Le Mani di Genova un’antologia sui sessantanni della rivista Filmcritica, dal titolo Senso come rischio (a cura di A. Cappabianca, L. Esposito, B. Roberti, D. Turco, prefazione di E. Bruno). Nata nel 1950, fondata e diretta fino a oggi da Edoardo Bruno, Filmcritica ha sempre costituito un unicum all’interno della storia culturale d’Italia. Ancor prima e forse più dei Cahiers du cinéma, poi ampiamente appoggiati dalla rivista, si è posta la questione filosofica del rapporto fra immagine e parola, fra l’occasione del film e l’onda anomala del cinema. Quasi mai interessata a informare (e completamente disinteressata a stroncare), si è occupata e si occupa delle sole opere che – tendenziosamente (spesso in contro-tendenza) – rientrassero, cortocircuitandolo, nel rapporto poetico e politico prescelto (e non solo i  film).
Per tutti questi motivi, fin dall’inizio, idealmente tra i fondatori, e poi via via autentico nume tutelare, fu Roberto Rossellini, la cui opera, che a un certo punto rivendica il superamento del cinema in quanto tale, si organizza attorno a un progetto didattico obliquo e ubiquo, capace di occuparsi in un solo colpo di tutta la Storia e di tutta la storia delle immagini. La rivista, molto vicina a questo tentativo, non ha mai smesso di darne conto e di discuterlo. Il testo antologizzato mostra bene il metodo di lavoro rosselliniano, attraverso la sua introduzione per un film, rimasto inedito, sulla vita di Karl Marx e un estratto dalla sceneggiatura, con la famosa scena del bricco di caffè, pensata da Rossellini per spiegare il rapporto fra Marx e Engels.
Il pezzo è tratto dalla prima sezione dell’antologia: Rossellini/Ancora (a cura di D. Turco), pp. 12-15.
(Lorenzo Esposito)

Introduzione al Marx
Roberto Rossellini
n. 289/290, dicembre 1978

Il marxismo ha diviso il mondo in due.
Una parte di esso considera Karl Marx la guida che condurrà l’umanità verso un avvenire migliore; l’altra parte, un demone, il nemico della civiltà. Gli uni lo considerano il genio ed il campione del riscatto e della libertà; gli altri uno schiavista, un tiranno liberticida.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona: la damigella di Shalott

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di Antonio Sparzani

(qui un’altra esecuzione un po’ meno incompleta nel testo)

Perfino l’anonimo autore del Novellino, noto anche come Le Cento novelle antiche, ultimi anni del Duecento, ne aveva sentito parlare e cantare. Ne cantavano i trovatori medioevali, ne scrivevano le storie di Chrétien de Troyes e dei vari narratori del ciclo bretone; è la sfortunata damigella di Shalott: un castello su un’isola non lontana da Camelot (qui la storica illustrazione del Doré di Camelot):

Le strane cose di Raul Montanari

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di Mauro Baldrati

Esistono dei romanzi che seguono un percorso apparentemente obbligato, che neanche l’autore – talvolta identificabile col conduttore di una diligenza lanciata lungo un itinerario da lui stesso stabilito – riesce a modificare. Vanno avanti per i fatti loro, perché così sono stati iniziati, indirizzati. I motivi posso essere diversi: certe caratterizzazioni di personaggi molto forti, più forti del loro creatore, che vede ridursi sempre più i margini di manovra sulle loro vite e i loro destini; trappole morali, o etiche, o ideologiche, per cui alcune “sterzate” risultano impossibili senza cadute nei sentimenti bassi. Sono i cosiddetti romanzi pericolosi, perché l’autore rischia di ridursi a un semplice portavoce, ostaggio delle regole che lui stesso ha applicato alla storia e ai personaggi, scegliendo quel determinato impianto, quella struttura o sovrastruttura.