
di Mario de Santis
Non è questa la forma dello spazio / qui le verticali sono chiuse: sono due versi chiave del percorso che Bruno Galluccio ha raccolto nel suo primo libro, Verticali (Einaudi, 2009). Di formazione e per mestiere fisico impegnato nell’industria spaziale e assieme attivo come piccolo editore di poesia, Galluccio costruisce un libro che, in diversi tempi, muove dal lirico e dall’influenza del pensiero scientifico per avviare una ricerca di senso alla luce della crisi di entrambe le forme del pensare. La luce massacra l’ombra / del lato rovescio del pensiero. Il pensiero e il suo rovescio da subito in Galluccio sono dualità che non è però dualismo. Dalla matematica arriva un sostrato di immagini, concetti, metafore. Il pensiero razionale è emblema di una scelta di visione: esercizio lungimirante / fare calcoli sulle parti”, ma presto “impariamo che non possiamo sommarci subito. Difficile la riduzione dell’esistere a una formula. La somma che dall’Io va al noi (l’universale a cui tendeva anche l’assoluto io della lirica) è invece nella costruzione di un linguaggio che muove dalla scomposizione dell’esperienza del conoscere: versare sguardi nel cielo improvviso / con la domanda ancora incompleta.








Provai altre volte durante quel mese di agosto a incontrare l’uomo veloce, altri sabati mattina, altre domeniche, mi piazzavo all’ingresso del paese, dove soleva passar lui, salutavo le macchine, e speravo: ora spunta, ora arriva. Cosa ci fai che ora passa?




Era ormai di spalle. Mi era passato davanti e l’avevo guardato come si guardano i turisti, abbassando il capo in saluto. Era estate, l’uomo veloce portava pantaloncini corti e maglietta, scarpe da ginnastica, un cappellino chiaro. Un turista qualsiasi, le 11, circa, di un mattino neanche troppo caldo: il sole aveva aggirato il costone e cominciava a esercitarsi sugli asfalti e gli intonaci del vicolo.