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La croce in classe

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di Andrea Inglese

Una micro-riflessione sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo all’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche.

È indubbio che in Italia i temi che dovrebbero suscitare con urgenza passione e dibattito sono altri: l’incubo di Genova 2001 (piazza Alimonda, la scuola Diaz, la caserma di Bolzaneto) pare non finire mai, perché si muore nelle mani della polizia giovani o giovanissimi, come è successo a Federico Aldrovandi o a Stefano Cucchi; la criminalità organizzata gode di ottima salute sia nel Sud, al ritmo degli ammazzamenti in pieno giorno, sia al Nord, al ritmo delle infiltrazioni nei tessuti imprenditoriali e amministrativi delle regioni immaginate più laboriose ed efficienti; la libertà d’informazione è pesantemente condizionata da un uomo solo, intorno al cui destino politico ruota ogni energia cerebrale dei giornalisti e degli opinionisti italiani, sia per leccargli il culo sia per indebolirne l’immagine onnipresente; giovanissimi, giovani, meno giovani, uomini e donne di ogni età danno di matto per tenersi stretto il lavoro che hanno, anche quando è demenziale e umiliante, o danno di matto per trovarlo un lavoro, anche se demenziale e umiliante.

Tutto questo lo viviamo quotidianamente sulla nostra pelle.

Perché allora spendere ulteriori energie su una faccenda che a confronto con quelle sunnominate pare risibile?

Pop Polar – Canio Loguercio

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Ho chiesto a Canio di inaugurare questa sezione di Immateriali in cui tentare una cartografia del Pop attraverso esiti diversi dalla pura esecuzione di opere legate all’immaginario di una comunità (la comunità immaginata). Produzioni che contengano alcune risposte possibili all’emergenza del Pop contro le derive della Cultura di Massa. effeffe

Nota bassa
di
Canio Loguercio

Spesso dico che il napoletano è la sacra madrelingua delle passioni e, in effetti, credo che nella canzone napoletana si possano riscontrare altissimi esempi di ‘sacralità’ e sintesi espressive di rara efficacia.. Molti miei pezzi, tra l’altro, riprendono proprio versi e spunti di canzoni classiche napoletane. Provo a confrontarmi con loro.. o meglio.. a ricostruire un racconto a partire proprio dalle forti emozioni che queste canzoni sono in grado di trasmettere.
Non credo di essere un cantante così come lo si intende normalmente. Spesso faccio fatica a trovare la voce giusta per dare corpo sonoro a melodie costruite per lo più sul filo del parlato, a volte appena abbozzate e più che altro sussurrate. Mi considero un artigiano.

La frontiera dei diritti e il diritto della frontiera

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a cura di Antonio Sparzani
immigrati-lampedusa
Nei giorni 11-12 set- tembre 2009 Magi- stratura Democratica ha organizzato a Lampedusa un convegno dal titolo: LA FRONTIERA DEI DIRITTI IL DIRITTO DELLA FRONTIERA, il cui documento finale può essere scaricato da qui

Riporto qui alcuni stralci, virgolettati, di dichiarazioni di partecipanti al convegno, raccolti da Chiara Avesani e pubblicati su Peace Reporter n. 10, ottobre 2009.

Armando Spataro, Procuratore aggiunto a Milano e membro dell’Anm:
«L’ipotesi che gli immigrati respinti possono richiedere in Libia l’asilo politico è una forma di ipocrisia. In Libia c’è un regime che palesemente non rispetta i diritti civili ed internazionali.

Cinque brevi

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di Emanuele Kraushaar

La palla

La cosa che più mi riusciva fare nella vita era la palla.
Mia moglie l’ho conquistata così. Attorcigliandomi su me stesso, con la testa attaccata al sedere e rotolandomi per la strada, veloce e senza sbavature.
Luminoso.
Ero così quando facevo la palla.
Mia moglie mi chiedeva sempre di fare la palla, quando stavamo in giardino e giocavamo con la nostra cagnolina Lisistrata.

CALPESTARE L’OBLIO

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CALPESTARE L’OBLIO

Antologia a cura di Davide Nota

Trenta poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana

Con una introduzione dello storico Luigi-Alberto Sanchi

Per leggere i testi:

http://www.lagru.org/index.php?option=com_content&task=view&id=103

Livio Borriello legge Franco Arminio

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Arminio all’inizio e alla fine della neve.
di
Livio Borriello

La scrittura di Franco Arminio, quella miscela di levità e tetraggine, di impalpabile quanto irresistibile humour e di avvelenato disfacimento, di olimpica serenità linguistica e incoerenza etica che definiscono il suo segno caratteristico, è tutta giocata su un movimento fondamentale: quello che ribalta la sua paura della morte in presenza del corpo, in ansia o meglio smania di vita, in un narcisismo esasperato e spesso disperato che sembra costantemente dire: io ancora esisto. Per ragioni genetiche, psicologiche e culturali, la mente di Arminio è affetta da questa strana caratteristica: al di là della vicenda di apparenze e persistenze che è la vita, essa vede sempre nitidamente, implacabilmente, insanabilmente davanti a sé, l’abisso vuoto del non essere, l’orlo del precipizio verso cui – chi può negarlo – i nostri atti sono precisamente indirizzati.

Canto del turismo e del comunismo

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[è con vero piacere che pubblico questo inedito che Giuliano Scabia, sotto consiglio di Marco Belpoliti, ha deciso di regalarci. G.B.]

di Giuliano Scabia

1.
Nuvole, freddo, rotolio
del vento che porta da Nord
del comunismo i sogni, gli incubi
e la catastrofe – e quei grandi poeti
Majakovski Picasso Eizenstein Lissitzski
Eluard Breton Neruda Pasolini
comunisti
che faranno? A Praga
è autunno – sono sulla Montagna Bianca
e vedo che ancora imperversa la battaglia
fra hussiti e papisti – e intorno, redivivi,
gli eserciti delle guerre di religione
e di Napoleone, del Terzo Reich, l’Armata Rossa
là nella valle (nella fossa)
ancora (loro credono) stanno combattendo.

Cercatori d’oro in Lombardia

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Gruppetti di pensionati che si incontrano, nei fine settimana, sul Ticino, sull’Elvo, sull’Orco. Anni di fatica per raccogliere i pochi grammi di materiale rimasto. E il sogno di una grande alluvione. Ecco cosa rimane, oggi, della prima (e unica) corsa all’oro italiana.

testo di Thomas Pololi, foto di Giovanni Hänninen

Giuliano Mesa alla Camera Verde

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Roma – Giovedì 5 novembre 2009
alle ore 19.30

il Centro Culturale
LA CAMERA VERDE
via Giovanni Miani 20, 20/a, 20/b
00154 Roma

presenta

FUGA TRIPLA di Giuliano Mesa

Collana Locandine d’artista

Milano raccontata dal cinema

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agnese Milano films 1896-2009. La città raccontata dal cinema, Fratelli Frilli Editori

[Marco Palazzini e Mauro Raimondi hanno scritto un libro davvero particolare. Un libro sull’immagine di Milano nel cinema, dal 1896 fino ai giorni nostri.
Un ricchissimo album cinematografico composto da quasi cinquecento film di registi più o meno famosi a cui gli autori affiancano i moltissimi registi di quei “corti”, documentari e produzioni alternative che rivestono un ruolo fondamentale per spiegare l’attuale città.
Allego qui di seguito l’introduzione dei due autori e, subito dopo, la prefazione al volume di Tonino Curagi e Anna Gorio. G.B.]

Introduzione di Marco Palazzini e Mauro Raimondi

Disegnare una mappa di Milano attraverso i molti film che l’hanno portata sullo schermo: questo, era il punto di partenza. Senza rincorrere, ovviamente, l’inutile totalità delle varie location, ma per offrire uno spazio cittadino alla memoria di ognuno: un regalo, insomma, a tutti quelli che in questa Milano hanno vissuto e vivono.

Un piccolo bilancio di Nazione Indiana – 2

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di Jan Reister

Articolo amarcord d’occasione dato che Nazione Indiana ha compiuto sei anni e mezzo: qui ho parlato dellla prima fase del progetto, dal 2003 al 2005, ora proseguo nel bilancio dell’esperienza dei due anni successivi sotto il profilo tecnico/editoriale: la rinascita, l’uso più consapevole della rete ed un fatto di polizia.

Terra ! – Alessio Arena

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Una ferita nella terra ecco il mio quartiere
di
Alessio Arena

Da sopra al ponte la Sanità è come una grande gabbia, nel petto squarciato della città un cuore che ha subito infiniti trapianti e adesso si sbatte solo lui, come un’ anguilla il giorno di Natale. Attraverso le grate del ponte, come al di là di un filo spinato che separa i prigionieri dai sicari, ci vedi la capa a cucuzziello della chiesa di San Vincenzo, prigioniera pure lei, che da poco le hanno fatto una lavata di faccia ma mica si vede da qua sopra, no, da sopra al ponte il quartiere lo vedi come un buco enorme, una ferita nella terra con punti di sutura segnati qua e là dalle antenne paraboliche, dalle scale che salgono e scendono, dai balconi balconcini loggette terrazzi ripostigli e vinelle che si buttano una addosso a un’ altra. A un ragazzino della Sanità il prete direbbe che il guaio lo fecero i francesi, Murat che fece costruire quel ponte perché il re arrivasse alla sua reggia senza farsi tutta quella strada, la scalata dello Scudillo, in mezzo a tutta quella gente.

A Alda

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di Marco Rovelli

Sei anni fa finii per un caso, insieme ad altre due persone, nella casa sui Navigli di Alda Merini. Entrammo che lei stava guardando il quiz di Amadeus, come una persona “normale”, su una piccola poltrona nella sua sala congestionata di cose, quadri sculture mobilia varia et coetera. Un ambiente assai più congestionato di un magazzino. “Si sieda” mi disse, e io rimasi disorientato, chiedendomi Dove? – finché trovai uno sgabello infilato sotto un tavolo, e facendomi largo tra la “roba” lo estrassi e ne feci uso. Alda parlava dei suoi vecchi amori, e delle carnalità rimpiante. Poi mi offrì da fumare, io al tempo avevo smesso e dissi “Non fumo, grazie… però ho altri vizi”. Lei mi guardò e disse “Bravo, fa bene: beva, beva, beva”. E allora, Alda, un brindisi a te.

Ruderi del Tauro

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Si pubblica una scelta di poesie da: Enrico De Lea, Ruderi del Tauro, L’arcolaio, 2009.

Un cartello sulla galassia

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di Antonio Sparzani

Ho parlato giovedì scorso al Festival della Scienza di Genova, insieme al mio amico Gaspare, di questo tema. Abbiamo combinato una specie di dialogo tra noi. Nel pubblico c’era una folta rappresentanza di studenti liceali, di una scuola di Imperia, giovani con gli occhioni spalancati, pronti a trangugiare qualsiasi cosa venisse loro propinata da quei due prof cravattati, seduti dietro una cattedra della prestigiosa sala del minor consiglio del palazzo ducale. Non mi sono bene informato su cosa fosse esattamente quella sala, che ruolo ricoprisse ai tempi della gloriosa repubblica marinara, e cosa fosse questo “minor consiglio”, però è bella assai.

Appunti sulla scrittura del reale

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di Marco Rovelli

Ho cercato di ordinare qualche idea sulla natura della  scrittura “ibrida” che dà forma al mio Servi come a molti altri libri apparsi negli ultimi anni. “Reportage narrativo” è un sintagma ormai assodato, e in effetti ha  senso. A me piace però di più l’espressione “narrazione sociale”, dove la narrazione non è attributo ma sostanza, e trovo che sia più atta a dire la specificità di queste scritture. Anzitutto, una domanda genealogica: da dove questo proliferare di scritture ibride?
1. La nostra è l’epoca della “perdita dell’esperienza” – che poi altro non è se non una “trasformazione dell’esperienza”: sempre più mediata e filtrata nella misura della sua moltiplicazione ed eccedenza (eccedenza che tende alla superfluità), sempre più distante la relazione con l’oggetto nella misura della sua frammentazione e complessità, e nella misura dell’isolamento del soggetto. Insomma, c’è fame di esperienza.

Io, Marilyn Monroe, Shakespeare, Francis Bacon e la bellezza, dopo l’annuncio del grande onanista

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di Massimo Rizzante

Vorrei sapere chi è stato a un certo punto della Storia, sul finire del XX secolo, a decretare che “Happy days”, la serie televisiva americana degli anni Settanta, ci abbia formato nella nostra adolescenza più della lettura, a volte faticosa, a volte verticale, dei romanzi di Dostoevskij, o a stabilire che una ballad dei Pink Floyd, grazie alla quale i nostri desideri immaturi si accendevano per qualche minuto come falò benigni in mezzo alle sparatorie del Belpaese della Politica, abbia avuto allora lo stesso peso della nostra lettura di una tragedia di Shakespeare…

Nessuna pietà per i corpi

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di Giorgio Fontana

Fra il 16 e il 22 ottobre scorsi, il corpo di Stefano Cucchi scompare. La sua identità è sempre intatta — 31 anni, arrestato la notte del 15 ottobre per possesso di stupefacenti — ma la vista del suo corpo è negata alla famiglia e a chiunque altro. Il padre, la madre e la sorella lo vedono per l’ultima volta in Tribunale, il 16 ottobre, alle nove di mattina. Notano già le ecchimosi sul volto. Di lì in poi, scompare. Il 22 ottobre viene recapitata ai parenti la notizia da parte dell’ospedale Regina Coeli: Stefano Cucchi è morto.
Lui diceva di essere “caduto dalle scale”. La procura di Roma indaga per omicidio preterintenzionale da parte di chi l’ha avuto in custodia e, verosimilmente, l’ha ammazzato di botte.
Le foto — e ha ragione Adriano Sofri quando dice che nessuno può permettersi di parlare di Cucchi senza averle viste — sono qui. E sono agghiaccianti.

Quanto alla verità sull’accaduto, non resta che attendere l’esito delle indagini. Ma sull’implausibilità di tesi insabbiatrici, basta già leggere questo articolo.
Tutto getta una luce orribile sulla presunta sicurezza in cui siamo avvolti, sul presunto grado di garanzia di una fetta delle forze dell’ordine, sulla cultura che ha informato tale fetta — e vi invito a leggere il bel pezzo di Marco Mancassola al riguardo.

Ma c’è dell’altro.

Quanto costano le fotografie di Stefano Cucchi

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di Piero Sorrentino

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Può darsi che le foto di Stefano Cucchi da morto servano a dare a quel giovane la giustizia che non ha avuto da vivo. Quegli scatti atroci che annodano le viscere in un pugno stretto sotto la pelle dello stomaco hanno fatto il giro della Rete, dei quotidiani e delle televisioni. Come per l’omicidio di Neda, la giovane iraniana uccisa nel corso di una manifestazione contro il regime, quelle immagini hanno smosso sentimenti e coscienze, facendo alzare alte le grida di chi non riesce a guardarle senza un moto di pietà, o un sussulto di umanità, di dolore, un brivido di fronte a quelle ossa rotte, quella carne tumefatta.
Ma quelle foto (la loro diffusione pubblica) sono un errore, oltre che un orrore. E non è tanto il contenuto delle immagini a caricare di pericolo la pubblicazione di quegli scatti. Non siamo solamente al cospetto di una fotografia terribile che fa deviare gli occhi dallo schermo, o fa coprire gli occhi dei nostri figli qualora si trovassero a transitare nei dintorni mentre le stiamo guardando. Siamo in presenza di una modalità comunicativa che fa del “vedere tutto” un pericoloso precedente.

La poesia nera di Alan D. Altieri

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di Mauro Baldrati

Per parlare dell’ultimo libro di Alan D. Altieri, Hellgate (Tea, 2009), bisogna fare una riflessione sulla violenza e la sua rappresentazione. La violenza è ormai parte del nostro quotidiano, esce con enfasi e autocompiacimento dai telegiornali, che sono zeppi di cronaca nera che viaggia sui particolari macabri, sulla violenza verbale degli aggettivi (massacro, strage, sgozzato, ecc), e si basa su un presunto voyeurismo dark del pubblico al quale fornisce nutrimento. La violenza rappresentata dalla televisione, e con altri stili dai giornali, è brutta, volgare, perché deriva dal tentativo di spettacolarizzare il dolore che sta dietro gli atti criminali, spesso causati da un livello intollerabile di aggressività. Cerca di spettacolarizzarlo attraverso la sua riproduzione, la moltiplicazione, restando così dentro la violenza, senza neutralizzarla né superarla.