di Stefano Gallerani
Poco più che adolescente non trovai di meglio, per costringere mio padre a lasciarmi andar via da quella piccola città, che convincerlo della mia vocazione al sacerdozio. Sul momento, la mia risoluzione non ebbe che l’effetto di scatenare il suo disappunto: pareva volesse strapparmi dall’anima un segreto. A me!, che quell’anima volevo (o dicevo di volere) votare a uno scopo ben maggiore che non fossero gli angusti confini del nostro paesino. Ma niente, lui voleva ugualmente strappare quel germoglio maligno. A sua discolpa, un residuo di obiettività mi impone di precisare alcuni aspetti della mia indole filiale: certe volte riuscivo davvero a essere orribilmente meschino, il che sarebbe stato, però, veramente abietto da parte mia se solo l’abiezione della mia crudeltà, come d’altronde la sporadica magnificenza della mia bontà, non fossero stranamente prive di peso. Non vere. Finte. Irreali (in quanto embrione mi dichiaro innocente sia nella virtù che nel peccato).













