di Rinaldo Censi
Renverser les expériences et exposer une plaque ou un papier chloruré, ioduré et dans une solution d’un sel d’argent pour obtenir l’effet in statu nascendi.
(August Strindberg, Extrait de notes scientifiques et philosophiques, 1896)
Non ho mai visto un’ape morire. Ho dovuto aspettare la seconda parte di Morte all’orecchio di Van Gogh (1968) per accorgermi dello strazio concentrato in un battito d’ali. Come se un grido impossibile trovasse la sua forma di emersione nel movimento convulso di questo imenottero moribondo, nella vibrazione incontrollata di due sottili membrane diafane. Ma a chi può interessare la morte di un’ape? E se in questa via crucis per entomologi si nascondesse qualcosa di profondo, e insieme sfuggente? La morte di un’ape può forse tracciare i bordi di un universo a noi precluso, rendendo evidente – nella sua violenza – un aspetto cruciale della nostra vita. Noi siamo i detentori di un sapere sfuggente, i gradi di realtà sono molteplici. Proprio per questo di un’ape possiamo comprendere solo in parte l’agonia. Sarebbero necessari gli ultrasuoni per cogliere il suo lamento, la cui frequenza resta a noi sconosciuta. Ed è possibile che il nostro olfatto sia così poco sviluppato da non riconoscere la scia di morte che ha lasciato sulle foglie?







di Vito Chiaramonte

