di Stefano Gallerani
È l’imbecillità realista che non si ferma a dirsi che niente, per quanto una mano possa sprofondare nelle viscere del mondo, vi sarà mai nascosto, perché un’altra mano ve lo può raggiungere, e che ciò che è nascosto altro non è mai che ciò che manca al suo posto, come si esprime la scheda di ricerca di un volume quando è smarrito nella biblioteca.
(Jacques Lacan, Il seminario su La lettera rubata)
Tanto per restare all’attualità, almeno in abbrivio, la fiaccola ancora arde: in poche settimane è passata dalle mani di “Allegoria” a quelle dello “Specchio” spargendo faville un po’ dappertutto, dimodoché il suo bagliore, quel tenue riverbero di polemica, ha continuato a brillare qua e là tra le aule dei convegni e il web (soprattutto su “Nazione Indiana”), tra le terze pagine dei quotidiani e le chiacchiere da salotto. Per non peccare d’ignavia, ognuno ha acceso il suo fuocherello e intorno alle fiamme ci si è ritrovati a discutere il tema del giorno: il Ritorno alla Realtà in letteratura – o, preferibilmente, il Ritorno della Realtà; ovvero ancora, come recita l’intestazione di un libro del critico d’arte statunitense Hal Foster – citato in proposito da Andrea Cortellessa -, il Ritorno del Reale.







[ecco un bel libro di critica musicale. Io normalmente non li sopporto, tutti presi a parlare delle parole delle canzoni, dimentichi che una canzone è soprattutto la sua melodia, le scelte sonore, ritimiche, armoniche, gli arrangiamenti, gli esecutori, etc. ché magari ricordiamo pure un verso di una canzone, ma se ce lo ricordiamo è perché lo sappiamo cantare (abbiamo finto di masticare l’inglese per decenni, senza sapere cosa dicevamo, ma che cosa cantavamo ne siamo certi). Tra l’altro io non amo Mogol, il Battisti che preferisco è



[E’ stato finalmente ristampato, dalle edizioni Shake, il romanzo-memoire-diario-saggio,
di Giacomo Sartori