di Giovanni Catelli

Verso Karlštejn
Vorrei partire, una sera della vita, verso Karlštejn.
Il locale mi aspetta, sempre, al primo binario di Hlavní Nádraží, alle diciassette e venticinque: entra in stazione, lentissimo, si arresta come in sogno, accanto al marciapiede basso degli anni lontani, apre le sue porte, ormai elettriche, sui neon fiochi, le plastiche usate, azzurrine, l’aria speciale dei vagoni deserti, concessi dal tempo a giorni remoti, e mai più ritornati al presente.
A volte passeggio, lungo il binario, aspetto viaggiatori che non giungono, impiegati, studenti che s’abbracciano prima del partire, controllori sospettosi, macchinisti che fumano all’ora perduta, guardo sul muro l’elenco dei ferrovieri caduti, contro il lavoro, contro l’invasore, arrivo alla fine della volta d’acciaio, già si respira un’aria di fuga, vedo i palazzi, la città che sale, forse la vita lontana, che guarda, tra i ferri e i binari, chi ancora la insegue, s’attarda, e non sa, quale via gli condoni l’attesa e la pena.