di Franz Krauspenhaar
Gira a sinistra e poi vai a destra, frena,
e avanti bello spedito e all’incrocio
fermati; e poi vai ancora, sali prudente,
e attento, e vai, e spingi, e accelera.
di Franz Krauspenhaar
Gira a sinistra e poi vai a destra, frena,
e avanti bello spedito e all’incrocio
fermati; e poi vai ancora, sali prudente,
e attento, e vai, e spingi, e accelera.
nota di Gianni Biondillo
Denis (il gestore di questo blog) mi ha appena riferito, via MSN, un fatticello assai curioso, ma per nulla nuovo dell’atteggiamento che la carta stampata ancora ha quando “usa” il vasto serbatoio di internet. E’, questo argomento, molto caro anche a Georgia, e quindi so che apprezzerebbe.
Per farla breve, su Il riformista, Luca Mastrantonio ha testè pubblicato un divertito articolo dove sbertuccia Veltroni e la sua mania a introdurre ad ogni pie’ sospinto tomi e tomi. (Denis me l’ha fatto leggere qui).
Cosa che Christian Raimo ci ha fatto notare a suo tempo, nel suo divertente quiz editoriale pubblicato qui e poi commentato qui.
Ma di Raimo, nell’articolo di Mastrantonio, neppure l’ombra. Solo un generico “Da giorni gira per internet, con successo di pubblico (…) un quiz bibliografico.”
Bene. Questa è la stampa italiana. Questo è il paese dove vivo.
Ormai è chiaro: devo in stretto giro di posta mettere a punto per la mia vita un piano B.
di Christian Raimo

Buttiamola là: Roma ore 11 è lo spettacolo teatrale dell’anno. Forse non sarà quello più sconvolgente, né la messa in scena più mirabolante, né la prova d’attore più virtuosistica, però è lo spettacolo che può fare da modello per quello che vuol dire oggi in Italia cercare di metter su un progetto indipendente.
(Pubblico un brano tratto da Ateo?:altroché!, appena pubblicato in Italia per Ipermedium libri a cura di Domenico Pinto e Dario Borso. Il testo di Schmidt, che ha l’autonomia di un pamphlet sulfureo, apparve per la prima volta nel 1957 in un volume curato da Karlheinz Deschner che raccoglieva i contributi di un’inchiesta intitolata Lei cosa pensa del Cristianesimo?)
di Arno Schmidt
Traduzione di Dario Borso e Domenico Pinto
6. Come altra serie di criteri: ha accresciuto il Cristianesimo, nel mondo, la somma del buono / vero / bello?
7. Del buono?: quanti riarmi, quante guerre, quante atroci crudeltà ha eliminato o almeno impedito il Cristianesimo?: al contrario! È stato ‹ragion sufficiente› di nuove, fino ad allora inaudite danze di spade, come le ‹Crociate›, la ‹Guerra dei Trent’anni› o gli ‹Albigesi› : allorquando i soldati stessi espressero la preoccupazione che con i ‹colpevoli› (= non cattolici!) potessero morire pure gli innocenti, il legato pontificio li tranquillizzò : «Uccideteli e basta! Il Signore riconoscerà certo i suoi!»: Popoli, ascoltate anche questi segnali !!
‹Tolleranza›?: la predicavano solo quando non erano più ‹al potere›! Fino ad allora valeva il ‹compelle intrare›, con il rogo come argomento supremo; ah, povero Giordano Bruno! Non ci si aspetti no che io parli con rispetto di un sistema che esercitò la censura contro Lessing: poiché considerava la resurrezione un’invenzione del giovane Cristo e tutte le religioni positive erano per lui parimenti dubbie! Un sistema che contempla ‹l’inferno eterno› come istituzione fondamentale – cos’altro è poi l’inferno cristiano se non un campo di concentramento, soprattutto per chi la pensa in maniera diversa? Ma si confronti solo l’orrendo Manuale dantesco per comandanti delle SS! – e non esclusivamente come teorica istituzione ultraterrena (su ciò si potrebbe pur sempre soprassedere con un’alzata di spalle); ma soprattutto come elemento integrante del ‹Regno dell’amore› di questo mondo, che rispunta di continuo come Inquisizione di tutti i tipi (anche i protestanti ce l’hanno fatta a bruciare eretici; ricordo solo Serveto o le persecuzioni inglesi dei cattolici sotto Carlo II.): in realtà ogni uomo perbene (secondo il mio modesto parere) un sistema del genere dovrebbe aborrirlo!

di Marco Lodoli
Gelate le pozzanghere al mattino
Quando insieme all’amico andavo a scuola
La sigaretta sua tra le mie labbra e il fumo
Del freddo e del tabacco a dare un corpo
Ai discorsi immensi della vita.
Il freddo ci rendeva più superbi,
parlavamo di cosa il mondo non era
di cosa non eravamo noi, del nostro futuro
e del ghiaccio appeso ai cornicioni.
Il MOSTRO DELLA PIANURA*
di
Nicola Corrado
La terra del sole e del pomodoro si affacciava sul mare e stendeva il suo corpo colorato e sinuoso dalle stelle del cielo fino alla luce del tramonto; intorno facce, sorrisi, pianti, note, pasta e pesce, vele e vento, e poi campi, chiese, vicoli, sapori, intelligenza e cattiveria, umanità.Qualcuno disse che lì un tempo splendeva la felicità grazie alle speranze e alle debolezze degli adulti.
Poi, non si sa come e quando, arrivò in quelle terre dopo un lungo viaggio il MOSTRO DELLA PIANURA: aveva mille mani e centomila occhi, e un cuore lungo 2 KM e largo 4 KM, mangiava le speranze, le debolezze e l’immondizia degli adulti.
Un giorno vennero i governanti chiamati dagli adulti per sconfiggere il MOSTRO, ognuno con una valigia piena di grandi discorsi e dentro parole cucite a mano per fare splendere di più la felicità.
Presentazione dei libri di poesia: I capitoli della commedia di Martino Baldi ed. Atelier e Libro dei Vivi di Stefano Massari Book Edizioni alla John Cabot University di Roma (Aula Magna) – via della Lungara 233 – il 4 febbraio, alle ore 19.30.
In tivù si parla dell’emergenza rifiuti in Campania. L’iconografia è quella solita, aprospettica e paratattica, in cui l’inviata sul posto sta al centro di una teoria di gente infuriata che espone cartelli rivolti contro il Presidente della Regione (“Bassolino vergogna!”), ed altri che invocano l’Uomo della Provvidenza (“Silvio pensaci tu!”). La lotta per accaparrarsi il microfono restituisce brandelli di frasi misti a insulti. D’un tratto una signora esasperata urla “Neanche nel Medioevo!”, indicando la montagna di spazzatura a fianco. Ha ragione. Il Medioevo ci ha lasciato esempi migliori.
di Antonio Sparzani
La storia di cui vorrei raccontarvi alcuni episodi corre su due rotaie, spesso parallele: l’una, quella della poesia e della letteratura, che continua a vedere l’etere come qualcosa di vago e misterioso, ma che in questa vaghezza trova la sua sottile bellezza, e l’altra, quella dei tentativi che ha messo in atto la scienza per cogliere finalmente, per serrare tra le tenaglie di una definizione precisa e quantitativa, questo inafferrabile elemento, che continuamente è stato congetturato esistere, ma che altrettanto continuamente è sfuggito ad ogni presa. Perché queste rotaie non sono poi soltanto due e non sono neppure tanto ben distinte: anche la filosofia e la medicina mescoleranno infatti i loro saperi nella trama, stranamente tenace, dell’etere.
Nei poemi omerici, punto cardine d’irradiazione della nostra cultura, l’etere è femminile, ή αιθήρ, (hē aithēr):
“…take another little piece o’ my heart babe / take’t take’t…”
La mia amica Marisa, nel corso di Letteratura Inglese per l’esame del primo anno, si innamorò del suo professore. E non fu un amore a distanza, cioè una di quelle infatuazioni che generano adorazione silenziosa e abbandoni sognanti, estasi e distrazioni dalla realtà – il suo fu un vero amore, perseguito in modo discreto e tenace finché aveva avuto senso, poi trasformato in un ricordo caro, e lui, il professore, Edoardo, in una guida intellettuale, in un punto di riferimento.
Comunque Marisa aveva una vera passione per Janis Joplin – e anche il suo professore. Perciò questa era una loro patria comune, come la poesia dei romantici inglesi, specie John Keats. Janis Joplin piaceva a Marisa perché era una creatura tenace e fragile, una vera contraddizione vivente. Non era bella, e non faceva nulla per diventarlo. Spesso saliva sul palco ubriaca, e fumava come un uomo. Aveva i capelli sempre arruffati. In genere sporchi. O mèzzi dell’appiccicosa umidità che rende micidiale certe città americane, New York per esempio, d’estate.
(Segnalo il brano iniziale di un articolo di Fernando Camon apparso su La Stampa del 27 gennaio 2008 e ripreso su Vibrisse bollettino lo stesso giorno. A questo sito rimando per la lettura integrale del testo. Spero che iniziative di questo genere si moltiplichino. A. I.)
Non è una parte della cultura d’Italia che combatte il razzismo, ma un nucleo centrale della letteratura pluricontinentale e plurisecolare
di Ferdinando Camon
I giovani scrittori, convenuti dalle Tre Venezie, cominciano a declamare ma non si sente nulla: non hanno un palco, non hanno un microfono, la folla rumoreggia, non s’ode una sillaba. Proteste, schiamazzi, sarcasmi. Un gruppetto di suonatori ecuadoregni smette di suonare e presta un microfono. Ci siamo. Lo spettacolo ha inizio. E dunque non solo il Nord-Est delle aziende, ma anche quello degli intellettuali, senza extracomunitari si paralizza. Siamo a Treviso, in Piazza dei Signori: quindici scrittori veneti son qui per leggere passi di grandi testi, dal Vangelo alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, contro il razzismo. (Continua a leggere qui.)
Spazi urbani in Italia, culture e trasformazioni dal dopoguerra a oggi
[Le città visibili è una raccolta di saggi di studiosi inglesi (o italiani che hanno studiato e lavorano in Gran Bretagna), che parla dell’Italia da vari punti di vista – architettura, storia, letteratura, cinema, società. Uno sguadro che, data la distanza, pare mettere meglio a fuoco la nostra nazione. Il libro è molto bello, forse troppo sbilanciato sull’asse Milano-Torino, ma con intuizioni lucide di vero interesse per tutti noi.
Ho chiesto a John Foot (uno dei due curatori, insieme a Robert Lumley) il piacere di pubblicare qui su NI l’introduzione del volume da poco edito da Il Saggiatore. G.B.]
di Robert Lumley e John Foot
La gente che s’incontra, se gli chiedi: – Per Pentesilea? – fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire: «Qui», oppure: «Più in là», o: «Tutt’in giro», o ancora: «Dalla parte opposta».
– La città – insisti a chiedere.
– Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine – ti rispondono alcuni, e altri: – Noi torniamo qui a dormire.
– Ma la città dove si vive? – chiedi.
(Italo Calvino)
Prima di descrivere Pentesilea a Kublai Khan, Marco Polo prevede quello che il suo ascoltatore si aspetterà di trovare all’ingresso della città: una cinta di mura, una porta, gabellieri; «Fino a che non l’hai raggiunta ne sei fuori; […] il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c’è un disegno che ti si rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli». Ma, continua, «se credi questo, sbagli». Pentesilea non ha né inizio né fine, non c’è distinzione tra dentro e fuori, e per questo non si sa quando ci si sta arrivando e quando invece la si sta lasciando.

Pasquale Panella al Circolo dei lettori: indiano a Torino seduto
Poesia (estratto)
di
Pasquale Panella
“C’era una volta” torna
in una mia torsione
eccetera… anche i capelli tornano
(quei gesti) scomposti dal pensiero…
il mondo esiste
per le coincidenze
tra gli avvenimenti
e i nostri segreti
nella violenza di una repressione
nelle urla, in una maglia strappata,
(e il corpo apparso pare avere fretta),
nello strazio e nell’uscita stranita
di una voce… avverto i tentativi
di riprodurre il nostro godimento
le mani addosso, le cariche, attentati
lo sfondamento, quella mescolanza
di forze dentro forze,
di ordine e disordine,
di bocche e di vestiti
e teste spinte sotto
dalla mano sopra
(come quando la polizia
fa entrare in macchina
i fermati)
(così io a te, tu a me…
noi, nostri sospettati)
da poema bianco (IriEd, Roma)
a cura di Tina Nastasi e Antonio Sparzani
![]()
[“Avrei molte altre cose da dirle, ma ci vorrebbero forse dei volumi e d’altra parte non saprei come esprimerle sentendo di avere un peso sulla testa o, come nella tragedia antica, un bue sulla lingua …” da una lettera di Hélène Metzger a George Sarton del 12 agosto 1942]
Oggi è la giornata della memoria di uno dei fatti più gravi cui gli europei hanno assistito nel Novecento, alcuni da atroci protagonisti attivi, altri da vittime, altri da spettatori più o meno impotenti: la persecuzione e lo sterminio di massa degli appartenenti al popolo ebraico (senza dimenticare che sorte simile ebbero altre non meno sfortunate categorie, comunisti, omosessuali, disabili, zingari, e via elencando). Data la mia (as) pluridecennale appartenenza al mondo universitario scientifico e la mia (tn) esperienza nel mondo della scuola, il modo, molto parziale ma non privo d’interesse, che vi proponiamo per mantenere la consapevolezza di quello che accadde e per ri-capirne le conseguenze nell’oggi, è ripercorrere brevemente le vicende italiane che riguardarono scuola e università e in particolare il mondo della matematica italiana – analogo discorso varrebbe del resto per la fisica (basti pensare a Enrico Fermi), la chimica, ecc. Vicende le cui conseguenze furono e anzi sono di lungo periodo, sia sotto il profilo della pesante perdita di formazione di alto livello (vedi gli interessanti e deprimenti documenti scaricabili qui) sia sotto quello della perdita di autonomia intellettuale da parte di chi è sottoposto all’Autorità.
Visto che non dobbiamo inventare nulla di nuovo, vi proponiamo qui alcune pagine [pp. 230-43] di un puntuale e documentato libro sull’argomento: Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi, Matematica in camicia nera – Il regime e gli scienziati, Bruno Mondatori 2005. Ci siamo limitati a qualche minimo intervento, e abbiamo lasciato la numerazione delle note come nell’originale. Segnaliamo poi specialmente il volume menzionato nella nota [13]. Ringraziamo molto gli autori che hanno dato il loro consenso a questa messa in rete. tn e as
Le leggi antisemite del 1938
Gli ebrei italiani del Regno di Piemonte e Sardegna avevano conquistato i diritti civili e politici nel 1848.

di Emanuele Giordano
La genesi di un atto di espressione è un processo di estrazione, uno spremere fuori. Niente viene estratto se non da una materia originariamente grezza. L’uomo di norma dà figure nuove a cose che ha sottomano. Allora fare un’opera è il far breccia di uomo verso se stesso. E’ esatto ciò che ci dice il Sohar: il libro è infisso, in fondo a una caverna, in una fessura nella roccia. E ci si è infissi anche noi. Si entra ora nel purgatoriale mare di fuoco, fretum febris avanti l’alba, nel tempo onirico prima del carnevale. Non c’è possibilità senza almeno all’inizio uno sprofondamento. Nondimeno nella misura in cui si ha il coraggio pavido di proseguire, i movimenti di sprofondamento e sotterramento fanno posto a movimenti laterali di slittamento, perché uno scrittore lavora con le parole e fa di queste degli eventi che sono come cristalli, diventano e crescono soltanto per i bordi, sui bordi. La lingua, quella vera, divenuta vera e fatta vera, contrariamente alla musica, sta – e oscilla e trema contemporaneamente. Sta in bilico.
NICOLA PONZIO
A Milano dal 5 febbraio al 3 marzo 2008
Via Santa Marta 15 (entrata da Via San Maurilio)
Inaugurazione: martedì 5 febbraio 2008 dalle ore 18.30
Le opere di Nicola Ponzio presentate nella Galleria milanese di Ermanno Tedeschi sono oggetti geometricamente definiti, rigorosi, ottenuti operando per sottrazione.

E tutto era partito da qui effeffe
Zum zum zum
(A.Amurri – B.Canfora)
Sarà capitato anche a voi
di avere una musica in testa
sentire una specie di orchestra
suonare suonare suonare suonare
zum zum zum zum zum zum
zum zum zum.
La canzone che mi passa per la testa
non so bene cosa sia
dove e quando l’ho sentita
di sicuro so soltanto che fa
zum zum zum zum zum zum
zum zum zum zum zum zum
zum zum zum zum zum zum
zum zum zum.
Ho mentito che t’amavo
Capiscimi
avrei voluto versarmi
sul tuo viso, sul tuo petto
come crema umana
invece la mia voce parlava
Avrei voluto tu fossi
fango, una melma
nella quale affondare
soffocando
Invece, restando in superficie,
ci dicevamo a parole l’amore
come due vacanzieri nuotando
(nell’acqua le bracciate
sono come all’asciutto
gli abbracci: ci fanno
galleggiare…Anche le gambe
tu a delfino io a rana,
e nella stessa acqua)
di Franz Krauspenhaar
Jose Ovejero è nato a Madrid e vive a Bruxelles. Uno scrittore ormai esperto (è nato nel 1958) che ha molto viaggiato, che ha preferito nutrirsi di culture diverse. Di professione giornalista e interprete, Ovejero ha vissuto a lungo in Germania, un paese che fa della tradizione il basamento indispensabile proprio di quei cambiamenti che sono diventati suo marchio di fabbrica onnicomprensivo. Mente aperta alle differenze, lo scrittore spagnolo ha viaggiato in tutto il mondo; quello del viaggio è carburante importantissimo per chi ha deciso di muovere i suoi passi nel mondo della letteratura narrando storie.