Cineromanzo (estratti)
di Valentino Ronchi
(…) l’esuberante voluminosità dell’apparenza. Molto da dire, molto da descrivere!
V.Jankélévitch, Il non-so-che e il quasi niente
I (Acqua e menta)
Ieri dei ragazzini alla spiaggia
guardavano i seni bianchi di Flaminia,
grandi sorretti chissà come
dalla schiena magra. Un paio di volte
son passati, a guardarli ancora
di nuovo. Se anche sapessero
del sesso preciso perfetto
e nascosto, del disegno completo
della fine della schiena. (Ora
Flaminia si alza in piedi e fra la gente
raggiunge l’acqua). Sono
La viltà e il silenzio
di Franco Arminio
Mi sveglio presto in questi giorni. È la testa che si mette a parlare e io non riesco a zittirla. Allora mi alzo, mi metto a scrivere, aspetto che arrivi l’ora per andare all’edicola. Porto con me il foglio dove raccolgo le firme per un petizione sui rifiuti (chi fosse interessato può guardare comunitaprovvisoria.wordpress.com). Parlo con disoccupati a oltranza, barbieri senza clienti, pensionati oziosi o avvizziti, architetti, geometri, impiegati comunali. Parlo, ascolto, mi lascio travolgere da cumuli di parole che si accatastano nelle nostre teste come i rifiuti si accatastano sui marciapiedi.
Il dovere di tacere
di Andrea Inglese
Dalla lettura delle pagine 2, 3 e 4 di Repubblica del 15 gennaio 2008 sulla vicenda della visita papale alla Sapienza, non sono i proclami di Gasparri o di Radio Vaticana a farmi uscire dai gangheri, ma la sottigliezza irreprensibile di Adriano Sofri o il “politicamente corretto” di Dario Fo. Certo, Sofri lascia cadere qualche mite allusione all’oltranzismo della chiesa e Fo esprime dei dubbi sull’applicazione equanime del diritto alla parola. Ma poi Fo non riesce a impedirsi di affermare: “Io sono pronto a farmi uccidere per garantire il diritto di parola a chi la pensa diversamente da me.” Io più modestamente avrei detto: “Se fossi abbastanza coraggioso, sarei pronto a farmi uccidere, pur che certi personaggi che hanno il monopolio della parola pubblica (giornalisti come Vespa o Ferrara, monarchi assoluti come Ratzinger, ecc.) tacessero almeno per qualche ora.” Qui, davvero, ancor più che il laicismo, è in gioco un’altra cosa, ancor più importante. L’uso schifoso che si fa del diritto di parola, come se ogni giorno non assistessimo ad una confisca totale della libera e critica espressione, e ad un’ininterrotta celebrazione dello zelo nei confronti di tutto quanto è potente, istituzionale, ricco, di successo.
El Boligrafo Boliviano 12

di Silvio Mignano
2 febbraio 2007
Il container delle nostre masserizie è ancora in viaggio, lo immagino perso nel vuoto dell’oceano, come quei minuscoli graffi schiumosi che si scorgono all’improvviso nel cobalto omogeneo guardando dal finestrino dell’aereo, e che a me piace figurarmi come balene – ma non so mica se da lassù si vedrebbe davvero una balena.
Palinsesti di risarcimento
di Franz Krauspenhaar
Quello che il poeta fiorentino Marco Simonelli ha fatto con Palinsesti, Zona, pagg. 79 euro 10.00, è qualcosa di molto ambizioso. Poeta giovane – è del 79 – e bizzarro, attento come pochi alla mise en scéne di un linguaggio alto associato ai personaggi molto degradabili della televisione, Simonelli ha creato con questo libro una sorta di viaggio al termine della notte del monoscopio, e non solo.
A Gamba Tesa: l’Horror di Napoli
di
Francesco Forlani

Marcel Duchamp,Ruota di bicicletta (Roue de biciclette) – 1913
© 2001 Succession Marcel Duchamp, ARS, N.Y. / ADAGP, Paris
a Maurizio Braucci, e Roberto Saviano
coraggiosi disotturatori di cessi.
Merdre!
– gridava il dottor Faustroll con scandalo dalle scene parigine. Si trattava ovviamente di un’invenzione l’aver trasformato in verbo l’insana parola. Ma se il fondatore della Patafisica, Alfred Jarry, fosse sbarcato a Napoli, che effetto avrebbe avuto su di lui una comunità che più d’ogni altra ha fondato sulle soluzioni impossibili la propria salvezza? Altrimenti che senso dare al progetto di una città, pensate bene, costruita ai piedi di un potente vulcano…
Qualche tempo fa mio fratello mi chiedeva perchè la letteratura napoletana, ma si dovrebbe precisare campana, fosse così scura, nera, disperata. Il post di oggi vorrei quindi dedicarlo proprio a questo, ovvero alla materia immonda che nutre l’immaginario dei romanzieri napoletani (campani) con un riferimento a due opere, uscite a circa un anno di distanza l’una dall’altra, Altrove, di Paolo Mastroianni (edizioni Effige) e 10, di Andrej Longo (Adelphi).
Berardinelli’s Version
di Linnio Accorroni
Non più tardi di qualche mese fa è apparsa sul “Foglio” di Ferrara una ‘recensione’ (mai virgolettato fu più appropriato) a proposito di un libro di Emanuele Coco, filosofo naturalista, autore di un curioso libello per Nottetempo intitolato Ospiti ingrati. Come vivere con gli animali sinantropici. Un modello di ‘recensione’ perfetta, di mirabile fattura. Un tono suadente e discorsivo, senza sciatteria alcuna, né forzature, senza indulgere mai agli effettacci che abbondano nelle righe di tanta critica contemporanea, che pare spesso più intenta a coniare la frase-slogan da apporre sulla bandella più che allo sviluppo di un discorso critico serio. Non un aggettivo di più in quella pagina, nessun inutile sfoggio di erudizione. Piuttosto la persuasività leggera di una prosa sobria, concisa, quasi percussiva.
Specie non protette
Poco più di un mese fa, l’omicidio di una giovane donna italiana, secondo l’accusa, ad opera di un immigrato rumeno scatenò immediatamente gli spiriti animali della permanente “emergenza sicurezza”, che nella variante scaturita da questo tragico fatto assunse i tratti somatici granguignoleschi della “razza rumena”.
Quella presunta emergenza, letteralmente costruita nel laboratorio bipartisan degli orrori, tra strilli di avvoltoi di destra e ruggiti di conigli di sinistra, mise in luce, secondo costoro, le presunte lacune o addirittura “il lassismo” del nostro ordinamento verso quegli odiosi titolari di licenza di uccidere e rubare che sono i migranti, specie se rumeni.
Nel nostro codice penale il furto di una scatoletta di tonno in un supermercato è punito con una pena che può arrivare a 10 (dieci) anni.
Quanto alla legislazione sui migranti, o meglio sui “clandestini”, non dovrebbe essere necessario, ci si augura, ricordare le numerose perle di “lassismo” normativo inanellate in questa materia dalla prestigiosa compagine di legislatori liberali Turco-Napolitano-Bossi-Fini-Pisanu.
194: dall’interno
di Francesca Matteoni
Per le donne l’aborto è soprattutto silenzio.
Leggendo in questi giorni i vari dibattiti nati nella rete attorno alla legge 194, non ho potuto fare a meno di rilevare tra idee, teorie, condanne e vagheggiamenti disparati la mancanza di un resoconto diretto su cosa è l’aborto dall’interno. Mi ero detta per questo stesso taboo implicito di tacere su questo argomento, di astenermi da questo tipo di discorso così esposto alla forza macellante sia di chi lancia anatemi, sia di chi sfrutta anche quest’occasione per far sfoggio di scienza. Ma poi mi tormentano gli spettri: il corpo della donna, il corpo del feto, il corpo indesiderato della libertà di scelta, il corpo della parola doppiamente diretto contro se stessi e il mondo.
Ice Man
di Mauro Baldrati
Vecchio.
Sì, un tempo ero reticente a pronunciare questa parola, se riferita a me stesso. E’ difficile accettarsi come vecchi, quei personaggi sfiniti, senza più un futuro, che i ragazzi chiamano vecchi: “davanti a me c’era un vecchio…”
Essere un vecchio è l’anticamera della fine, è il non-essere e il nulla.
Usus scribendi – io non sono uno scrittore
[Quattro nuovi autori che ci spiegano dal di dentro cosa stanno facendo, quale letteratura tentano di produrre. Un pezzo ciascuno. Niente domande, niente sollecitazioni esterne. Il primo contributo è qui. il secondo qui . Il terzo qui . G.B.]

di Cristiano Cavina
E’ difficile parlare dello scrivere, e molto più difficile è dire in proposito qualcosa di originale e soggettivo.
Chi cerca di scrivere per mestiere, e chi ci prova, ha una propria personale idea, che in larga parte però è dovuta alla lettura di pezzi scritti sull’argomento da autori affermati, che a loro volta hanno attinto da opere e autori precedenti, e così via fino ai grandi classici.
Quello che penso sullo scrivere in generale, e sul mio modo di scrivere in particolare, proviene quasi interamente da Stephen King e da Natalia Ginzburg.
Da “Formatura”
traduzione di Andrea Inglese
[II : parte politica]
Un mattino, mentre suo marito appena sveglio aveva posato il piede sul parquet e sembrava osservare il suo primo volto della giornata nello specchio dell’armadio di pino, la signora Ro, grandemente sorpresa, lo sentì mormorare la parola Orangina. Credette di primo acchito che avesse sete – eppure non aveva l’abitudine di fare colazione con bibite gassate – ma appena gli comunicò che in frigo non c’era che del latte e un resto di succo di pomodoro, non per questo suo marito cessò di ripetere: Orangina.
– Faresti meglio a limitarti al caffè, che riscalda, e scosse la testa infilandosi le pantofole.
Resurrectio palermitana – Racconto breve di una video installazione
di Vito Chiaramonte
È il tramonto che è passato da un pezzo per essere buio. Arriviamo al parcheggio del deposito delle locomotive di Sant’Erasmo e biglietto alla mano, saputo che l’Enzo Venezia di cui si parla nel pieghevole elegante che ci viene fornito è il palermitano Enzo Venezia, l’architetto autore di memorabili allestimenti espositivi sulla pittura siciliana del Cinquecento, entriamo nel grande spazio schermato dalla luce che è il deposito: una specie di Museo della Storia Naturale di Parigi, in dimensioni minori, invaso da suoni bassi, all’inizio, e subito dopo da un gocciolio insistente. Non siamo ancora dentro, ma siamo già nel nero di un cortinaggio che si apre in una sala enorme in cui, prima impressione, galleggiano grandi immagini fiancheggiati da cubi e parallelepipedi neri come tutto il resto, seconda impressione, ma che recano scritte come incise, bianche, ma non luminose, niente è luminoso, terza impressione. Inizio a camminarci.
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Materia paterna
di Demetrio Paolin
a mio padre, che non è mai stato ad Ebensee
Padre, tu che non hai visto altro che le terre nostre del Monferrato, non sai che dove sono ora c’è una collina diversa dalle vigne che c’abituano la vista. Ci sono venuto con dei ragazzini, studenti di liceo in viaggio di studio. Abbiamo preso un pullman e da Salisburgo siamo arrivati qua.
Mi sono chiesto cosa ci fosse di strano in questo posto, che se lo vedevi te lo saresti chiesto anche tu. Non è diverso dal paese dove stiamo, se non per il fatto che il nostro è in cima alla collina e questo ci sta alle pendici.
Mircea e gli altri
di Giuseppe Rizzo
Il Carù cu Bere emerge ogni sera dal suo torpore gotico per consegnarsi a una Bucharest affamata di affari. È uno degli edifici storici più conosciuti della città, costruito nel 1875. Come molti altri palazzi monumentali sparsi in giro per Calea Victoriei non è un luogo di cultura, di conservazione, di storia. È un luogo di consumo, la più antica birreria della capitale, nonché uno dei suoi ristoranti più esclusivi. Si entra solo su prenotazione e solo se si hanno i soldi per farlo.
corpo esposto
Quattro anni fa ho pubblicato un libretto di poesie. Un libretto clandestino, edito da una microscopica casa editrice massese. Erano poesie che per la maggior parte risalivano agli anni immediatamente precedenti, quando vivevo in una casa nel bosco. Non le ho mai pubblicate qui, per una sorta di pudore. Qualche tempo fa le ho date a Francesco Marotta, che ha voluto pubblicare il libretto – per intero – sul suo “sito poetico” (nel senso pieno dell’espressione). Qui. A questo punto non posso far altro che imitarlo, ed esporre il corpo del testo anche qui.
Marco Rovelli, Corpo esposto, postfazione di Mariella Bettarini, Memoranda Edizioni, 2004.
In margine
(davanti alla Flagellazione
del Caravaggio)
Il corpo ripiegato, abbandonato alla piega, esposto alla morte, ma prima ancora all’infamia dell’assedio dell’altro. Corpo che in questa esposizione espone la sua bellezza. La bellezza di chi non ha nulla da perdere, perché ha già perduto tutto, ed è solo un corpo, un corpo senz’altro, nudo nella sua esposizione, nel gesto dell’esporsi, nell’aperto della passione, del patimento. Corpo che patisce l’altro, ne patisce il legame. In questa esposizione del finito alla sua finitezza traluce il divino dell’uomo.
I suoi occhi chiusi, il pensiero muto: non ha più nulla da dire, né da dare, è solo corpo, puro e semplice, impuro e molteplice corpo che resta, tutto intero, nel gesto del sottrarsi. E’ svanimento, quel corpo in torsione, in abbandono. Preso in un gesto innaturale, perché interamente consegnato al fuori.
Sono io, quel corpo esposto. (E nel riconoscermi, non c’è più io che possa dire: ‘sono io, quel corpo esposto’…).
Il rifiuto permanente
di Andrea Bottalico
“..Bisogna ricominciare daccapo, però da un’altra parte”.
Gyorgy Lukàcs
Caserta 23 novembre 2007
Stanco. Controvoglia mi vesto ed esco a piedi, è una sera di novembre. Un venerdì sera più caldo del solito. Esco. Attraverso strade semibuie, laggiù dei lampioni sparano luci giallognole che rendono tutto così finto assolato. Un lucido infrangersi della luce sull’asfalto grigio delle strade. Quei palazzi nuovi, tristemente in riga, sono dipinti di un colore acido.
Cammino, digerisco. Ai miei lati sui muri scritte d’amore d’odio e di dolore, sul ciglio della piazza cumuli di spazzatura nera, ingiallita da quelle lampadine assonnate, spazzatura dei giorni passati, cartoni e resti freddi imputriditi; sullo sfondo, il volto squadrato del Rione.






