di Marco Rovelli
Cormac McCarthy lo amo alla follia. Di lui ho letto tutto quello che è stato tradotto in italiano. Credo che abbia un senso del “tragico” che ne fa un classico. Non so quanti riescano, come lui riesce, a raffigurare personaggi che escono dall’eterno presente del mito, figure di meravigliosi chiaroscuri che si stagliano sul nero di un cosmo segnato dal male – e talvolta queste figure sono trapassate da una grazia fuggevole (la fragilità dell’assoluto, scrive Zizek, l’assoluto che si manifesta “in un frattempo”). Nell’immensità del male, compaiono come fragorosi lampi di luce gesti pieni di grazia. La strada è il culmine di questo fragore.









