di Marco Rovelli
In margine all’appello Il Triangolo Nero che abbiamo promosso di recente, e che non è se non il primo passo di un percorso, ho scritto questo testo su sollecitazione di Wu Ming 1, che lo ha pubblicato su Carmilla. Riporto il testo, e la premessa redazionale. (Una sorta di ipertesto, da questo punto di vista, che segna – e ne sono felice – un lavoro cooperativo al di là di identità, appartenenze, chiusure).
[E’ trascorso ormai un mese dall’omicidio di Giovanna Reggiani. Un mese di paure sfruttate da demagoghi, di risentimento xenofobo, di lapidazioni verbaliH e aggressioni fisiche a capri espiatori. Un mese in cui il discorso pubblico è stato “dirottato” e pilotato dai vetero-razzisti di destra e dai neo-razzisti di ex-sinistra. Un mese in cui sono riemerse, più appiccicose che mai, vecchie “leggende nere” sul conto di zingari e altri marginali. L’odio ha caricato lancia in resta, parandosi il petto con lo scudo dei numeri, delle statistiche sui crimini. Forse mai come in questo frangente le cifre sono state brandite a mo’ di clave, anzi, di mazze ferrate, per sfondare il cranio dei nemici, mescolando sangue e percentuali. Come c’era da aspettarsi, il dibattere si è fatto sempre più confuso. Per fare un po’ di chiarezza Carmilla ha chiesto un contributo a Marco Rovelli, autore del fondamentale Lager italiani (Rizzoli, 2006), attivo da anni su queste tematiche, attento alle capillari, serpentine e semi-invisibili forme che assume in Italia la solidarietà ai migranti e agli esclusi.]
Qualsiasi ragionamento sull’immigrazione, e sull’equazione sempre più consolidata nell’immaginario degli italiani tra clandestino e criminale, è destinato a fallire se non lo si fonda su alcuni assiomi. Premesse scontate, ma che nel “dibattito pubblico” sembrano non essere mai considerate.