di Walter Kempowski
traduzione di Diana Politano e Francesco Vitellini
Sotto di noi, al primo piano, abitava Woldemann, un commerciante in legname benestante, corpulento. Portava i capelli neri – lucidi come scarpe laccate – pettinati con una forte riga in mezzo. Al mignolo un anello dalla pietra blu. «Allora, inglesino?» mi disse con voce grave, e prese una delle bottiglie di vino aperte che stavano dappertutto. Ne bevve senza bicchiere, a lunghi sorsi.
Nella «camera dei signori» poltrone gigantesche con sopra cuciti dei cuscini, più comode che da noi, anche il tappeto più grande, e i quadri adatti.
Accanto al tavolino da fumo un grammofono nero, simile a un comò. Sul davanti una specie di porta per far uscire la musica.
Non è dolce, non è brava,
non è buona, la signorina Gerda…?
Sul grammofono una bambola di cera nella celluloide. Indossava un abito di pizzo. «Filigrana», diceva mia madre.
Al muro il dipinto a olio d’un pollaio: la cornice nera larga il doppio del quadretto rosa.
Di mattina Woldemann sedeva in veste da camera al tavolino da caffè.Faceva ruotare il piatto girevole su cui stavano marmellata e miele.Mangiava l’uovo col cucchiaio d’argento. («Uovo e argento? Ma fa la muffa!»). Leccava le gocce dal bricco del latte schioccando le labbra.
Ognun felice, ognun orgoglioso,
se l’avesse, la signorina Gerda…
Il panino lo mangiava con forchetta e coltello.