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Tor: lezioni di guida – 3

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di Marco Calamari

La difesa dell’anonimato in rete e l’autotutela sono alla portata di tutti: terzo step nell’utilizzo di Tor, alla conquista di Privoxy. Pochi clic per un nuovo mondo
Fino ad ora abbiamo considerato l’uso di Tor come applicazione isolata, e descritto e risolto alcuni problemi elementari che possono compromettere il livello di privacy ed anonimato raggiungibile con il suo uso. Oggi affronteremo il problema da un punto di vista diverso: porremo al centro dell’attenzione non i software che girano all’interno del PC, ma piuttosto il flusso di informazioni che si muove tra il PC ed internet, indipendentemente dai programmi che lo generano.

Tutto puramente immaginario!

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di Walter Kempowski

traduzione di Diana Politano e Francesco Vitellini

Al mattino eravamo ancora seduti su casse da imballaggio grigie nella vecchia casa, a bere caffè (è nostro quello che c’è dentro?). Aloni chiari sulla carta da parati scurita. E la grande stufa, che esplosione quella volta.
A mezzogiorno si sarebbe già dovuto pranzare nella casa nuova.

La palma da vaso fu regalata al giardiniere, non era più possibile tenerla. Meraviglioso come si era sviluppata in tutti quegli anni. Il nerbo ce lo portammo dietro, ogni tanto «ahi ahi!» c’era da prenderle. Sarebbe stato bello nella casa nuova, incantevole. Avremmo visto: stupendo. Un panorama dal balcone – delizioso. E nessuna stufa da scaldare, anche questo meritava conto.

Già da lontano, mentre tornavo da scuola, vidi il carro dei traslochi, imbottito, i cavalli con le coperte rosso ruggine sulla groppa e placche d’ottone alle briglie.
Noi, s’intende, stavamo vicino a Bohrmann. Il pianoforte a coda era ancora dentro, quindi non avevo perso nulla. I facchini con le cinture intorno ai fianchi, dei ganci attaccati sotto.
Svitarono i piedi; l’issarono in una slitta su per le scale. Sette quintali di peso. Gli uscivano fuori le vene.
«Ragazzi», fece mia madre, «ma è mai possibile…». Proprio non si rimediavano un paio di uomini forti nel vicinato? Un signore grasso sgusciò tra i facchini, guardò trasognato verso l’alto delle scale. Lassù entrava luce da una finestra a vetri cattedrale. L’uomo si chiamava Quade, lui aveva costruito l’edificio.

Era una casa spaziosa, anche se: 2° piano, come aveva notato zia Silbi fin dall’inizio. Il guardaroba tutto rosso. Sopra la cassapanca in quercia già i bersagli e la sciabola di mio padre. («Poi quella verrà affilata, giovanotto»).

A destra la libreria con le relazioni telegrafi che dei Wolff e – «Pesci velenosi e veleni di pesce» – innumerevoli volumetti Kosmos.

Mio fratello si stiracchiò davanti allo specchio.
L’appartamento era da Bonomicoli. Non pensavo anch’io?
«Sì».
«E quindi sii felice».

Cos’è una città: leggete i “Guerrieri della notte” piuttosto che Calvino

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di Francesco Longo

Tutte le volte che si dibatte di città e letteratura i discorsi convergono inesorabilmente verso un libro: Le città invisibili di Italo Calvino. Non c’è saggio sugli spazi metropolitani – romanzeschi – in cui questo non sia citato. La semiotica ha appurato che le città stesse sono testi da leggere, e tutti gli studi critici su luoghi e letteratura mantengono lo sguardo fisso su Calvino.
È appena uscito in Italia un vecchio libro, I guerrieri della notte (Fanucci) che dovrebbe scalzare Calvino dal suo podio. Sol Yurick, nel 1965, scrisse questo romanzo che poi divenne il celebre cult-movie di Walter Hill.

Napoli bella? Napoli dannata? L’ultima parola di Ermanno Rea

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di Cristiano de Majo

Napoli al centro di uno scontro tra verità e finzione. Ridotto all’osso, questo sembra essere il nucleo dell’ultimo non-romanzo di Ermanno Rea, Napoli Ferrovia, parte conclusiva della trilogia iniziata con Mistero napoletano e proseguita con La dismissione, nonché congedo finale e a quanto pare irrimediabile dello scrittore dalla sua città natale. Scritto durante gli anni della presidenza della Fondazione Premio Napoli, si tratta di un libro complesso, disomogeneo, composto per strati, da un lato meno riuscito del capolavoro Mistero napoletano, dall’altro più decisivo da un punto di vista teorico circa il rapporto tra lo scrittore e la sua materia prima: la verità.

Da “La furia dei venti contrari” 1

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(Presento qui del materiale raccolto in La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli a cura di Andrea Cortellessa Le Lettere 2007. Si tratta, in questo primo post, di alcuni testi della Rosselli seguiti da brani dell’introduzione del curatore.)

Cinque poesie disperse

di Amelia Rosselli

a cura di Francesco Carbognin

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La gorgiera mi stinge i capelli, la ingordigia nasconde
il vizio di stralunare gli occhi castani, e per quel
vizio (sempre io) annegai quando fu tempo dell’avana
e del ricalcitrante dovere. Se mai svolsi una danza
mortuaria era e fu ancora per avvicinarmi molto meglio
ai tuoi capelli castani, mentre il cappello levavo
in segno di disprezzo. Per simili inezie si nasconde
il viso del frate ma io protesto per la tua pena
anche se il tuo viso è una criniera ancora appesa
al mio cuore latitante, lattante in culla.

Da: La macchina responsabile (2007)

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pare_che_tu_sia-elio-copetti.jpg 

di Maria Grazia Calandrone

versione per corte franca

Tu corona il mio capo signore
con una nube ardente
metti
spicchi d’aglio nella mia teca di morte
disinfetta il sepolcro, i messaggi murari, la pressione
del magma umano che risale
la camera sotterranea con la lentezza
del fenomeno nuvoloso sulla benda
flottante dell’Atlantico, acqua
longobarda dal soffio
largo di tetano e arche
che trasportano il regno. Nemmeno il mare
prega a bocca chiusa. Lascia dunque signore
che la tua sposa parli. Chiudi
il sipario marino alle mie spalle
nel teatro domestico
di mattoni squadrati
perché ho eretto con questa unità di misura
degli oceani al centro di ogni stanza una fortezza invisibile.

Telemaco nella stanza del drago

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di Massimo Rizzante

«Una parte di me – disse – una parte profonda, la mia parte poetica ha residenza fissa nella stanza del drago. È prigioniera del drago e, a differenza del santo della tradizione cristiana, non può sconfiggerlo.
Sconfiggere il drago non porterebbe a nessuna liberazione dal male. Non solo perché il male è nel volersi liberare dal male, ma perché sconfiggere il drago significherebbe accettare un’altra sconfitta, la sconfitta della creazione poetica.

Il triangolo nero

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Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne

La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d’allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando “emergenze” e additando capri espiatori. Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L’odioso crimine scuote l’Italia, il gesto di altruismo viene rimosso. Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.

Non toccate la nostra libertà

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(Pubblico qui il comunicato con cui Usciamo dal silenzio aderisce alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne del 24 novembre a Roma)

14 milioni di donne tra i 15 e i 60 anni hanno subito, nel corso della loro vita, una qualche forma di violenza: sessuale, fisica, psicologica.
Soltanto il 18,2 per cento di loro ha saputo vedere quella violenza e riconoscerla come un reato.
Il 95 per cento delle violenze non è mai stato denunciato.
La maggior parte delle violenze avviene in casa o per mano di un uomo conosciuto.
Il 69,7 per cento degli stupri è ad opera del partner. Partner ed ex sono responsabili della maggior parte delle violenze fisiche.
57 donne sono state uccise in Italia nei primi sei mesi del 2007.
(Istat, indagine nazionale sulla violenza contro le donne, 2007).

Le cose vanno come vanno

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di Christian Raimo

Da quando mi sono sposato, nel 1992, mi è successo di dormire con altre donne, di starci, di tradire mia moglie insomma, soltanto un paio di volte: la prima risale a una decina di anni fa, durante un periodo oscuro e avulso dal tempo che nella mia testa e forse anche nella realtà coincide con la presunta, o anche vera, malattia di nostro figlio Edoardo, che per un anno intero, prima che gli fosse finalmente accertata una forma rara ma piuttosto innocua di artrite reumatoide, fece dentro e fuori dagli ospedali tra accertamenti invasivi, diagnosi allarmistiche e cure sbagliate; al tempo dimagrii in modo innaturale e drastico di una ventina di chili, per la tensione, la fatica o semplicemente per l’osmosi del morbo immaginario, e – in nome di qualche tipo di compensazione, credo – alla fine di tutto, come per respirare dopo essere stato troppo tempo sott’acqua, non feci molto per evitare una storia abbastanza dimenticabile con una donna che già allora non consideravo neanche bella, una nostra amica delle vacanze estive, capace però di rimanere in silenzio, in mia presenza, quasi incantata, per ore.

Blog, vecchiette, le parole e la morte

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di Giorgio Vasta

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Nel tg3, seconda serata, del 9 novembre, Bianca Berlinguer intervista Vittorino Andreoli. Oggetto dell’intervista è l’omicidio, a Perugia, di Meredith Kercher. La tesi, serenamente ribadita da entrambi senza che il benché minimo dubbio subentri a perturbarli, è che internet, i blog, la vita “altra” che la tecnologia rende disponibile sono nel loro complesso “complici” di quanto è avvenuto, precondizioni ambientali del delitto.

Chi narra, oggi

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di Piero Sorrentino

Chissà quanti, ascoltando dal vivo e in televisione la surreale conferenza stampa senza contraddittorio tenuta dal questore di Arezzo, a metà pomeriggio di ieri, si saranno chiesti se c’erano calcinacci volanti, sull’autogrill di Badia al Pino, dove Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio, è stato ucciso dalla polizia.
Perché per concedere un minimo di credito alla prima versione, quella appunto dei colpi sparati in aria da 70 e passa metri di distanza, e finiti chissà come, almeno uno, nel collo di un ragazzo di 28 anni seduto dietro a una Renault Scenic, bisogna proprio ricorrere al teorema di Piazza Alimonda, quello degli avvocati di Mario Placanica, il carabiniere che uccise Carlo Giuliani al G8 di Genova, e pensare appunto, come suggerirono quelli, che nel parcheggio dell’area di servizio, ieri, ci fossero calcinacci ambulanti capaci di deviare il colpo.

Tor: lezione di teoria 2

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Proseguono gli approfondimenti su Tor e le tecnologie di anonimizzazione, dalla teoria alla pratica. A parlarne è un esperto d’eccezione: Marco Calamari. Siamo al secondo round

Roma – Qualche settimana fa la prima lezione di guida di Tor è stata accolta con interesse dai miei 23 lettori; il diluvio di fatti importanti accaduti in questi giorni pero’ aveva richiesto che Cassandra Crossing si occupasse di altri temi. Ma ogni promessa è debito, quindi eccoci qui. Come ai tempi della scuola guida pero’, lezioni pratiche vanno alternate con lezioni teoriche, quindi oggi la “lezione” sarà meno divertente perché tocca alla teoria, anzi alla teoria di base. Niente crittografia od algoritmi però, ma solo una importantissima riflessione su quello che accade realmente nel PC quando navighiamo.

“Nel bosco” di Elisa Biagini

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di Laura Pugno

Il bosco non è fuori ma dentro il corpo: è questa forse la chiave d’accesso per entrare Nel bosco, opera seconda nella collana “bianca” Einaudi ma non seconda nella bibliografia di Elisa Biagini. Opera di consolidamento di quanto poeticamente già stabilito ne L’ospite, di riaffermazione di una voce, vede il corpo-centro qui declinato in un teatro di figure familiari e straniate: figure femminili, infantili, da Cappuccetto rosso nella sezione quasi omonima (“Cappuccio rosso”) a “Gretel o del perdersi”. Bosco-teatro, quindi, dove – in questo che è anche un romanzo, narrativo, non lirico, d’iniziazione – è necessaria la perdita, come conferma Cattafi in calce all’ultima sezione:

La mente non capisce questo amore
per certi posti remoti dell’interno,
insidiosi, inospiti,
di barbara bellezza.

Non capisce

La necessaria perdita nei boschi.

Cittadini o clienti?

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Note a margine della “questione romena”
di Andrea Bajani

Tutte le volte che uno zingaro entra in un bar o in un ristorante, istintivamente mi viene da cercare con lo sguardo il padrone del locale. Se è dietro il bancone si asciuga le mani, posa lo straccio, aggira il bancone e poi porta lo zingaro fuori. Me li guardo sfilare accanto, vedo il gestore aprire la porta, spingere lo zingaro fuori e tornare dietro il bancone. Qualche volta dice “Sono tutti così”. Tutti gli avventori del locale si voltano, seguono con lo sguardo l’operazione di pulizia, e poi ritornano con gli occhi nel piatto e la testa nei propri pensieri. Dopo pagano, e quindi escono dal locale. Io tutte le volte che succede una cosa del genere penso che il padrone del bar si comporta così perché per lui io sono un cliente. Nonostante io sia in dissenso con il suo atteggiamento, gli riconosco una strategia, per quanto discutibile.

Fuori dalle palle tutti i rumeni!

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di Gianni Biondillo

Gli slittamenti linguistici, i lapsus, sono sempre molto più indicativi di quello che sembrano. Da un paio di mesi a questa parte su tutti i quotidiani non esistono più i rumeni (con la “u”, come correttamente dovrebbe essere) ma i romeni (con la “o”). All’improvviso dotti laureati in lettere, i nostri amati giornalisti – sempre così proni di fronte al potere costituito o agli umori della piazza – hanno dimenticato il vocabolario preferendo, “creativamente”, una vocale ad un’altra. Di modo che, neppure troppo sottotraccia, si dia la percezione che i rumeni siano, anche linguisticamente, tutti rom-eni. Rom. Zingari. Mostri, insomma.

San Lorenzo è con te

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di Piero Sorrentino

Liboni, S. Lorenzo è con te!
(spray rosso su un muro a san Lorenzo, Roma)

31 luglio 2004

Nero.
Mi faccio avanti, dal più buio dei sonni, e mi trovo circondato da medici: sento il loro vigore, tenuto a stento sotto controllo, come la sovrabbondanza dei loro peli corporei; e il tocco ostile delle loro mani ostili: mani di medico, così forti, così pulite, così aromatiche.
Quando mi hanno messo sulla barella ho dato un calcio a un carabiniere. Pensava fossi svenuto, mi stava vicino, era troppo invitante, ho caricato la gamba come una molla, tutti stavano attorno alla mia testa, al busto, le dita sul collo per sentire le pulsazioni, una garza srotolata attorno alla fronte, le voci, il blu dei lampeggianti sui visi, l’ho preso in pieno petto con la suola dello scarponcino, la pelle bianca della bandoliera s’è macchiata di terreno e polvere, il carabiniere ha emesso come uno sbuffo ma non è caduto.

Da: Appuntamento con il notaio

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di Alessio Paša

Figlia

La mamma è alta, giovane, bionda.
Parla al telefono, il pugno premuto sul fianco.
Le gemelle hanno rovesciato la brocca e l’acqua
gocciola copiosa sul tappeto.
Si avvicina, il grembiule bianco con le coccinelle rosse.
Non torna, è in aeroporto, c’è la nebbia,
papà arriva domani.

Gli aranci

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di Marino Magliani

Lei era sul bordo della terrazza perché anche quel posto come la valle in cui era vissuta da viva era fatto di terrazze, gradinate senza ulivi, senza pietre, senza muri, senza erba né ombra né sole, senza vento di costiera o buio odorante di conca, senza odore. La valle dove si andava un giorno a vivere per sempre, era senza desideri né rimpianti o sogni, era una valle dove buoni e cattivi, santi e malvagi, e tutto ció che in terra era vissuto tra queste categorie, ora abitava l’aria, senza possibilità più di farsi del bene o del male, senza più nulla, e con la sola coscienza di essere come misura dell’esistere.

Marchand-Kiss / Pugno / Raos / Sekiguchi / Zaffarano

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Venerdì 9 novembre alle 19:30

alla libreria Bibli

via dei Fienaroli, 28 Roma (tel. 06 58 14 534)

lettura trilingue (italiano, francese, giapponese)

di

Christophe Marchand-Kiss

Laura Pugno

Andrea Raos

Ryôko Sekiguchi

Michele Zaffarano

 

Usus scribendi – La Sete e il Viaggio

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[In un carteggio privato Luca Ricci mi ha fatto una proposta che m’è piaciuta subito: “Quattro nuovi autori che ci spiegano dal di dentro cosa stanno facendo, quale letteratura tentano di produrre. Un pezzo ciascuno. Niente domande, niente sollecitazioni esterne”. Anche solo non aver parlato di “giovani scrittori” (cosa che in effetti sono) ma di “nuovi autori” m’è sembrata la giusta premessa metodologica. Ho chiesto a Luca di darsi da fare. Oggi pubblico il primo dei quattro contributi. G.B.]

missiroli.gif di Marco Missiroli

Una fontana, nel caldo impietoso di luglio, credo abbia spiegato quel che faccio scrivendo. Non è facile spiegar lo scrivere, ecco perché questa fontana mi darà una mano abbastanza seria. Probabilmente se non ci fosse stata avrei detto che la mia narrativa è prima di tutto raccontastorie e che nelle mie storie c’è qualcosa sotto, che pulsa (spero) e che deve far pensare. Altrimenti la storia è storia e basta, non fa male e non scrosta anche se scritta bene. Poi avrei detto che quello che scrivo vuol provare ad essere universale e rapportabile all’immaginazione di tutti, ecco perché spesso nei miei romanzi non do luoghi o date precise.