
di Linnio Accorroni
Giunto all’ultima pagina ho ricominciato daccapo, senza interruzione, come se non fosse ancora finito. Non riuscivo ad abbandonare quella prosa e quelle storie. Non potevo congedarmi da quel libro come si fa solitamente, ammonticchiandolo distrattamente sulla pila insieme con gli altri. Ricomincio quindi da quell’ incipit straniante ed inesplicabile che, a lettura ultimata, invece di chiarirsi, era diventato ancora più fosco ed enigmatico:
Sto sospeso in aria: Da quassù godo di una bella vista, riesco a vedere tutto l’incrocio, la strada, i marciapiedi. Sono disteso giù, in terra. Il traffico è bloccato. Quasi tutti gli automobilisti sono scesi dalle macchine. Si sono riuniti dei curiosi, alcuni mi circondano, qualcuno mi sorregge la testa con molta delicatezza, una donna, è inginocchiata davanti a me […] Sento voci che chiamano un’ambulanza, curiosi che domandano cosa fosse successo, uno dice: ha attraversato la strada con il rosso. Un altro dice: l’automobilista ha provato a scansarlo. L’automobilista se ne sta seduto sul bordo del marciapiede, si tiene la testa tra le mani, trema, trema in tutto il corpo, mentre io sono lì disteso, calmo, niente dolori, strano, i pensieri vagano all’impazzata e una voce interiore esprime con chiarezza tutto quello che sento. È una buona cosa, questa, perché parlare fa proprio parte del mio lavoro. La mia borsa si trova a tre o quattro metri da me, in terra, e naturalmente si è aperta, una vecchia borsa di cuoio. Il pacchettino con l’esplosivo è schizzato fuori, anche i foglietti, le schede, le pagine con gli appunti, nessuno li degna di uno sguardo e svolazzano sulla carreggiata. E io penso, speriamo che siano attenti. E vorrei anche dire: attenzione, quello è esplosivo.