di Nadia Agustoni
C’è nell’umano un estremo frangente che tocca la nostra capacità di comprendere e fa sì che non si chieda a questo comprendere una semplice conferma del nostro essere umani ma di aprire uno spazio che ce ne mostri il limite. L’artificio che cela il nostro sovraccarico di dolore e di dolente corporeità diviene a tratti, per pochi momenti illuminati, il farsi portatori/portatrici di una dimensione esiliata e resa afona, che nemmeno le parole di una lingua abitata possono tradurre.
In Una comunicazione accademica (1) un suo breve racconto, Kafka dispiega in pochissime pagine una sapienza narrativa e una misura molto rare. Tocca materiale incandescente con un tono profondo, ma insieme lieve, che apre solchi e li cicatrizza quasi in un istante medesimo. Non trascura però, in quel poco tempo, di farci scorgere un abisso a cui la pacatezza della voce narrante ci conduce tenendoci per mano perché non ce ne venga troppo male. Eppure il dolere è acutissimo.






