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Alla ricerca della perla nera (#5 – fine)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini

galleon.jpg [Termina qui il racconto fatto in casa per i piccoli indiani. Ringrazio Mariolina per avercelo dato. DV.]

4. Il compleanno di Capitan Uncino

Yessèr nuotava ormai da sei o sette ore , dritto verso la linea dell’orizzonte, quando cominciò a preoccuparsi un po’: ormai vedeva davanti a sé la costa aspra e rocciosa della Corsica, ma dell’isolotto della Strega, nemmeno l’ombra. Forse si era spostato troppo verso oriente, visto che era partito da Bergeggi e non da Varigotti; o forse aveva girato a destra in un punto dove Espiègle, invece, il giorno prima l’aveva fatto girare a sinistra. Insomma, non sapeva più bene né dov’era né in che direzione doveva nuotare, e si sentiva anche molto stanco. D’un tratto, davanti a una piccola baia, gli apparve un grande veliero , ancorato a circa duecento metri dalla costa. Era davvero imponente, con i suoi tre alberi altissimi e tante belle sculture di legno dorato che gli ornavano la prua. Sull’albero maestro ondeggiava al vento una bandiera fatta a questo modo:

I demoni e la pasta sfoglia

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di Michele Mari

Moicano.jpg [Esce da Quiritta questo bellissimo libro di Michele Mari, I demoni e la pasta sfoglia, di cui pubblico la prefazione e uno dei capitoli. Ho scelto il brano su James Fenimore Cooper nella ricchissima orgia letteraria di Mari per motivi di indianità. Ringrazio Michele Mari e Quiritta per la loro disponibilità. DV.]

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I demoni e la pasta sfoglia

Céline, Gadda, Gombrowicz, Kafka, Borges, Conrad, Canetti, Manganelli, Perutz, Melville, Landolfi, Maupassant: molti dei nostri scrittori prediletti sono degli ossessi. Ossessione è da assedio, ma il suo nome scientifico, anancasma, è da destino, ananké. Scrittori al servizio della propria nevrosi, pronti ad assecondarla e a celebrarla: scrittori che hanno nell’ossessione non solo il tema principale (e insieme il metodo con cui anche la più semplice esperienza è assottigliata in pasta sfoglia verbale), ma l’ispirazione stessa, sì che nessuna interpretazione mi pare fuorviante come quella che ne riconduce l’opera a un intento salvifico, quasi la scrittura sia solo un surrogato della pratica psicoanalitica. Al contrario, è proprio scrivendo che essi finiscono di consegnarsi inermi agli artigli dei demoni che li signoreggiano, finché, posseduti, essi diventano quegli stessi demoni. Così, nelle loro pagine, quelle visioni, quegli stravolgimenti, quell’eccitazione verbale, quegli avvitamenti retorici, quelle torsioni espressive (insomma quell’altissima maniera) non sono offe stilistiche gettate nelle fauci del mostro, ma lo stile stesso del mostro (uno stile paradossalmente naturale). Questo significa che lo scrittore-ossesso parlerà della propria ossessione anche quando non ne fa un tema esplicito, anche in àmbiti insospettati: il Gadda delle norme radiofoniche, ad esempio.

Blogrodeo in diretta

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Intanto su www.blogrodeo.org, fino alle 14.09, si sta svolgendo un blogrodeo in diretta. Avete un’ora di tempo per reagire alfabeticamente a questa frase: “Da piccolo non mantenevo le promesse”.

BLOGRODEO 1.0

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Perché i blogger sognano parole elettriche?

21 maggio 2004
Spazio Aurora – Rozzano (Milano)
via Cavour 4
ore 21.00-2.00
www.blogrodeo.org

La Scuola Milanese, con il Patrocinio del Contado di Pisa, ti invita al primo BlogRodeo italiano.

Alla ricerca della perla nera (#4)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini

kobold2.jpg 3. Il Coboldo di Bergeggi.

Quando Yessèr arrivò in vista della costa di Varigotti, il sole era già sceso dietro la collina , che si stagliava tutta nera contro il cielo luminoso. Di tornare alla Baia dei Delfini, bisogna dire che non ne aveva troppa voglia. Già gli sembrava di sentire nonno Cutberto: ” Eh, ve l’avevo detto io… Ai miei tempi sì che eravamo prudenti… Ai miei tempi…”
– Ho bisogno di qualcuno che, invece di sgridarmi, mi dia una mano a trovare questa famosa perla nera – pensava Yessèr – Insomma, di qualcuno che mi aiuti senza farmi una testa così… Ma certo, la medusa Carlotta! E’ la migliore amica della mamma e sarà contentissima di fare qualcosa per noi. Questa sì che è una buona idea!
Voltando la coda alla Baia dei Delfini, Yessèr si diresse verso l’abitazione di Carlotta. Carlotta viveva nel minuscolo braccio di mare che separa tra loro quei due grandi scogli scuri chiamati “i paggèi” ( in lingua varigottese vorrebbe dire “i pagliai” , perché hanno la forma di quei mucchi di paglia che si vedono a volte in campagna). Era la medusa più discreta e gentile che si possa immaginare: per darvi un’idea del suo carattere, vi dirò soltanto che quando nuotava vicino alla spiaggia, si metteva certi guantini e una cuffietta di alghe, lavorati a maglia, per essere ben sicura di non pungere qualche nuotatore di passaggio. In una rientranza dello scoglio-pagliaio più grande si era arredata quello che chiamava con fierezza il suo salottino o, come si diceva allora, il suo buduàr: cuscinetti ricamati e centrini di pizzo di alghe da tutte le parti , candelabri di marmo verde , tazzine di corallo rosa con il bordo dorato , portaceneri di conchiglie, statuine di cristallo a forma di stella marina , di cavalluccio marino, di pesce spada, di gambero, di cozza gigante. Forse l’insieme era un po’ troppo affollato di cose inutili per essere davvero di buon gusto, un po’ come quei salotti delle nonne pieni di porcellane, bambole , vassoietti e bicchierini , ma lei ci stava benone e quando poteva invitare qualcuno ad ammirare i suoi tesori era la medusa più felice di tutta la costa.

La cruna

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di Antonio Moresco

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Qualche mese fa, dopo la presentazione di un libro sull’Italia, a Firenze, sono stato invitato da Luciana Floris a partecipare a un convegno sul tema dell’autenticità in letteratura. L’idea del convegno, da quanto ho capito, sarebbe nata anche da un articolo apparso sull’inserto culturale del Manifesto dove veniva usato polemicamente il termine “autenticismo”.

Due poesie

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di Marco Mantello

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Il territorio

Nel mondo dei primati
che a soli vent’anni
sono tutti arrampicati
sopra gli alberi di una foresta
e a soli vent’anni
si ripetono che questa

è soltanto una crisi nervosa

Infanti della patria # 2

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di Sergio Baratto

AllBlack.jpgServi dei servi, come recitano certi slogan un po’ muffi. Ma è proprio così. Servi delle multinazionali. Servi del peggior governo americano dai tempi di Nixon, impelagati in un’impresa guerresca che nulla ha a che fare con la lotta al terrorismo, ma promette di trasformarsi in una catastrofe di dimensioni storiche.

Quassù nel mondo dello sviluppo sostenibile e delle riviste maschili pare valga ancora la vecchia regola: “di quello che succede intorno che ci frega?”. Intanto però nelle nostre città comincia a bruciarci il culo, saliamo su treni e metropolitana con una mano sul giornale (gratuito) e una sui coglioni. Lo sguardo corre alle pagine dello sport. Alla tele: la Fattoria, il Grande Fratello: “hai visto quella troia di …?”. I più furbi dicono: “io guardo Mai dire grande fratello”.

I ragazzi della Tecnocasa

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di Christian Raimo

tecnocasa.jpg Quei ragazzi che lavorano alla Tecnocasa
e che chiudono alle nove, anche nove e dieci,
che serrano la porta di un colore bianco
definito, uguale a tutte le altre porte
degli uffici in tutto il Centritalia,

Meditazioni joxiane #1

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di Dario Voltolini

Alin Joxe.jpg Ho deciso di darmi alla meditazione. Il testo su cui mediterò è il libro di Alain Joxe L’impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, Sansoni 2003.

Io non ho né la cultura, né l’inclinazione per discutere dei temi affrontati in questo libro, tuttavia mi sembra così importante che mi ci provo.

Comincio riportando uno stralcio di un testo di Ralph Peters che Joxe cita incorniciandolo.

Cose tipo la vita e la letteratura

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di Christian Raimo

albero.jpg Sono arrivato a Torino con il treno alle sette e cinquanta del mattino, con un cielo di ghiaccio. Appena sceso ho telefonato a una ragazza a Roma a cui avevo pensato tutto il viaggio, dormendo e non dormendo sul sedile allungato. L’ho trovata a casa che stava per uscire. A lei faceva piacere sentirmi ma non nel modo perentorio che io mi aspettavo. Scrivo queste cose brutalmente biografiche perché vedrete avranno un senso.

Ego te brevetto

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di Maria Moresco

oncomaus.jpgIl brevetto è nato nel ’700 in ambito anglosassone per proteggere la proprietà intellettuale di manufatti meccanici per una durata di vent’anni. La persona che otteneva il brevetto sulla propria invenzione doveva essere in grado di usare, riprodurre e riparare l’invenzione medesima, di averla sotto controllo. La mentalità del brevetto comunque appartiene solo a una parte del mondo, in quanto in certe culture come, per fare un solo esempio, in quella indiana, non si considera il sapere come qualcosa di esclusivamente privato, ma come tramandabile all’interno di una comunità.
Tutta la questione dei brevetti è regolata da norme giuridiche che amano presentarsi come neutrali e universali. Il concetto giuridico si presenta come “disinteressato”, come garante di norme e diritti. Il problema è che rispetto a certe problematiche odierne il sapere della scienza e la semantica del diritto formano un ibrido con caratteristiche tutte sue, in cui le norme vengono riempite di contenuto “scientifico”. Ci sono cioè scelte giuridiche che aiutano gli scienziati a affermare se stessi e i propri interessi. Il diritto dunque non è né neutrale né disinteressato.

Al di qua del principio di piacere

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di Antonio Piotti

pleas.jpgAccade spesso, se si ascoltano spot pubblicitari televisivi o se si sfogliano certe riviste patinate, che i termini Piacere e Godimento siano usati come sinonimi. Invece, caro lettore, devi sapere che sussiste tra essi una complessa ed articolata differenza e che proprio il confronto tra questi due concetti è un tema fondamentale nel dibattito psicoanalitico e filosofico contemporaneo.

Sono coinvolte le riflessioni girardiane sulla mimesi, lo sviluppo del concetto di narcisismo a partire dal famoso saggio freudiano del 1914 ed infine la questione lacaniana della jouissance.

Io tuttavia non voglio tediare nessuno con argomentazioni troppo specialistiche: tanto più che per operare una distinzione molto semplice, ma anche molto efficace, basta ricordare che il piacere richiede la condivisione, mentre il godimento comporta l’esclusiva. In altri termini, gentile amico, il piacere implica sempre un rapporto con l’altro, il godimento una chiusura in se stessi.

Alla ricerca della perla nera (#3)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini
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[Terza puntata. Attenti a questi due! DV.]

Trentenne Benestante Cerca Trentenne Graziosa

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(Da “Bagattelle & Pavane per Sam”)

di Gillioz*

al poeta-ballerino Andrea Inglese (W Sam!)

Era arrivato al punto in cui non voleva più scegliere alcunché, e così passava il tempo a convincersi che non c’era. Intanto il tempo faceva l’unica cosa che sapeva fare, e cioè passare, anche se questo è solo confortevole da dire e abbastanza duro da provare. Sì, diciamo che passava, o che lui passava dentro la sua guaina, o attraverso la sua gamma imprecisabile, o magari non c’era attraversamento alcuno, ma uno deve pur partire da qualche immagine. Possibilmente immagine con un che dell’esperienza. Perché i concetti piacciono se nel frattempo si son fatti le ossa con ciò che ampiamente trapassa nelle scorribande del cosiddetto reale.

Evviva l’Italia!

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di Benedetta Centovalli
ghostpic.jpg Dicevamo strano periodo, questo. Nei primi tre mesi del 2004 un significativo numero di raccolte di racconti italiani, e sottolineo italiani, ha inondato le librerie. Si vede che lo stato di salute della nostra narrativa non è poi così malandato. Si vede che sono in tanti a pensare che valga la pena misurare la temperatura della nostra capacità di rappresentare il Paese e noi stessi.
Seconda tappa di questo viaggio nello stivale che scrive è Viva l’Italia, a cura di Oscar Iarussi, sottotitolo Undici racconti per un paese da non dividere (Roma, Fandango, 2004), e cioè testi di: Massimo Carlotto, Roberto Cotroneo, Giancarlo De Cataldo, Luciano Doddoli, Lisa Ginzburg, Edoardo Nesi, Lidia Ravera, Giampaolo Rugarli, Luigi Serafini, Emanuele Trevi, Sandro Veronesi. Un manipolo consistente e eterogeneo di scrittori che testimoniano il loro impegno verso quella cosa che non possiamo non chiamare patria. Ritratto secco e non indulgente del Paese, a tratti lieve a tratti fosco, con sguardi che provengono da generazioni diverse.

Sangue (#2)

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seconda e ultima parte del racconto di Stefano Di Leo

sangre.gifA scuola è muto, dicono: forse gran pensatore – mio figlio? – o forse è scemo. Robusto – diciamo grasso – e non mette il grembiule. E non piange e i suoi capricci sono in forma di coriacee ostinazioni. Non che sappia molto di lui, solo che è un ragazzino distratto e chiuso e – come dice sua madre – patologicamente solo.

Finché ero suo padre spesso andavamo al fiume, pescando nulla pur confidando nella pastura che ci preparava un bagnino di Fregene. La lenza avrebbe tirato anguille e trote se avessimo avuto passione, ma il nostro momento era piuttosto il panino al formaggio che divoravamo stesi al sole schernendo il consesso civile che studiava o era al lavoro.

Sangue

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un racconto di Stefano Di Leo

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primo giro

Arrenditi che sei cascato, dico, eppure ho ancora voglia di combattere.
Ieri, tornando, ho comperato due polpette di filetto al macellaio. Trippa. E una polpetta l’ho regalata ai gatti. Ho mangiato una pentola di minestra intera, l’altro ieri, con patate e fagioli: le patate le fai fine e i fagioli devono essere freschi da scafare. Domani mangerò trippa al sugo e mio figlio dice metti la mentuccia, ma va bene anche sedano e carote, dico io, il sedano va bene.

Alla ricerca della perla nera (#2)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini

delfino.gif [Seconda puntata del racconto per le criature. Potete stampare il delfinotto qui di fianco e occupare la criatura con i pennarelli per un paio di minuti, giusto il tempo di fare quella benedetta telefonata che rimandate da stamattina. Nota del curatore: avevo scritto una canzone di argomento delfinesco. Credo che la si possa ascoltare cliccando qui. Alla prossima. DV.]

Il calcio di Grazia

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Tiziano Scarpa intervista Giuliana Olivero

8884904641.jpgIl calcio di Grazia di Giuliana Olivero racconta la storia di un’invasione. L’invasa è Grazia, che diventa molto più che tifosa di calcio. Ha avuto un’infanzia crudele, e non solo quella. Ma da grande inizia a seguire gli allenamenti della Juventus, si affeziona, si innamora, fa regalini e manda telegrammi chilometrici ai calciatori, lettere, biglietti, cravatte, fazzoletti, raccolte di foto ritagliate fedelmente dai giornali per anni, fiori. Grazia si infervora per Marco Tardelli, per Michel Platini, poi per Sergio Brio, per Pasquale Bruno, infine per un allenatore, Francesco Guidolin.

Li segue con discrezione e con spavalderia, li stana negli alberghi dove dormono durante le trasferte, ma senza mai molestarli con qualcosa di più di una telefonata una volta ogni tanto, o un mazzo di fiori fatti consegnare in camera. Guadagna poco assistendo di notte vecchi e invalidi, spende tutto in viaggi per seguire l’idolo del momento, anche quando cambia squadra: a Firenze, a Lecce, fino in Scozia… L’invasore è il calcio, che si è annesso un intero popolo: in questo romanzo l’Anschluss si compie anche sulla parte femminile dell’Italia, che solo fino a pochi anni fa sbuffava al marito in poltrona davanti alla partita, e ora invece urla nella fossa degli ultrà.

Per Nazione Indiana ho fatto qualche domanda all’autrice, Giuliana Olivero.

Poligono di tiro 5-4-2004

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di Dario Voltolini

martinetto-5-4-040007.JPGMi sono ricordato che il 5 aprile si commemorano i partigiani fucilati dai fascisti nell’ex poligono di tiro del Martinetto, a Torino. Questo luogo è a un isolato da casa mia, e non c’ero mai andato. Oggi ho voluto per la prima volta visitarlo, nel 60° anniversario.

Non credo possa esistere un luogo più sobrio e essenziale e per giunta privo persino della retorica della sobrietà e dell’essenzialità. Senza tetto, la vecchia costruzione è ridotta a quattro mura, dentro cui un prato fa da pavimento. Qualche bandiera, le corone istituzionali, una lapide, una bacheca. Una siepe e dei fiori freschi appena messi.

C’erano altri quattro visitatori, e a turno ci si diceva, commentando il luogo, “ma che bel posto, non c’ero mai stato, eppure sono 50 anni che abito a Torino”, oppure “abito a duecento metri da qui…”, oppure “non sapevo nemmeno che ci fosse…”.

Mi sono chiesto cosa potesse significare “che bel posto” detto di un luogo in cui si fucilava la gente di schiena, tutti legati in fila su delle sedie. E mi pare di aver capito che significasse “che posto pulito, lineare, scarno, per commemorare e basta”.

Mi sono segnato i mestieri e le qualifiche dei fucilati, dalla lapide. Li riporto qui sotto.