di Andrea Inglese
(La seconda puntata è qui)
Potere dell’impotenza
Nella storia di questa “perdita di potere” (che è qualcosa di diverso della semplice perdita dell’aureola di cui parlava Baudelaire), le avanguardie, e la stessa nostra più recente neovanguardia, sono state degli episodi cruciali. Prendiamo quest’ultima. In essa, si avvertono due momenti: uno è quello di lucido disincanto nei confronti delle prerogative legate al ruolo di intellettuale-letterato. (“Il «mestiere» del poeta adesso è quello di negare – mediante il proprio lavoro – quella situazione di privilegio che i poeti di ieri, facendo testamento, hanno lasciato in eredità ai poeti di oggi.” In Poesia apoesia e poesia totale, di Adriano Spatola, apparso in “Quindici”, n. 16, 1969.) Il secondo momento, mi sembra legato a una sorta di non consumata volontà di potenza o, in termini più prosaici, a un’esigenza di riscatto. L’intellettuale-letterato si trova sospeso tra due universi, due disparate e ambigue clientele, la borghesia e il partito dei lavoratori.




