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Le parole

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di Marino Magliani

Non so più chi mi ci avesse indirizzato, era da giorni che cercavo un lavoro. Vagavo per le strade, senza strategia, mosso, più che altro, come avviene in questi casi, da decisioni che non erano più le mie, da ragionamenti e scelte che non mi appartenevano più da tempo. Una rete di consigli mi spostava da una ditta all’ altra, in pratica entravo da un fabbro, da un falegname, dal fruttivendolo e siccome la risposta era sempre no, finivo per chiedergli se sapeva di qualcosa in giro.

Contromafie

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self-control (4-7)

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 di Sergio Garufi

Io conto le lettere delle parole (2-5-2-7-5-6). Di quante lettere è formata ogni parola (2-6-7-1-7-4-6). Lo faccio da sempre, mentalmente (2-6-2-6-11).

Le poche persone cui l’ho detto mi hanno preso per pazzo, per un autistico, e mi chiedono tutte il motivo (2-5-7-3-1-2-5-2-5-5-3-5-3-2-9-1-2-8-5-2-6). Non c’è un motivo particolare (3-1-1-2-6-11). E’ un’abitudine (1-2-9). Poi, certo, ho le mie preferenze (3-5-2-2-3-10). Diciamo che non amo le parole fatte di numeri primi (7-3-3-3-2-6-5-2-6-5). Di tredici lettere, per esempio (2-7-7-3-7). Già la parola tredici è orrenda (3-2-6-7-1-7). Sono sette lettere (4-5-7). Ma anche sette è brutta (2-5-5-1-6). E’ che non sono divisibili (1-3-3-4-10). O meglio, sono divisibili solo per uno o per se stesse. Divisibili è una parola stupenda (10-1-3-6-8). Con la sua struttura semplice, consonante-vocale-consonante-vocale; sempre la stessa vocale. Il massimo è una parola di dodici lettere (2-7-1-3-6-2-6-7). Mi trasmette una sensazione di ordine e di armonia (2-9-3-10-2-6-1-2-7). La puoi dividere per due, per tre, per quattro, per sei (2-4-8-3-3-3-3-3-7-3-3). Il dodici è il tre trascendente che moltiplica e reitera trinitariamente il quattro dell’immanenza. Il dodici come pienezza, il dodici come consesso di ogni eccellenza, di ogni completezza. Risarcimento definitivo dopo l’undici del peccato, “giacché questo numero infrange la barriera del dieci, che è la cifra del decalogo, e il peccato è l’infrazione della legge”. Dodici come limite che non si deve oltrepassare, confine dopo la moltiplicazione oltre il quale c’è l’indistinto, l’incontrollata proliferazione. Dodici come gli apostoli (6-4-3-8). Dodici come le tribù di Israele, i mesi dell’anno, le ore del giorno e della notte. Dodici che Olivier Beigbeder definisce “il numero delle relazioni con il mondo”. Dodici come la somma delle lettere che compongono il mio nome e cognome (6-4-2-5-5-7-3-10-2-3-4-1-7). 

In verità, la mia passione per i numeri applicata al linguaggio ha poco o niente di metafisico. E’ una sorta di oroscopo personale (1-3-5-2-8-9). Una parola divisibile porta bene, è di buon augurio (3-6-10-5-4-1-2-4-7). Il massimo del massimo è una parola di dodici lettere eterogrammatica, cioè con ogni lettera diversa dall’altra. E poi forse c’entra pure la mia idiosincrasia per la soggettività (1-3-1-5-4-2-3-13-3-2-12). La matematica è il linguaggio dell’universo (2-10-1-2-10-4-8). Il grande fascino che esercita la sua algida e rassicurante oggettività è frutto di un mondo dal quale è escluso l’io. Vedere nel linguaggio dei numeri equivale a rigettare le interpretazioni personali, i bizantinismi semantici. E’ il linguaggio nudo e crudo, lo scheletro del linguaggio (1-2-10-4-1-5-2-9-3-10). 

In pittura ogni artista si riconosce da alcuni dettagli anatomici: le mani paffute di Leonardo, quelle venose di Pedro Berruguete, gli artigli ossuti di Carlo Crivelli e Cosmè Tura. Ma le mani sono composte dallo stesso numero di ossa (2-2-4-4-8-5-6-6-2-4). Ecco, io vedo le ossa, ciascun osso (4-2-4-2-7-4). E amo le parti anatomiche costituite da un numero pari di ossa (1-3-2-5-10-10-2-2-6-4-2-4). 

Le mani di Giada erano scarnificate sulle nocche del dorso (2-4-2-5-5-12-5-6-3-5). Era a causa dell’acido gastrico che le corrodeva la pelle quando si infilava le dita in gola per vomitare. Giada è bulimica (5-1-8). Subito dopo aver mangiato va in bagno a rimettere (6-4-4-8-2-2-5-1-8). Credo che lo faccia perché fu lasciata dal marito mentre era incinta, e da allora pensa che la causa dell’abbandono fu la sua pancia. La sua improvvisa grassezza (2-3-10-8). Giada è una ragazza problematica, e a me piacciono le ragazze problematiche (5-1-3-7-12-1-1-2-9-2-7-13). Penso che solo l’esperienza di un grande dolore sia in grado di farci raggiungere un livello di coscienza più alto. Le epilettiche, masochiste, disoccupate, psoriasiche, complessate, adottate, molestate dal padre, anoressiche o bulimiche io le preferisco alle altre. Mi sembra che abbiano uno spessore umano diverso, maggiore (2-6-3-7-3-8-5-7-8). Devo avere la sindrome di San Giorgio, quello che salva la fanciulla dal drago (4-5-2-8-2-3-7-6-3-5-2-9-3-5). Ho sempre pensato che fosse indizio di bontà d’animo, la mia passione per le ragazze problematiche. Andare in soccorso dei più deboli, cercare di salvarli (6-2-8-3-3-6). Ma forse è solo il tentativo di garantirmi un credito, di assicurarmi una gratitudine perenne che, invece, di lì a poco si trasformerà in risentimento. La gente si vendica quando gli fai i favori (2-5-2-7-6-3-3-1-6). 

Con Giada è andata così, e in fondo era prevedibile, dato che si chiama Giada Dreghi. Undici lettere (6-7). Una disgrazia (3-9). Ciononostante mi sorprese lo stesso la sua fuga, e stetti da cani quando mi comunicò che mi lasciava per un pubblicitario più giovane di me. Ancora adesso, a distanza di tanti anni, la sogno. Immagino che torna con me, mi chiede scusa perché è pentita, ha capito lo sbaglio commesso (8-3-5-3-2-2-6-5-6-1-7-2-6-2-7-8). I sogni che la riguardano sono molto simili, partono dalla stessa matrice e poi evolvono con minime varianti. Tipo che mi citofona all’improvviso, si mette a piangere e mi supplica di riprenderla. Oppure che la incontro casualmente per strada, di ritorno da una festa con amici, mentre è importunata da degli stronzi che meno e metto in fuga. E’ che io riesco a sognare ciò che voglio (1-3-2-6-1-7-3-3-6). E’ un metodo che ho affinato col tempo (1-2-6-3-2-8-3-5). In pratica, nel dormiveglia mi impongo un canovaccio prefissato, che poi nella fase rem viene sviluppato con qualche aggiustamento necessario ad assicurare l’effetto sorpresa. 

Ma Giada non è mai tornata da me, e da allora penso seriamente al suicidio (2-5-3-1-3-7-2-2-1-2-6-5-10-2-8). Dico seriamente perché in realtà al suicidio ci penso da sempre. Credo sia il mio destino (5-3-2-3-7). Leggendo Cioran, mi ero quasi convinto che quell’ossessione funzionasse come una sorta di esorcismo. Se pensi spesso ad ammazzarti, poi finisce che non lo fai (2-5-6-2-10-3-7-3-3-2-3). La tieni a bada, l’ossessione (2-5-1-4-1-10). Ecco, forse l’ossessione per i numeri, la passione per le donne problematiche, l’abitudine a ipotecare l’onirico, a organizzare meticolosamente gli aspetti pratici del mio suicidio, hanno tutte la medesima spiegazione. Controllare le componenti irrazionali della vita, imbrigliare tutto ciò che sfugge al normale controllo: l’amore, la morte, il linguaggio, i sogni. Decido io cos’è una parola, scelgo io cosa e chi sognare, di quale donna innamorarmi, quando e come morire. Giorni fa, leggendo dei versi di Caproni, avevo trovato perfino il biglietto d’addio giusto (6-2-8-3-5-2-7-5-7-7-2-9-1-5-6). Sobrio e ricco, letterale e simbolico allo stesso tempo (6-1-5-9-1-9-4-6-5). Per un citazionista come me sarebbe un’imperdonabile arroganza andarmene con delle mie parole. Delle parole nuove (5-6-5). Le parole non sono mai nuove (2-6-3-4-3-5). Sono numeri, e i numeri sono antichi come il mondo, appartengono a tutti e a nessuno (4-6-1-1-6-4-7-4-2-5).  Ad ogni modo, il biglietto d’addio diceva: “Scendo. Buon proseguimento” (2-4-4-2-9-1-5-6-6-4-13). Era perfetto (3-8). Secco e non patetico (5-1-3-8). Peccato che proseguimento sia di tredici lettere (7-3-13-3-2-7-7).

(immagine tratta da http://panizzi.comune.re.it/eventi/1996/piero/IMAGE/PIERO-.GIF)

Racconto bianco

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di Andrea ‘mubi’ Brighenti

Il confine più importante è quello tra bene e male. Suor Claudia non si stanca di ripetermelo, e anche quando non parla ce l’ha scritto in faccia costantemente. Le suore sono così ottuse, hanno una pazienza che ti fa saltare i nervi. Una pazienza da bue, una lentezza da bue, una pesantezza da bue. Odio le suore. A volte mi verrebbe voglia di tirarmi giù le mutande e dire a suor Claudia: “E questo è bene o è male?”. Ma so già cosa succederebbe: mi darebbe una sberla da farmi schizzare contro la parete. Significa che è male. E il male fa male. Come una sberla.

Le narrazioni della paura. Un anticorpo.

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di Christian Raimo

Le narrazioni della paura. Le narrazioni della paura sostituiscono, surclassano, invadono, succhiano lo spazio delle narrazioni del male. Ne costituiscono la versione commerciale, si potrebbe dire. Cosa sono queste narrazioni della paura? Grossolanamente, delle narrazioni che invece di scomporre, destrutturare, anatomizzare la sintesi che operano i luoghi comuni, ne sfruttano e ne amplificano comodamente la potenza emotiva. Viviamo rappresi tra queste sintesi, subiamo la scontatezza semantica di formule come “terrorismo islamico”, “scontro di civiltà”, “masse di immigrati”, “alienazione giovanile”. Per questo trovare visioni, autori che – nel loro modello poetico – tentino di rovesciare questo meccanismo di riduzione estetica è assai salutare.

Miracle! di Lakis Proguidis (trad. Cris Altan)

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corda_indiana.jpg Ah, quel cartellone pubblicitario alla fermata dell’autobus… ho rischiato di esser vittima di un arresto cerebrale. Invento questo termine medico per chiarire che nel mondo attuale il cervello può essere soggetto a trombosi letali. Ma sì, da un momento all’altro la centrale del pensiero può, come il cuore, rifiutarsi di funzionare. In questi casi il corpo continua a vivere normalmente: sente, beve, inghiotte, digerisce, scoreggia, fa l’amore impeccabilmente, si stanca e dorme. Ma il raziocinio va in tilt. Bloccato. Non si tratta di follia, e nemmeno di un delirio. È peggio. È come se d’improvviso uno spesso sipario ci calasse dentro il cranio, separandoci dalle nostre facoltà critiche. Tremendo.

Da “Degli angeli minori” (1)

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immagine-071.jpg di Antoine Volodine

Traduzione di Andrea Inglese

Queste traduzioni inedite in Italia sono apparse inizialmente su il calzerotto marrone (n°4, 2006). Su NI è disponibile un’altra traduzione inedita a cura di Andrea Raos (qui)

Chiamo narrats dei testi post-esotici al cento per cento, chiamo narrats delle istantanee romanzesche che fissano una situazione, delle emozioni, un conflitto vibrante tra memoria e realtà, tra immaginario e ricordo. È una sequenza poetica a partire dalla quale ogni fantasticheria diviene possibile, per gli interpreti dell’azione come per i lettori. Si troveranno qui quarantanove di questi momenti di prosa.

Deleuze: perché il cinema?

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di Fabio Martina

La filosofia ha un certo interesse a studiare il cinema per la maniera particolare in cui presenta dei concetti, oppure come dice Nancy(1), per la modalità specifica in cui “li drammatizza”. L’utilizzo del termine “drammatizzazione” non è un’invenzione di Nancy se è vero che Deleuze in “Differenza e Ripetizione”, mostra come l’attualizzazione delle virtualità dell’idea avvengano mediante dei “processi che si configurano come drammi, che drammatizzano l’idea”(2).

Al di qua del libro: sulla figura dell’editor-letterato

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Piero Sorrentino intervista Andrea Cortellessa e Aldo Nove

23 gennaio 1954. In occasione dell’uscita nei Gettoni einaudiani di Memorie dell’incoscienza di Ottiero Ottieri, Vittorini scrive a Calvino: “ (…) E quanto al discorso sui trent’anni dei giovani – sarà vero che noi li invitiamo a riscrivere i loro libri – ma perché accade che i loro libri non siano mai pubblicabili come ce li presentano a tutta prima?”. Vittorini non era un editor accomodante – penso anche alla bandella con cui, proprio nei Gettoni, stroncò La Malora di Fenoglio. È ancora pensabile un atteggiamento così energico, a tratti anche rude, per un responsabile di una collana che si occupa prevalentemente di giovani o esordienti, oggi, come i Gettoni allora?

Aforismi di Arminio

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di Franco Arminio 

Perché non credo alla vita
perché non ci credo?
Cammino tenendola tra le mani
come si può tenere una faina.
Non posso morderla, non posso accarezzarla,
penso solamente al fatto che dovrò lasciarla.
 

Poesie da “I bosch di Celti”

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di Edoardo Zuccato

Süj piatt in dua te mangiat
gh’é sü ’na storia pitürâ sü;
la vegn föra dasi dasi
(un pess, ’na facia, un fiur ca l’é no ’n fiur)
e quan’ te rivat in fonda t’ê menga finî
e ’l piatt l’é lüstar ’me ’n specc.

La terra dei fuochi a nord di Napoli

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Somma Vesuviana

testo di Peppe Ruggiero, fotografie di Eduardo Castaldo

Ballata delle madri

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di Pier Paolo Pasolini

Mi domando che madri avete avuto. 
Se ora vi vedessero al lavoro 
in un mondo a loro sconosciuto, 
presi in un giro mai compiuto 
d’esperienze così diverse dalle loro, 
che sguardo avrebbero negli occhi? 

Il dolore differito

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di Franz Krauspenhaar

copbt.jpgE’ un debutto a mio avviso importante questo di Giovanni Martini, (La nostra presenza, Fazi Editore 109 pagg. euro 12,00) narratore romano non più giovanissimo ma – in tempi di pantere grigie che ancora saltano sui palchi di mezzo mondo con una Fender Stratocaster tra le mani – ancora giovane.

Tre inediti

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di Giancarlo Tramutoli

Enel 

Si dice
che Ungaretti
pagasse delle mostruose
bollette della luce.
 

 

Dario: hai rotto il patto!

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di Gianni Biondillo

In data 5 novembre Dario Borso ha scritto questo commento:

Anteprima Sud 7:Gianni Scognamiglio /Anna Maria Ortese

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L’AUTORITRATTO: UN’ INDAGINE AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO
di
Piero Berengo Gardin e Renata Prunas

Un ritrovamento d’archivio.
Un volto disegnato a matita.
Una dedica autografa: Gianni ad Anna, 23 ottobre ’47.
Una coincidenza: l’ultimo numero di ‘Sud’, settembre 1947.
Un sospetto: il “Racconto a due voci”, a pagina 27.
Una prova: le ‘voci’ di Anna Maria Ortese e Gianni Scognamiglio.

La settimana del depresso 7

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di Gianni Biondillo

 

Amammo, amiamo, teniamoci stretti…

La settimana del depresso 6

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di Gianni Biondillo

 

Il male il male il male il male il male.

***

“Dio esiste!” “Si, certo, e ci odia!”

***

Nessuna causa, nessuna causa:
solo caso, solo caso ed effetto.

Nei tuoi panni/ Furlen vs Topor

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immagine dal sito: www.deviantart.com
L’Homme Elégant ne pisse jamais contre le vent ni ne crache en l’air mais il vide parfois le contenu de son verre sur ses vêtements, par humanisme.Topor ( Le manifeste de l’Homme Elégant)
Art.67 del manifesto del comunista dandy

Il comunista dandy in un’opera di decostruzione costante dei principi appresi nell’infanzia, i panni sporchi non li laverà in famiglia ma fuori, nelle lavomatic. Luogo di incontri e scambi nell’intimità dei capi, gli unici per un comunista dandy, da indossare. L’attenzione si eserciterà nella naturale complicità con il luogo mettendo in secondo piano la prossimità e scegliendo il sito in funzione di variabili così suddivise.

Lavomatic silent room
Quando il cuore è percorso da oggetti estranei incompatibili si scelga la lavomatic anonima e meccanizzata tipica delle zone universitarie.