di Mauro Baldrati
C’era un tipo – lo chiamavano Faustone – che conoscevo al paese, prima di emigrare a Roma per lavorare al giornale. Era un uomo di circa trent’anni, altissimo, sarà stato due metri e dieci, con una grande testa di capelli neri voluminosi e due mani enormi, due mazze che avrebbero atterrato un bue.
Era un personaggio mitico, era stato sposato con una ragazza bellissima, molto alta anche lei (circa un metro e novanta), magra, nervosa, atletica. In un paese dove l’altezza media delle persone era di un metro e sessantacinque, loro due formavano una coppia che suscitava sconcerto, e, forse, ammirazione e invidia. Il matrimonio comunque durò meno di sei mesi, perché lei, un giorno, fu ricoverata in ospedale per le percosse ricevute. Almeno così si diceva, e la cosa mi stupì, perché ho sempre considerato Faustone un tipo generoso, un buono, sempre disponibile verso gli altri.
Schiuma hard-core
I modelli famigliari
Piccola ode a Carlo Giuliani e Mario Placanica,
ognuno a suo modo, cinque anni dopo,
campioni del mondo
di Christian Raimo
1.
Una volta sola mi è successo soltanto
di venire colpito (in un sogno) alle spalle, da un colpo vagante.
(“La morte per caso”, se è questo che intendi).
Il corpo del colpo era stato scaldato e temprato
in una matrioska di bagni concentrici:
sensi di colpa e stragi di stato.
Da noi tutto avviene in famiglia.
Il nonno finanziere ad esempio
lascia un’arma sopra la mensola della credenza;
arriva il bambino, sei anni, la prende e s’ammazza;
poi nasco io suo fratello, rapiscono Moro, mia madre
tradisce mio padre.
Piccola apocalisse postmondiale
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di Helena Janeczek
Emancipate yourselves from mental slavery, no one but yourself can free our minds (Bob Marley, Redemption Song)
In Alta e forse Bassa Lombardia viene giù un nubifragio che andrebbe classificato come tempesta, in una città che grazie a un precedente governo fondamentalista indù occorre chiamare Mumbai si contano i cadaveri dei pendolari dilaniati che nessuno ha la bontà di rivendicare, la striscia di Gaza e i confini fra Libano e Israele sono sull’orlo della guerra, a Mogadiscio si sparava a quelli che guardavano le partite e si continua a sparare, a Vibo Valentia devastata dall’acqua brucia un negozio devastato da una bomba, a Napoli bruciano i rifiuti, a Beirut viene bombardato l’aeroporto, in Kashmir sono ammazzati altri quattro indù, il Libano chiede la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti accusano Siria e Iran di usare Hebzollah e Hamas, l’India esige chiarimenti dal Pakistan, forti piogge in Cile causano undici morti e tremila sfollati, il Giappone chiede che il consiglio di sicurezza dell Onu voti presto sugli esperimenti missilistici della Corea del Nord.
Il calcio è una metafora della guerra, ma non è la guerra, siamo sull’orlo di una guerra o più di una guerra con possibilità di proliferazione ed escalation nucleare, il calcio non è la guerra e quindi che cazzo ce ne frega di che cosa Materazzi abbia detto veramente a Zidane, soreta, mammeta, e invece ce ne frega, ce ne frega, il calcio è una metafora della guerra, il calcio è specchio e prefigurazione, prefigurazione tragicomica ma pur sempre prefigurazione, è specchio per le allodole, per chi sull’orlo della guerra è distratto da panem et circensis, e allora scusate se prima di cominciare a tremare seriamente, guardiamo un attimo indietro.
Francamente fuori strada
di Pierangelo Berrettoni
Francamente mi pare che siamo fuori strada: la maggior parte dei commenti sembra partire dal presupposto che il calcio e il tifo relativo siano in se’ un valore positivo e che solo la corruzione li abbia contaminati rendendoli provvisoriamente impresentabili. Un po’ come quando Croce sosteneva che il fascismo era una malattia contingente scoppiata in un organismo sano.
All’ombra del noir
di Gian Paolo Serino
Proprio a maggio avevamo incontrato lo scrittore Jake Arnott, autore di una trilogia nera che, non solo nel Regno Unito, ha appassionato milioni di lettori pur mantenendo una dignità letteraria che nulla concede al lettore. A stupirci un suo annuncio ufficiale: l’abbandono del genere “noir”. Motivazione? Per Arnott, autore dell’ultimo “Delitti in vendita” (Marco Tropea Editore) è un fenomeno che, almeno in Inghilterra, si è affievolito.
VIET NOW – I nipoti inquinati #3 e fine
di Gianluigi Ricuperati
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E’ soltanto al ritorno, a Kuala Lumpur, nell’aeroporto più bello del mondo, che cade come una tagliola la domanda fatale – ma cosa sono andato a fare, davvero, in Vietnam? Ed è solo qualche ora più tardi, a diecimila chilometri d’altezza, la risposta – mi sono trasformato in una serie di oggetti. E prima di pensare che abbia detto troppe volte sì ai cognac delle hostess: è tutto vero: è uno dei modi autentici di viaggiare – immaginare di trasformarsi negli oggetti che hanno affollato le tappe del viaggio, i reperti solitari che non vedrai mai più e che per qualche tempo sono stati lì, la versione materiale di una dama di compagnia con il cronometro sempre acceso. Il soprammobile di una stanza perduta. L’animaletto che pende dal soffitto di un’auto casuale. Le posate che ti hanno catturato l’attenzione in un pranzo veloce, menù internazionale. Oggetti civili, malinconia civile. Ma lassù, sulla curvatura del pianeta, all’altezza della Russia centrale, succede che gli oggetti, in questo Vietnam, non sono affatto civili. Sono quasi tutte mine. Affissioni che invitano ad abbattere aerei. Armi di fabbricazione sovietica. Volantini che esortano alla ribellione – ribellione per mezzo di proiettili – proiettili di fabbricazione americana. Trappole per uomini – trappole per animali che nascondono trappole per uomini – divise militari femminili.
All’alba, un gennaio
di Manlio Cancogni
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Oggi, 6 luglio 2006, compie novant’anni Manlio Cancogni, nato a Bologna il 6 luglio 1916. Di Cancogni ho letto alcuni libri (Allegri, gioventù, Azorin e Mirò, Il Mister, La carriera di Pimlico) e mi sono piaciuti tutti. Mi è piaciuto il suo italiano fragile e risoluto, mercuriale e transeunte, come è spesso degli scrittori italiani che hanno scritto per lo più negli anni ’50, ’60 e ’70, e che hanno accompagnato l’italiano in città (conservandogli le suole delle scarpe sporche di terra). Voglio ringraziare Cancogni trascrivendo un suo racconto brevissimo tratto da La sorpresa (Scheiwiller, 1991), quattro paginette che mi sono sempre rimaste impresse per la loro capacità di mettere in scena la tenerezza amorosa in una forma, fuori dalla narrazione, impensabile. Il racconto si intitola All’alba, un gennaio.
I lager sono tra noi
di Franz Krauspenhaar
“Trovarmi in un Cpt è stata l’esperienza forse più traumatica di tutto il mio percorso di vita. Non solo per le botte. C’è di peggio in quanto a traumi. Però intanto partiamo da quelle. Te ne racconto una…”, così racconta Jihad, palestinese con alle spalle l’esperienza di ventun anni passati a Rebibbia, in una delle storie che in parte compongono Lager Italiani, Bur pagg. 283 euro 9,80, di Marco Rovelli, cantante e autore nel gruppo musicale “Les Anarchistes” e poeta.
Crossing California
un ragionamento fatto attorno a Adam Langer, I giorni felici di California avenue, trad. Adelaide Cioni, Einaudi, 2006
di Gianni Biondillo
Faccio una certa fatica a parlare di questo libro. La stessa che ho fatto a leggerlo. Intendiamoci: è un romanzo ottimamente scritto, davvero un esordio straordinario, in perfetta continuità con la lunga e prolifica tradizione della letteratura ebraica-americana, che ha fatto accostare, alla critica statunitense, il nome di Langer a quello di veri e propri monumenti letterari quali Saul Bellow o Philip Roth.
Il giornalismo italiano e l’islam: letture

un’inchiesta di Roberto Santoro
Indice delle puntate pubblicate su Nazione Indiana
- Introduzione. Il giornalismo cazzuto
- Il trust orientalista
- Il fante atlantico. Gian Micalessin embedded a Falluja
- Un giornalista giusto. David Frum, l’americano che non fa sconti
- Il manager religioso. La top ten fondamentalista di Massimo Introvigne
- Reportage dall’inferno. La discesa di Cristina Giudici nell’Islam italiano
- La mafia islamica. Una risposta ai lettori di Paolo Granzotto
Carbonara
di Spliff
(In occasione della superclassica Italia-Germania di stasera e in “onore” dei soliti stereotipi che molti tedeschi e italiani si lanciano allegramente a vicenda da sempre- vedi il recente caso Der Spiegel – propongo il magnifico testo di un hit krautreggae di più di 20 anni fa del gruppo della Neue Deutsche Welle (new wave tedesca) Spliff, che ebbe un successo clamoroso soprattutto sulle nostre spiagge – si era nel 1982 – forse anche perché, mi azzardo a pensare, quell’estate gli azzurri batterono nella finale dei Mondiali di Spagna la Germania, e tornarono dopo decenni campioni del mondo. Buon divertimento, soprattutto stasera… FK)
Io voglio viaggiara in Italia, in paese dei lìmoni
Brigade Rosse e la Mafia, cacciàno sulla Strada del Sol.
Distruzione della Lira, Gelati Motta con brio,
Tecco mecco con ragazza, ecco la mamma de amore mio.
Sentimento grandìoso per Italia, baciato da sole calda
borsellino è vuoto totale, perciò mangio sempre solo…
Il “Combattimento in trentasei turni fra poesie in cinese e in giapponese” di Fujiwara no Yoshitsune
Tra la fine del XII° ed i primi decenni del XIII° secolo, si assisté in Giappone a numerosi tentativi di rinnovamento e di ampliamento del lessico utilizzato nella “poesia in giapponese” (waka 和歌).
Padre Quotidiano/Matteo Palumbo
VAN GOGH, Vincent,Portrait of Pere Tanguy 1887-88
Oil on canvas92 x 75 cm Musee Rodin, Paris
Padri e figli
di
Matteo Palumbo
L’archetipo del disagio verso l’autorità è senza dubbio la celebre Lettera al padre di Franz Kafka. Il malessere qui manifestato, il brivido di paura, avvertito da chi scrive come una febbre che corrode la fiducia necessaria a esistere e ad agire, trovano la loro origine nella consapevolezza di una insopportabile prigionia. Il mondo del padre contiene leggi inflessibili: vincoli, doveri, modelli, obblighi, che condizionano le scelte dell’altro. Il Padre è «troppo forte»; esibisce «robustezza, salute, appetito, sonorità di voce, facondia, soddisfazione di Sé, superiorità verso il mondo, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, una certa generosità».
L’epistolario di Antonio Vallisneri
di Sergio Garufi
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A. Vallisneri, Epistolario (1714-1729), in Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri – Carteggio, CD a cura di Dario Generali, Firenze, Olschki, 2006, pp. XIV-1873, euro 50,00.
Con questo CD l’Edizione Nazionale vallisneriana si è arricchita di un altro contributo fondamentale, che mette a disposizione degli studiosi un materiale ingente sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Nell’edizione elettronica proposta da Olschki sono pubblicate più di 1100 lettere, comprese fra il 1714 e il 1729, che completano l’epistolario del naturalista scandianese, aggiungendosi alle 476 precedentemente raccolte nei due volumi Angeli, curati sempre da Generali, usciti nel 1991 e nel 1998, relativi agli anni 1679-1710 (vol. I) e 1711-1713 (vol. II).
La mafia islamica
Una risposta ai lettori di Paolo Granzotto
settima e ultima puntata de “Il giornalismo italiano e l’Islam”
un’inchiesta di Roberto Santoro
[leggi la prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta puntata]

Il “Padrino, parte seconda” è una fantastica lezione
sullo scontro di civiltà.
Maurizio Crippa
La rubrica della posta è il più profondo spazio di corrispondenza tra la redazione e i lettori di un giornale. In questa pagina si captano gli umori del pubblico e i peli sullo stomaco dei giornalisti, grazie a un genere di scrittura molto personale, a un linguaggio schietto e fuori dai denti.
“La parola ai lettori”, la rubrica curata da Paolo Granzotto per il Giornale, rappresenta uno dei principali strumenti di fidelizzazione utilizzati dal quotidiano di Paolo Berlusconi per corteggiare il suo pubblico più fedele, con una sapiente dose di tradizionalismo.
Granzotto ha iniziato a scrivere a 19 anni sulla “Settimana illustrata”, ha lavorato dieci anni al “Messaggero” e gli ultimi venti li ha trascorsi al Giornale, prima come inviato e poi come vicedirettore. Viene dalla scuola di Indro Montanelli, maestro insuperato di quella generazione di giornalisti italiani conservatori, appassionati di storia e belle lettere.[1]
Poeti del Québec (su “l’immaginazione”)
Francis Catalano
Traduzione di Maria Teresa Carbone
Da Panoptikon (Éditions Triptyque, 2005)
la tele trasporta le masse ovunque in salotto
individui divisi in gruppi e sottogruppi per regnare meglio
la tele teleporta uno sguardo
l’occhio dell’oggetto piombato nel qui-ora
oggettivo mutato in soggettivo
io strappato ai noi
noi strappati alla tradizione
figlio sottratto alla madre
cordone ombelicale che si secca nell’atrio
è la vedette del film, è il dittatore
loro ci dicono guardate come è bello
esserci senza esserci
e nulla che si muove
mentre di fatto è l’occhio che si muove
e freme come sotto una goccia.
Chi possiede il tuo computer?
di Bruce Schneier, traduzione di Communcation Valley, via A/I
Quando la tecnologia è al servizio di chi la possiede, fa sentire liberi. Quando viene progettata per essere al servizio di altri, ignorando la volontà di chi la possiede, allora diventa oppressiva. Proprio adesso, nei vostri computer, è in atto una vera e propria battaglia, che vi vede opposti a worm e virus, trojan, spyware, update automatici e tecnologie per la gestione dei diritti digitali. È la battaglia per determinare chi possiede il vostro computer. Ovviamente siete voi a possedere il computer. Lo avete acquistato. Avete pagato per averlo.
Ma quanto controllo avete realmente su ciò che accade nella vostra macchina?
Bacheca di luglio 2006
Se vuoi, puoi usare i commenti qui sotto come spazio per segnalazioni e discussioni a tema libero durante il mese.
GAMMM:::
di Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Massimo Sannelli, Michele Zaffarano
GAMMM è una stanza o galleria d’arte moderna che avvicina intenzionalmente l’arte e la scrittura contemporanee, non nella forma di una semplice giustapposizione, ossia affiancando opere d’arte e opere letterarie; ma credendo e dimostrando che le arti visive e la musica contemporanea, così come la scrittura di ricerca, nelle loro numerose e diversissime forme, sono fatte della stessa stoffa, delle stesse domande; e hanno elementi in comune tra cui spicca ormai chiaro un carattere percepibilmente ‘installativo’, freddo, non performativo.
Che fare?/ Gomorra ovvero della città distratta
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immagine dal sito :www.zoomedia.it
Perchè se il centrodestra vince le elezioni in Sicilia si legge che ha vinto con i voti della mafia, e quando il centrosinistra vince in Campania nessuno parla di Camorra?
Perchè non si vuole sapere che tra i comuni commissariati in Campania ve n’erano anche di centrosinistra?
Perchè il Presidente Bassolino non vuole sentire parlare di Gomorra?
Perchè l’appello che qui segue, di Peppino Montesano alle istituzioni è, per il momento, caduto nel vuoto?
Perchè non si vuole vedere quello che accade e che riguarda tutti?
A quando la città di Napoli bandirà Gomorra, come un tempo condannò La pelle di Malaparte, reo d’aver gettato fango sul migliore dei mondi possibili?
Bassolino come Lauro? No, io questo, non voglio crederlo. Bassolino ti prego fà qualcosa di sinistra, forse è il momento giusto. Quando inviterai Roberto a discutere di Gomorra?
Francesco Forlani
Io, cittadino nelle terre di Gomorra
di Giuseppe Montesano
(“Il Mattino”, 12 giugno, 2006, pag. 11)
Il Presidente
di Giorgio Morale
A un tratto cessano le sgranocchiate e i parlottii e gli uffici sono investiti da una folata di moto perpetuo: il Presidente è arrivato. E’ spesso in giro, ha affari in mezza Italia. Dirige quattro associazioni no profit, cooperative, una finanziaria. Alcune sono allineate in quel corridoio, che, più va avanti, più diventa buio.
“Solo io posso fare questo” dice.
Poi precisa.
“Bada: non è megalomania, è realismo. Se posso fare qualcosa per gli altri, e farlo bene, perché non farlo?”.
