di Giorgio Vasta
Falso inizio
Dal treno, rallentando, oltre il finestrino rigato del mio scompartimento, entrando nella stazione di Zugo, attraverso la parete di vetro di una palazzina moderna (ricorderebbe – ed è probabile che sia una sua diretta discendente, nella concezione vetro-cemento-metallo – la Heidi Weber Haus di Le Corbusier, che sta poco più in là, a Zurigo), vedo, frammentati, scomposti dalle lame strette orizzontali delle tapparelle, ognuno vestito di colori diversi (riconosco il verde, del rosso, del blu), un gruppo di sei sette persone. Sono disposte in un cerchio allungato, un’ellisse, sono leggermente sollevati dalle sedie (tranne che per queste sedie la stanza appare vuota), come si stessero alzando lentamente (proprio al ralenti), tutti insieme. Tengono le braccia sollevate come fossero ali, inarcandosi (questo movimento di inarcamento di spalle e braccia, oltre ad alludere al volo ha anche qualcosa dell’immergersi – sembra di assistere a un tuffo pensoso). Più alto degli altri un uomo biondo, con i baffetti e una lieve peluria sul viso, bionda anch’essa, magro ma solido, si inarca e si innalza sopra i suoi allievi (suppongo siano i suoi allievi, per come guardano, per come restano, nella riproduzione del gesto, qualche millimetro indietro rispetto al maestro), con maggiore compenetrazione, con gli occhi socchiusi, e guarda in alto, estatico: probabilmente è il capostormo di questa nidiata di svizzeri volanti.