In visita a Mehdi

di Annet Henneman (Teatro di Nascosto – Hidden Theatre)

Da aprile 2006 Mehdi Zana non può lasciare la Turchia, nonostante sia in possesso di un passaporto svedese. Probabilmente una reazione del governo turco alla partecipazione al teatro reportage “Rifùgià-ti” (con la partecipazione di 9 parlamentari, attori e rifugiati) in cui Mehdi racconta la sua storia personale e insieme la storia del popolo curdo. Nella replica di Roma erano presenti alcuni giornalisti turchi che hanno scritto articoli critici su questa partecipazione: Mehdi è stato accusato di aver offeso lo stato turco parlando dei curdi. Lunedì 5 febbraio si è svolta la prima fase del processo che ha come atto d’accusa l’articolo 301.
Vado a Diyarbakir per filmare la sua parte all’interno del teatro reportage, in modo che sarà presente almeno in immagine e voce nel parlamento europeo a Bruxelles, dove il 6 giugno di quest’anno si farà lo stesso spettacolo.

Una cosa è migliorata nella situazione di Mehdi: adesso può lavorare, e può anche essere un rappresentante politico. Ma lui non vuole più. Vuole solo lavorare per la causa curda.

Sono in trasferta all’aeroporto di Parigi. Ho paura che prima o poi rinchiuderanno Mehdi in carcere per tappargli la bocca definitivamente. Le cose accadute ultimamente in Turchia sono preoccupanti. Stavolta non sono tranquilla come un anno e mezzo fa, quando sono andata per invitarlo a partecipare allo spettacolo.

Sono sull’aereo per Diyarbakir, e sono diventata un’altra volta la straniera. Al check-in mi volevano mandare via dai voli interni, pensavano che mi fossi sbagliata. Sono l’unica straniera, l’unica con i capelli biondi. Gli stranieri a Diyarbakir si vedono solo a marzo, con il New Roz, il capodanno curdo.

La situazione a Diyarbakir è il risultato dei trentamila villaggi distrutti, bruciati, durante la guerra tra il PKK e l’esercito turco, che ha creato un flusso di orfani e rifugiati interni nelle grandi città del Nord Kurdistan.
Mehdi mi riceve nell’ufficio della sua organizzazione “Ombrello dell’amore”, dove sta lavorando al progetto di costruire una grande struttura che farà da casa ai tanti ragazzi orfani, senza tetto. Una grande sartoria con macchine per cucire, macchine da taglio, che darà lavoro a molti disoccupati, sarà già attiva dalla settimana prossima.
L’ufficio è in un quartiere di strade lunghe e dritte. E’ la Diyarbakir che ho visto nei cortometraggi. Diyarbakir dove hanno messo in carcere durante un New Roz Dino Frisullo, il pacifista morto alcuni anni fa. Diyarbakir assalita dai carri armati. Diyarbakir, ovvero Amed, capitale del Nord Kurdistan, cantata in tante canzoni curde. Diyarbakir, dove 9 anni fa, quando siamo arrivati per la prima volta, lungo la camminata dalla pista di atterraggio all’aeroporto, c’era una fila di soldati turchi armati con una mitraglietta…

Non è più così la Diyarbakir di oggi. Non si vedono quasi poliziotti, ma guarda caso nell’albergo non riesco a vedere il canale con la musica curda, e Roj tv (la televisione curda satellitare, in esilio in Belgio) è stata vietata in tutta la città. E so che tante stazioni radio e televisive hanno difficoltà ad esistere, trasmettere e lavorare.
Poi c’è questo processo a Mehdi (e chissà quanti processi simili si stanno svolgendo dei quali non sappiamo niente), perché ha raccontato in un intervista al giornale “Il Tempo” che il popolo curdo è stato diviso tra quattro paesi. Non sono legato a nessun partito o movimento curdo, ha detto, Ma non sono contro nessuno di loro, perché tutti lavorano per la causa curda, anche se hanno opinioni diverse.
Nel primo incontro con il giudice di Diyarbakir gli è stato chiesto se non ha niente contro il PKK. Ha risposto di no. Lei sa che il PKK è un’organizzazione terrorista, ha detto il giudice. No, ha risposto Mehdi, Anche il PKK lavora per la causa curda, ci sono divergenze, diverse opinioni, questo sì, ma è normale. Allora anche lei è un terrorista, ha detto il giudice.
Il processo proseguirà a Istanbul. Un processo sulla base dell’articolo 301: offesa dello stato turco. Sembra che questo articolo sarà cancellato, ma anche laddove lo fosse, resterà in vigore l’articolo 26 della costituzione turca, e non cambierà nulla.

Art. 26. Tutti hanno il diritto di esprimere e divulgare suoi pensieri e opinioni tramite parola, scrittura o immagini o tramite altri media, individualmente o collettivamente. Questo diritto include la libertà di ricevere e dare informazione e idee senza interferenza delle autorità ufficiali. Questa disposizione non dovrà precludere cambiare argomento alla radio, televisione, cinema e altri mezzi di un sistema di licenza.
L’esercizio di queste libertà può essere ristretta per lo scopo di protezione di sicurezza nazionale, ordine e sicurezza pubblica, le caratteristiche di base della Repubblica e la salvaguardia dell’integrità indivisibile dello stato con il suo territorio e la sua nazione, prevenendo criminalità, punendo la delinquenza, trattenendo informazione debitamente classificato come segreto di stato, proteggendo la reputazione e il diritto alla privacy e vita di famiglia e altri, o proteggendo segreti professionali come prescritto dalla legge, o assicurando il giusto funzionamento della giustizia.
Le formalità, condizioni e procedure da applicare nell’esercitare il diritto all’espressione e divulgazione del pensiero sarà prescritto dalla legge.

Nella stanza al primo piano del ristorante, una stufa a legno, due uomini seduti vicino per scaldarsi. Fuori il canto che richiama alla preghiera. Sono l’unica donna presente. Amo questi posti, dove va a mangiare chi ha pochi soldi da spendere ma vuole mangiare bene. Le tazze per l’airan (bevanda a base di yogurt, acqua e sale) sono di ferro battuto, un lavoro che si vede fare lungo le strade e dentro i vicoli della parte vecchia, antica della città. Mangiamo kebab, insalata, peperoncino (trush, molto piccante), prezzemolo (non tagliato come è l’abitudine lì), cipolla cruda con peperoncino macinato. Che gusto buono, il kebab, i pomodori fatti sulla brace…

Amo camminare per queste strade antiche, popolate da donne con i loro figli – e quanti figli, non se ne vedono così tanti in Italia, né in Olanda, o in Inghilterra. Ci sono tanti bambini e ragazzi che lavorano per le strade, vendendo merci, pulendo scarpe, facendo qualunque tipo di lavoro possibile. Con me ci sono Mehdi e Benjamin, perciò questi ragazzi non mi avvicinano per vendermi qualcosa, per provare le loro poche parole in inglese, per chiedere soldi. Vedo, annuso la povertà di chi vive appena a livello di sopravvivenza, scarpe vecchie, vestiti vecchi, consumati… negozi semplici che non hanno vetrine di lusso, negozi con tutte le merci esposte in strada…

Poi Mehdi mi dice: Scrivi, scrivi: tra dieci anni il popolo curdo mostrerà al mondo cosa vuol dire legge, umanità e democrazia.
Mi sono sempre chiesta come ha fatto Mehdi a rimanere una persona amorevole con tutti gli anni di prigione e le torture che ha vissuto. Gli anni che lui ha raccontato in un libro: “Undici anni di prigione”. Ricorderò sempre quello che raccontò a Milano in una giornata per Leyla Zana, che in quel momento stava ancora in prigione. Ha raccontato di ratti vivi infilati in bocca mandati giù con un martello. Non dico di più.
Mehdi dice che era preparato. Che da bambino stava sul tavolo dei sarti ad ascoltare le persone che venivano e raccontavano eventi terribili, che durante i viaggi ai piccoli villaggi sentiva storie crudeli – questo ha fatto in modo che lui fosse pronto e preparato. E quando scrisse il suo libro sapeva cosa si poteva aspettare: essere arrestato, picchiato, ucciso.
Mehdi dice che ha sempre incoraggiato gli altri in carcere. Tutto finirà, e usciremo dal carcere. Mi amavano per questo, dice.
Odi i turchi, Mehdi? Alla mia domanda risponde deciso. No. No. In tribunale li ho ringraziati per le torture, per il fascismo turco, perché con tutto questo la questione curda è progredita di vent’anni.

La sera prima di partire sono invitata al ristorante. Musica dal vivo, ballo curdo, mangiare buono, e una tavola piena di compagnia calorosa, i collaboratori del progetto, nipoti, Mehdi.
Nella borsa il mio tesoro, mini dvd con i film della parte di Mehdi nello spettacolo. Ci sarà anche lui a Bruxelles, nel parlamento europeo, salutando il pubblico, raccontando che avrebbe voluto esserci di persona, ma che non gli è permesso lasciare la Turchia.


Per donazioni per “L’ombrello dell’amore”, organizzazione di Mehdi Zana
Banca: İŞ BANKASI DİYARBAKIR DAĞKAPI ŞUBESİ
Nome del numero di conto corrente:
SEVGİ ŞEMSİYESİ SOKAK CUKLARI DERNEĞİ
IBAN ACCOUNT NUMBER: TR57 0006 4000 0018 30018666 61

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5 Commenti

  1. Già. Purtroppo non accadrà. La Turchia è troppo importante, bisogna tenersela buona. Così, non resta che tener desta l’attenzione, e non perdere occasione per far sapere.

  2. Non credo sia solo un’americanata. E’ fuori di dubbio che la divisione dell’Iraq in tre parti è stata una strategia a lungo termine degli americani, abilissimi giocatori al divide et impera. A Kirkuk – città in cui la gente non esce per paura di bombe e rapimenti, città prigione, città in cui non si compr il telfonino al figlio per paura che lo rapiscano perchè lo credono ricco – molti pensano che dietro alcune bombe ci stiano proprio gli americani, per mantenere alto il livello di tensione tra le etnie. Dopodiché è chiaro che la questione è complessa, i curdi sono stati deportati e massacrati dal Baath, adesso tornano e marginalizzano gli arabi costringendoli ad andarsene (la storia procede secondo questi movimenti ciclici, vittima-carnefice, questo è il tema). E’ chiaro che in una situazione egemonizzata dagli americani la pacificazione tra le etnie – ciò che andrebbe perseguito per spezzare il cerchio (e ciò che ad esempio risalta dalla testimonianza di Mehdi) – si rende impossibile.

  3. “molti pensano che dietro alcune bombe ci stiano proprio gli americani”.
    Molti pensano che era meglio quando si stava peggio.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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