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La follia amorosa [Eracle #8]

minotauro2

di Ginevra Bompiani

Eracle, la testa mezzo nascosta dalla pelle del Leone Nemeo,
nemmeno se ne accorse.

Per Minosse quel toro era la sua vergogna. Perciò aiutò Eracle a catturarlo. Interessava più a lui che a Euristeo che l’eroe se lo portasse via. Al paese l’animale aveva fatto due doni infami: la follia amorosa e il Minotauro, entrambi scavati nel grembo di Pasifae, regina imbestiata.

Eracle liberò Creta dalla causa di quei flagelli, ma i doni restarono. Restarono per Teseo. Poiché Teseo apparteneva alla generazione successiva, s’imbatté nei frutti dell’albero che Eracle aveva divelto. Ma anche lui lasciò intatto qualcosa: la follia amorosa, che lo investì come uno sciame di api disturbate nel favo. Fosse viltà o consapevolezza, appena ebbe tra le mani la bellezza di Arianna, la depose sull’isola e fuggì prima che le sue vele spiegate s’incontrassero sullo stesso orizzonte con dio dell’ebrietà.

Lui, aveva bisogno della purezza. Non poteva cedere alla trama che il filo di materia imprecisa che lo aveva tratto dal labirinto, filo di sensualità super umana, di eros selvatico, cordone ombelicale che unisce la donna all’uomo inerme, al protetto, al figlio-ragazzo, gli tesseva intorno.

Risparmiò Fedra perché era una bambina. E Fedra, cresciuta, chiuse intorno a lui il cerchio del delirio incestuoso. (Ma forse la storia fu tutt’altra, forse Teseo non riuscì semplicemente più a scordare il Minotauro).

Eracle quella fatica l’aveva compiuta per Teseo. Ma per averla compiuta, un nuovo segno s’impresse su di lui, come una tacca sull’albero, impercettibile fino al giorno in cui, sciolto dagli obblighi, avrebbe contato su di sé le cicatrici lasciate dalle sue battaglie: il delitto, la lussuria, l’avidità, il sacrilegio. Tutte le spoglie strappate al nemico vinto, e poi indossate come trofei: ultima la tunica bagnata nel sangue del Centauro che divenne la sua stessa pelle infuocata. Gli ultimi anni della sua vita Eracle li passò sotto altre spoglie, rovinoso dietro la maschera cieca che gli era cresciuta sul viso; come un manichino investito da un fulmine – e non era da meno la sua forza splendente – apparve ancora tremendo e poi si disintegrò.

A quel tempo il suo sonno era divenuto torbido, e ogni risveglio più terribile. Uscito dalla regola che lo teneva stretto – per un ciclo di dodici infinità – se ve ne sono altre – quella che aveva domato con tanta facilità, prendendola per le corna e portandosela dietro come un cane, s’impadronì di lui, e forte del riso sommesso degli dei, si scatenò nelle sue braccia.

Ma, in quella ottava fatica, ne era ancora ignaro. Legò il toro pazzo e lo portò a Euristeo che lo lasciò vagare libero nei campi. Eracle su quella bestia non aveva speso un pensiero. Neppure quando il re Minosse, mentre insieme lo legavano, soffocato dalla vergogna, alzò verso il liberatore i suoi occhi acuti. Fu uno sguardo molto rapido. Eracle, la testa mezzo nascosta dalla pelle del Leone Nemeo, nemmeno se ne accorse.

[Questo è l’ottavo di tredici racconti sulle dodici fatiche di Eracle e resto. E per dare altri numeri La follia amorosa è incluso in una raccolta intitolata Le specie del sonno uscita nel millenovecentosettantacinque per i tipi di Franco Maria Ricci e riedita da Quodlibet nel millenovecentonovantotto. Nella prefazione Italo Calvino ha scritto Per i miti una prima volta non c’è mai stata; o ogni geroglifico si sovrappone la storia delle sue decifrazioni; è così che nel nostro confronto col mito, sia la sua immagine che la nostra immagine si moltiplicano come in una stanza foderata di specchi. E specchio sia, anche NI. L’opera in apice è Il minotauro 2 di Davide Rinaldi. La prima fatica di Eracle è qui, la seconda qui, la terza qui, la quarta qui, la quinta qui, la sesta qui, la settima qui.

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11 Commenti

  1. “… nemmeno se ne accorse”

    torno a leggere anche i vecchi e sempre questo aguardo e questo entrare in altri mondi che sempre si dischiudono. Preziose le domeniche, dischiuderanno mondi per anni.

  2. beh, il simbolismo legato al filo di Arianna l’ho trovato geniale.
    Qui si fa cosa nuova, si rievoca e insieme si reinventa il mito di pensiero in pensiero. Quanti ne pubblicherete ancora? Ogni domenica temo che sia l’ultimo… :-(

  3. E’ un testo di alta poesia: illumina gli aspetti misteriosi del mito. Ho molto amato il brano dedicato alla trama del filo d’Ariane. Follia amorosa che si sposta nel cuore di Ariane, dopo la fuga dell’eroe. Per me rimane il silenzio del testo antico su Ariane e il suo dolore, come se il testo antico
    fosse ingannato dalla presenza dell’eroe che per errore fa morire suo padre. Se il dolore di Ariane è sconosciuto nel testo, invece la pena di Didon è viva, conosciuta.

  4. qualche mese fa mi venne il pensiero che Didone si uccidesse non perché infelicemente innamorata e abbandonata, ma perché perduta nell’amore non sapesse più piangere il marito morto, e potesse allora solo raggiungerlo per ritrovarlo.

  5. beh, è una rivisitazione del mito anche questa. ed è una storia con un grande senso di preghiera. e in fondo la speranza di incontrarsi ancora in qualche dove.

  6. per me in qualche modo, dopo aver cantato Purcell, Didone diceva:”mi son perduta nell’amore e non mi so più lamentare”. E allora il rogo, per sfuggire a un altro labirinto, e vi ricordate il “Mi son persa” della protagonista del Tè nel deserto alla fine?

  7. che bello.
    ginevra bompiani, ma chi sei?
    per intanto mi leggo tutti gli altri, ma già ti chiedo: scriveresti mica una storia dei miti cortesemente?
    che bello, che piacere leggere.

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