La luce prima, il turbamento poi

LA-LUCE-PRIMALettera a Emanuele Tonon scritta da Alessandro Chiappanuvoli

 

Caro Emanuele,

è quasi un mese ormai che ho finito di leggere La luce prima, ma finora ho aspettato a scriverne, seppure una reazione me l’abbia scatenata il tuo libro. Ho aspettato perché ho avuto un po’ di paura, lo confesso. Molti occhi in questo momento sono puntati su di te e il tuo nome circola sempre più spesso sulle bocche di esperti del settore e non ho voluto espormi. Mi spiego. Non è che abbia paura di dire che il tuo libro non mi è piaciuto, non è questo il punto perché sono convinto che La luce prima non sia un’opera scritta per piacere, ho avuto paura di ammettere che mi ha turbato, profondamente.

Ho cominciato l’anno passato a ricordare il tuo nome, letto qua è là su internet, con l’uscita del tuo ultimo lavoro. Non fu l’argomento Marco Simoncelli (I circuiti celesti) a incuriosirmi, ma i post lusinghieri sui social network di tante conoscenze, per te amici, che abbiamo in comune. Lessi così un tuo racconto sul primo volume della rivista Watt Magazine e, devo dire, quell’estratto proprio da La luce prima, però decontestualizzato, non mi impressionò particolarmente. Mi promisi però di leggerti meglio. Nei giorni immediatamente precedenti all’ultima edizione della fiera Più libri più liberi, diverse persone mi dissero che sarebbero venute alla tua presentazione e mi avevano invitato a partecipare. Non riuscii a venire quel venerdì, fui presente a Roma solo il sabato e me ne andai in giornata. Passai tuttavia allo stand della Isbn Edizioni e presi questo tuo libro, lo scelsi istintivamente, loro mi consigliarono pure di partire da Il nemico ma non volli sentire ragioni, ormai avevo scelto. Lessi inoltre, a ridosso del Natale, il tuo scambio di lettere con Moresco, fu la svolta decisiva che mi fece prendere in mano La luce prima.

Le pagine iniziali, devo ammetterlo, sono state difficili per me. Mi sono sentito fuori luogo, come una persona estranea presente per caso a un momento familiare decisivo, o peggio, a un delicato scontro d’amore. Sulle prime non ne coglievo correttamente il senso del testo e ti rivelo che mi sono anche interrogato sul perché delle tante parole d’elogio spese in tuo elogio che avevo letto. Mi sono detto più volte di andar via, di chiudere il libro e di nasconderlo tra gli altri nella libreria, non con rancore però, sia chiaro, avrei voluto farlo con tacito riserbo, invece, come se non avessi voluto disturbare il tuo mondo, umano e letterario. Ogni volta però, la sera, aprivo di nuovo La luce prima e ne leggevo qualche pagina. Ti giuro, non ho continuato per la curiosità morbosa di sapere di più su te e su tua madre, né per interesse critico, per carpire insomma qualche segreto dallo scrittore alla moda di turno, e poi, confesso che ho avuto subito l’impressione che il tuo libro non volesse dimostrare nulla, tantomeno il tuo talento, ma che fosse piuttosto, e avevo ragione, un gorgo, un vortice centripeto che ingoia dai piedi. Ho continuato a leggerlo, invece, proprio per quel turbamento cui accennavo e che prendeva sempre più forma in me, e poi perché, come te, amo mia madre, e mio padre, e mi spaventa l’idea di perderli, e ancora perché, più di tutto, mi spaventa l’idea di perderli prima che abbia potuto esprimergli tutto il mio amore, e la mia gratitudine, e pure i rancori e le paure legate così visceralmente al nostro rapporto. Sai, vivo in una terra dove la morte ha deciso di venire a vivere in pianta stabile, deve essersi affittata una casa in centro storico, credo, e questa presenza mi turba, mi turba tutta questa imprevedibile fragilità alla quale non ero mai stato abituato.

A causarmi quel turbamento penso sia stata la domanda che si è insinuata nel mio cervello, pagina dopo pagina, notte dopo notte. Trovarle risposta mi pareva che potesse essere il modo giusto per dargli pace, a quel turbamento. Ebbene, in queste settimane, ho capito che non è vero, che non è possibile quietarlo, trovare la risposta a quella domanda è solo un gioco al massacro, è infliggersi gratuitamente un dolore, è masochismo. Ecco, quella domanda: «Sono capace io – non solo come scrittore ma come uomo – di soffrire così tanto? Di causarmi tanta sofferenza? Sono capace di spogliarmi completamente di ogni riservatezza e di ogni artificio retorico per mettere a nudo il mistero emotivo e razionale che mi lega non solo a mia madre ma a qualsiasi altra persona?»

Tu ne sei stato capace, te ne devo dare atto, ed è questo il pregio principale del libro: la dimostrazione tua, di uomo e di scrittore, di saperti mettere totalmente in gioco, senza esitazioni, per certi versi, e al contempo con una paura fottutissima, umana, che traspariva in ogni parola.

Forse quel mio turbamento era mosso anche dall’invidia, chissà, l’invidia per il tuo coraggio, non lo escludo. Preferisco però, per un mio equilibrio psicofisico, pensare che si sia trattato di innocente ammirazione. Vedi, dal mio punto di vista, il valore di questo tuo coraggio, e quindi del libro, non si esprime tanto nelle immagini che hai scelto di raccontare, né nei dettagli che hai descritto, quelle piccolissime e preziosissime verità familiari che riveli prima di tutto a te stesso, e poi a tua madre, e poi a tutti noi, quanto invece nella capacità tua, personale, di far breccia, di riuscire a portare finalmente la luce nella buia vulnerabilità che ogni essere umano ha dentro di sé, e che poi scatena domande inquietanti come la mia. È come se, scavando dentro te stesso, avessi scavato e tirato fuori segreti inconfessabili, archetipi umani, dentro di me, e dentro ogni uomo che ha calcato la superficie del pianeta. È la tua confidenza col mistero che mi ha turbato. È stata non tanto la tua fede dichiarata, quanto la tua fedeltà al mistero stesso che mi ha illuminato, prima, e conquistato, poi.

Grazie.

Vorrei farti dono in cambio, perché è vero che il dono genera alleanze, il video di questa canzone, che mi ha fatto pensare a te e alla tua Luce.

http://www.youtube.com/watch?v=TPlQmBqtOjU

 

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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