Tre poesie

di Maria Grazia Calandrone

da Serie fossile, inedito.

Philip Parham


(°) – seme 

hai una debolezza di spiga, 
muscoli di cavalla, un’arsura 
di sabbia calpestata 
nella spina dorsale 
e un solco di aratura,
la solitudine di una bestia santa all’angolo
destro della bocca, dove un’intelligenza 
appena nata ti sfiora
quasi senza svegliarti

metti il dito nel solco del tuo cuore, indicami

scopri la crepa tua da dove stilla
il mio sangue sulla foresta dei simboli e nel sonno che specie di amore 
trabocchi 
sugli oggetti intorno 

                                   (quanto eccede 
la misura del corpo finisce 
per agire tra i legamenti elettrici del mondo
come la bruciatura
del neutro – l’inizio 
dell’anonimo – poggia con tutto il peso
sulla Terra Straniera del tuo corpo – per favore
non dirlo, chiudi la bocca)

perché il tuo occhio destro sfiora le acque
di un mare sepolto
                                – seme,
profondamente
rovo e corona
di specie 
sconosciuta – 
                        apertamente tace come bronzo, cammina 
nel presente 
come in un tempio, come nella memoria – 

                                                                      fin che dal fondo
dal teatro del mare 
una creatura adulta disarmata
si alza in piedi, crede al tuo perdono

23.5.13

-

© – fossile 

metti una mano qui come una benda bianca, chiudimi gli occhi, 
colma la soglia di benedizioni, dopo che 
sei passata attraverso
l’oro verde dell’iride 
come un’ape regale 
e – pagliuzza
su pagliuzza,
d’oro e grano trebbiato – 
hai fatto di me 
il tuo favo di luce

una costellazione di api ruota sul tiglio
con saggezza inumana, un vorticare di intelligenze non si stacca 
dall’albero del miele

                                   – sarebbe riduttivo dire amore
questa necessità della natura – 

                                                    mentre un vuoto anteriore rimargina 
tra fiore e fiore senza lasciare traccia:

                                                              usa la bocca, sfilami dal cuore 
il pungiglione d’oro, 
la memoria di un lampo che ha bruciato la mia forma umana
in una qualche preistoria 

dove i pazzi accarezzano le pietre come fossero teste di bambini:

                                                                                                           avvicinati, come la prima
tra le cose perdute
e quel volto si leva dalla pietra per sorridere ancora

24.5.13

-

breve disamina del fenomeno amoroso in un soggetto umano non esemplare

la terra perdonata
espone i corpi come su un altare al magnifico niente
perché c’è dentro così tanto di vivo
che basta al cielo
per essere cielo

io benedico
questo tuo corpo buono come pane
nel fuoco verde dell’erba e benedetta l’aria che respiri, beato il pane
dentro la tua bocca,
benedetto lo smalto dei tuoi denti
e beata la crema, che chiara all’angolo della tua bocca
chiede luce alla luce. quando ti appoggi
alla corteccia nuova del tiglio
come un sintomo della dolcezza terrena
la pasta calda e morbida della tua bocca
prende luce diretta
dagli apparati radicali

poi quel corpo di cardo e catena
che dice all’altro fermati

data l’immersione del corpo incandescente Alfa nel liquido freddo dello sguardo di Omega e data la scrupolosa osservazione alla quale esso è stato sottoposto durante i ripetuti tentativi di affondamento, si evidenziano i primi risultati provvisori:
1. proiezione di schizzi in forma di corona irregolare, accompagnati da
2. sfrigolii e seguiti da
3. una produzione decrescente di fumo sottile di colore azzurrino.

si sottolinea che, per tutta la durata dell’esperimento, il corpo Alfa non ha collaborato: dimenandosi in maniera irragionevole, esso ha prodotto un costante fenomeno di autocombustione, che ha impedito l’ottenimento del risultato sperato, ovvero il silenzio e l’immobilità finale del corpo stesso.

si conclude che: il corpo umano Alfa è ostinato e tende a recuperare il suo stato di primitivo calore.
tende inoltre a esprimersi in modo incomprensibile nei confronti di Omega:

ricordo sempre
il contatto
fra il tuo viso e la terra e il tuo viso
diventare l’autunno, la primavera e il sole
sopra i campi del grano

indotti dunque, nostro malgrado, a una prima ispezione empatica dell’osservatore Alfa si rileva che:

per tutta la durata dell’incontro un impulso elettrico primordiale
stacca il cuore dal petto di Alfa come una foglia
e lo inoltra nel petto di Omega, nel suo corpo obbediente
come una residenza imperiale, che Alfa osserva ininterrottamente

mentre registra i continui lapsus del corpo di Omega, Alfa sorride internamente e dice: “tra poco avremo la fioritura dei mandorli, sarà bello”. poi abbassa gli occhi, non aggiunge:

io ricordo la mandorla del seno e la figura
che sporgeva una mano dal fondo
del tempo e della natura. io ricordo l’invito e la fusione
di minerali primari
e ricordo che tutto rideva
dal tuo sorriso-arco
baleno
e brillavi all’interno come una cosa che non ha paura e sta vicina

 

* conclusioni

a conclusione della presente disamina si nota che, da qualche tempo, l’osservatore Alfa non rivolge più all’osservato Omega espressioni quali: “ti prego”. si immagina che Alfa non preghi più.

pare altresì opportuno segnalare che, dal medesimo intervallo di tempo, l’osservatore Alfa si alza dal letto e cammina, nel sonno, in direzione della casa di Omega, obbedendo a un segnale di natura apparentemente magnetica. si può dunque ritenere l’omissione oratoria di Alfa quale semplice effetto di un’autoregolamentazione, operata al fine di non turbare l’osservato Omega con estrinsecazioni inopportune.

compiuti pochi passi, l’osservatore Alfa, tuttora addormentato, comincia a produrre un’abbondante misura di lacrime davanti alla porta per raggiungere Omega. si suppone che ciò avvenga perché la porta per raggiungere Omega è stata chiusa dall’osservatore stesso, in stato di veglia.

risvegliandosi nel cuore della notte invernale nelle condizioni descritte, l’osservatore Alfa si siede e aspetta. se richiesto di cosa stia aspettando, risponde: che infine sia l’alba

27.1.14

 

 

(Foto: Philip Perham)

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6 Commenti

  1. Bellissime!
    Beh, ma siamo davanti alla poesia sovrana della produzione italiana di femmina.
    Tra le femmine la Calandrone è il massimo, assieme a Cera Rosco, Farabbi e Saracino (in ordine alfabetico).
    Senza dubbio alcuno: si leggano le nostre pagine sparse editate in bruma editoriale, riaccolte in condensa equorea, rovesciate su stami o corolle del giardinaggio di raccolta fieristica, strami o dirupi del sentire postmoderno, che la latrina poostribolare altera per facezie similanti a urla orgoniche.
    Che però non scriva altro che poesie, che sono altro, ben altro che posture disideologiche, pozioni psicotrope.

  2. “E l’alba ci sorprende, preludio a uno sterile purgatorio,
    colpevole di riaffiorare il nulla che la notte aveva coperto.”

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alessandro broggihttp://biobibliografia.wordpress.com
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