Camminando nei notturni della testa
di Mariasole Ariot
Camminando nelle palpebre del tempo ci si affaccia ad un notturno, la gola che si secca di spazio e di pretese, le maglie troppo strette per sentire – è muovere il coraggio di afferrare per nascondere un già detto, le grondaie si tramutano in silenzi: bevi il resto del presente, nascondi la tua faccia dalle case e dalle cose, nascondi la tua faccia dalle troppe ricorrenze, i giorni di Natale e le scommesse dei più vecchi, nascondi la tua faccia e fanne un grido: è questo affacendarti che si dice troppo tardi. La nascita contraria : è un bulbo partorito senza gambe
***
Di nuovo si soccorre, l’accadere di posture senza senso che ci schiaccia nel terreno, dove mine che hai cercato di scansare sono mine che ti invitano a cadere: è l’esplosione dei corpi mai offuscati, un occhio che si stinge con un rivolo di sangue.
La corrente non fa fiume e non si pente: è ridere sul niente, intravedere le suture della mente e farne un gioco per la festa – il perdersi a calura di un mondo già invecchiato. Ricorda delle reti vuote, dei pesci senza testa che hai mangiato, ricorda delle case, delle porte senza chiave che urlavano i secondi: ricorda delle mani, delle dita premute alla memoria, dei futuri : che assomigliano ai ricordi.
***
Non fare la procura di una notte, quando vedi da vedetta che la furia delle ombre non si muove, quando il cielo è a un grado più alto del pensiero – e la Gradiva di notte ha il cranio perforato: è l’utero del mondo che hai pentito. Ci affonda una domanda più del tempo, riformula la luce del mattino, i reduci che dici di aver visto: deludi se prospetti e non percorri, deludi la tua forma e la specchiera, deludi quella fame nelle gambe, deludi quella porta che non chiude, deludi le materie le mancanze le memorie, deludi il già deluso, deludi le scapole le voglie le promesse. Ancora ti risvegli tra la soglia e la tua strada, interstizi la tua calma, ricorda che è passato, che i morti : sono aghi senza cruna.