Prove d’ascolto #11 – Andrea Inglese

Sono testi questi di non so bene cosa. Perfetti per “Prove d’ascolto”, quindi. Esperimenti. Ma con un’idea abbastanza chiara di fondo. Sono testi performativi, o installativi, nel senso preciso del termine, ossia possono divenire parte di un progetto d’installazione sonora. Lettura performativa e installazione sonora sono modalità che ho già combinato assieme, e che mi interessa combinare ancora. Sono forse solo radioprose o monodrammi. In ogni caso, mi sembrano testi deficienti alla lettura silenziosa, e invece destinati ad essere portati dalla voce, registrata e senza corpo, o incarnata.

 

⦿

Vero che denuncerai? Io so che tu denuncerai, non puoi davvero non denunciare, ogni cosa che scriviamo, che scrivo io o scrivi tu, poco importa, ognuna di queste cose dev’essere una denuncia, perché è così, te lo dico io, noi siamo italiani, dobbiamo denunciare, dobbiamo autodenunciarci, è l’unico modo, bisogna farlo, e in ogni frase, quando racconti, quel tuo racconto è già una denuncia, le facce dei tuoi personaggi già lo denunciano, è tutto il paese che viene denunciato da quelle facce, da quei personaggi, che in fondo denunciano l’autore stesso, figlio del proprio paese, perché anche ogni verso, ogni benedetto endecasillabo, se si presentasse il caso che uno, di endecasillabo, ancora ci fosse, in quello che scrivo io o scrivi tu, lì dentro tutto deve vibrare, negli accenti di quarta o di sesta, e in tutti quelli secondari, un vibrato d’indignazione, e la denuncia deve emergere netta, accentata, metricamente organizzata, non possiamo, lo sai bene, scrivere senza la denuncia, senza lo strascico della denuncia, senza lo sprone apripista della denuncia, in un paese come il nostro, che va raccontato e denunciato, messo in versi e denunciato, perché vedi, ascolta bene, se noi ora, che siamo sì di questo paese, a contatto con i suoi mali, ci sistemiamo bene dietro a queste righe di denuncia, se le teniamo bene tese di fronte a noi, queste continue denunce scritte, io credo che spingano tutti quanti a una certa indulgenza, perché alla fine si dovrà riconoscerlo, lo si ammeterà anche nei luoghi più inoperosi e indifferenti, “Avete visto, però, avete visto come loro denunciavano, come permanevano tutti fedeli e ligi alla loro denuncia, di questo bisognerà tenerne conto, perché loro sì erano dentro al paese, vi erano immersi fino al collo, ne respiravano di continuo l’amaro ossigeno, eppure denunciavano sempre, in ogni frase scritta, loro per non sbagliare, una denuncia l’hanno sempre espressa”.

 

⦿

 

Noi siamo gli uomini che quando veniamo non stiamo attenti. Attenzione! Noi siamo gli uomini che quando veniamo, veniamo tutti assieme. Che sia chiaro! Noi veniamo assieme, noi veniamo non troppo attenti, noi siamo impazienti, perché noi uomini, oggi, lo siamo tutti assieme, disattenti, agitati, e quando veniamo non abbiamo sempre intenzione, veniamo senza una precisa intenzione, ma veniamo di corsa, quando corriamo tutti assieme, noi uomini saltiamo i gradini, noi scendiamo le scale a rotta di collo, non facciamo troppa attenzione quando veniamo così, entriamo dentro la vita. Ripeto: dentro la vita! Senza nessuna intenzione, noi uomini abbiamo la testa bassa, quando veniamo così poco attenti, è bene avere la testa bassa, lo sguardo offuscato, noi siamo tutti assieme e sappiamo abbassarci, quando entriamo nella vita come cadendo, come saltandogli addosso, noi siamo gli uomini che non fanno attenzione, che hanno una certa forza, la forza del corpo in caduta, la testa che piomba inerte, senza neppure avvertire, noi veniamo in silenzio, a volte qualcosa si libera, dei suoni da dentro, dei suoni sordi, un po’ cavernosi, ma non per parlare, noi veniamo senza attenzione per le parole, non ci lasciamo impigliare in qualche bel discorso, mentre saltiamo dentro a piè pari, saltiamo con grossi stivali, abbiamo i piedi protetti da grandi stivali da salto, abbiamo sulla testa dei casci, dei grossi caschi da caduta, sulla bocca abbiamo delle protezioni metalliche, e delle bende colorate, perché non sono le parole, ma i suoni, sono dei suoni di corpi chiusi che salgono, che passano il filtro, mettiamo le mani avanti, per cadere bene, con indosso dei gambali, delle ginocchiere, delle punte sull’elmo, quando andiamo bassi, tutti disattenti dando di testa, se calpestiamo bene, ma senza vedere cosa o chi si calpesta, ma siamo venuti da uomini, tutti assieme, senza troppa attenzione, per scendere con tutto il peso, e la nostra pelle è rovente, perché non vediamo e non sentiamo più niente, ma la pelle è rovente, quando agguantiamo certe capigliature, o urtiamo con le ginocchia le teste scoperte, o col piede affondiamo nel molle, noi non possiamo avere nessuna attenzione, quando travolgiamo la vita, solo la pelle nostra è infiammata, e tutto prude sotto le placche protettive, il metallo, e ci agitiamo con le braccia come lunghe mazze, le agitiamo davanti, senza vedere chi o cosa viene buttato all’indietro, oggi siamo venuti, così, come uomini assieme a uomini, senza nessuna possibilità di sguardo, di parola, per cadere, per calpestare qualcosa, disattenti, con impazienza d’uomo.

 

⦿

 

Io davvero non me la prendo, però mi sembra strano, non mi dà fastidio che veniate, è vero che vi vedo spesso, forse è un processo anche un po’ naturale, forse è così che accade anche agli altri, agli altri gruppi, è un fenomeno diffuso, quindi quando venite non mi sembra strano, non sto’ neppure lì a dirmi: “Sono venuti a mani vuote”, oppure “Sono venuti con qualcosa”, “Anche stavolta hanno portato una cosa, un pensierino”, non ho questo tipo di preoccupazioni, anche se cerco almeno, e questo è un mio diritto in fondo, cerco di ricordarmi quale sia la frequenza delle vostre visite, e quando ci siamo visti l’ultima volta, capita persino che ve lo domandi, non credo debba avere vergogna di questo, magari le volte sono tante, oppure sono anche rare, ma conta il modo, conta davvero il modo, ora che ci penso, quando ad esempio venite fino in camera, io sono qui in camera mia, non faccio niente di speciale o di troppo intimo, e vi vedo camminare per la stanza, non so poi perché dobbiate camminare tanto stancamente, so bene che spesso vi alternate, mentre uno viene a camminare in camera mia, l’altro rimane in piedi nel corridoio con entrambe le mani appoggiate a una parete, che è davvero un modo esagerato di esprimere la propria stanchezza, o magari davvero siete in buona fede, quello che cercate di esprimere un po’ goffamente è una disinvoltura, volete convincermi che non vi intimidisco, che non sono un tipo minaccioso, però non è solo questione di modo, venite anche di rado, vi mettete a camminare fin dentro la mia stanza in quel modo maldestramente disinvolto, che denota in realtà una grande stanchezza, o forse una concupiscenza, anche se mi sembra strano vedere in voi segnali di concupiscenza, è semmai il tono della vostra voce, e il fatto che mentre uno di voi comincia a parlare, l’altro subito sembra dover fare lo stesso, uno apre bocca, e l’altro pure, uno comincia a parlare e l’altro si deve interrompere per non dare sulla voce a quello che parla, c’è sempre uno di voi che riesce a parlare prima dell’altro, e sempre ce n’è uno che deve tacere, come fosse il timido della situazione, quello che aspetta di parlare sempre troppo tardi, per poi essere costretto a tacere, ma chi parla comunque mi dà del tu, che è anche ovvio, siamo parenti, non è questo il vizio di forma, ma un vizio c’è, perché mi sembra che le domande che mi facciate non siano innocue, vi interessate a quello che avrei o meno dovuto realizzare, sembra che io vi abbia sempre fatto credere in una mia voglia impellente di realizzare cose, non di grandi cose, ma piccole faccende, viaggi in macchina con il bagagliaio pieno, lavori in casa, soprattutto in cantina, passeggiate fino al lago, passeggiate da fare parte in bicicletta e parte a piedi, ma io non ho nessun obbligo, né nei miei confronti, né nei vostri, io decido sempre di non fare un bel niente, anzi appena vi dico una cosa, appena vi metto al corrente di un mio progetto, è assolutamente certo che io non ne farò nulla, e potete venire tranquillamente fino in camera, venite in camera come se doveste cercarmi, ma non c’è nessuna sorpresa mai, io sono in camera come sempre, a volte mi trovate persino in piedi, che tocco con il naso il vetro della finestra, ma quasi sempre sono sdraiato sul letto a pancia in su, e faccio certi miei calcoli, e quando cominciate a girare con il passo stanco intorno al mio letto, per chiedermi se sono andato a venderla quella mia vecchia enciclopedia, che avevo giurato mesi prima di voler vendere, anzi di essere quasi costretto a venderla, visto che un tipo per telefono mi aveva assillato più volte, sottolineando ad ogni occasione che mi stava facendo una splendida offerta, un’offerta che può fare solo un collezionista disarmato, un collezionista completamente vulnerabile come era lui, per quell’affetto irragionevole che aveva per quella enciclopedia, la stessa compratagli, lui piccolo, dal nonno, il nonno morto strangolato, ma questo l’ho pensato io, perché appena si metteva a parlare del nonno aveva un tono smarrito, o forse un tono spaventato, e si capiva che era successo qualcosa di terribile a quel nonno, ma io non mi ero messo a infilare i libri dell’enciclopedia in uno scatolone, che era davvero un’inutile enciclopedia per ragazzi, di quelle che non si leggono né da ragazzi né da adulti, e che avevo stupidamente ancora in giro per casa, ma io l’ho detto a queste persone, quando una di loro comincia a parlare e l’altra si zittisce, gliel’ho detto, “Sto facendo un enorme lavoro su di me, e questo lavoro voi non potete nemmeno immaginarlo, io mi preparo ad anni di calcoli, ad anni di calcoli razionali, non in senso strettamente matematico, non so neppure bene come dirlo, ma dovete credermi, io voglio calcolare tutto, ma in modo non diverso da quanto farebbe, o fa giornalmente, il buon padre di famiglia, il padre di famiglia di media autorità, il padre di famiglia non patriarcale, quello che non ammazza di botte la moglie, che non prende a calci la figlia, quel padre responsabile che non getta tutti i soldi nelle scommesse, io voglio calcolare tutto, come quel padre lì, ma più lucidamente, cioè più esplicitamente, meno incosciente e più conscio, io voglio che dove il medio padre di famiglia è portato a muoversi in modo un po’ inconscio, ebbene esattamente lì io voglio muovermi in modo perfettamente conscio, e tutti questi calcoli io devo anche trascriverli, in modo che possa leggermeli nel momento che agisco, non per niente, è una cosa molto rigorosa, ma è anche un principio semplice, io voglio che ci sia conscio dove c’era l’inconscio, e per fare questo la tenuta mnemonica non basta, ci vuole un quaderno, cose scritte nero su bianco, e se io devo uscire a comprarmi un’aspirina, voglio non solo pensarci su, e poi mettermi in moto, voglio anche verificare sul quaderno che effettivamente mi trovo in quell’esatta circostanza in cui è del tutto raccomandabile comprare un’aspirina, e quindi alzarsi dal letto, per recuperare scarpe, portafoglio e cappotto, e dirigersi con le chiavi in mano fuori di casa, chiudendo la porta, a chiave, dietro di sé, questa cosa io devo poterla leggere, senza che la lettura intralci la mai risoluzione pratica, per questo il quaderno con i calcoli me lo tengo legato intorno al collo con un cordino, e mi basta tenerlo aperto con una mano per leggere, avendo l’altra mano libera per infilarmi una scarpa dopo l’altra, perché è chiaro che si possono fare tantissime cose con una mano sola, con soltanto una mano libera, per cui nessuno può ora ignorare che io sto facendo questo enorme lavoro, ma non lo faccio per voi, non crediate che lo faccia per liberarmi di voi, lo so che venite fino a qui; in camera, per parlarmi di come sono finiti i miei progetti, di come si sono tradotti, concretamente, i miei precedenti propositi, non lo faccio, questa cosa del quaderno dei calcoli, per togliervi di mezzo, anche perché non è che io vi veda veramente come degli esseri vicini, intimi, mi sembrate piuttosto essere sconosciuti, giunti qui dentro per caso, e rimasti intrappolati in una conversazione di cui non capite veramente il senso, ma che mandate avanti per timore o superstizione, non siete miei consanguinei in verità e nemmeno io devo giustificarmi davanti a voi a tutti costi, mettendovi al corrente del quaderno di calcoli, e dell’enorme lavoro che mi attende.

 

⦿

 

Ad ognuno di noi è stato fatto capire, non so nemmeno io bene quando e come, non è che a scuola siano così insistenti su questo punto, e nemmeno a casa, in famiglia, durante cene o pomeriggi domenicali, ma lo abbiamo imparato molto bene, lo sappiamo, come fosse un istinto, uno strano istinto, dobbiamo diventare qualcuno, essere qualcuno, dobbiamo almeno cercare, far finta di esserlo, dobbiamo darci da fare per questo, si è felici a questa condizione, se ci arriviamo, non si sa bene quando, poi le cose vanno meglio, la vita sembra felice, si esibisce quel tipo di sorriso, si allunga il braccio elastico per dare certe strette di mano, si è meglio piazzati sui due piedi, davvero, con un senso molto maggiore della gravità terrestre, quando si è diventati qualcuno, lo sguardo, anche, diventa subito panoramico, invece che intrappolarsi in dettagli spiacevoli, in chiazze per terra, ombre sui volti, ragnatele negli angoli dei soffitti. La nostra società è così divisa: ci sono un certo numero di qualcuno, e poi ci siamo noi, quelli qualunque, che facciamo massa anonima, i qualcuno è gente che nessuno può confondere, scambiare con altra gente, i qualcuno hanno qualcosa di inconfondibile, è una nube traslucida, una sorta di aura, malgrado tutto dev’esserci rimasta un po’ di aura, ne circola ancora intorno al viso dei qualcuno, questi sono come perfettamente avvitati dentro la loro vita, se sono sposati sembrano avvitati alla perfezione dentro il loro matrimonio, se sono accoppiati liberamente e informalmente, lo sono in modo fondato e disinvolto, e naturalmente hanno un lavoro, anzi una professione, e la loro professione fornisce professionalità ad ogni loro gesto, e nel loro lavoro, nella rete di rapporti lavorativi, così come nel loro ambiente lavorativo, in senso concreto, spaziale, architettonico, e non solo morale, i qualcuno sono avvitati benissimo, saldi dentro la rete, dentro gli spazi, che sembra un miracolo si riescano persino a muovere, potendo staccare uno dopo l’altro i piedi da terra, ma poi, se questa persona è un qualcuno nella sua professione, egli sarà anche maledettamente, stupendamente, mobile e leggero, come fosse tenuto per un filo invisibile, e si librasse completamente sciolto e disossato nell’aria, quando sei un qualcuno non è bene né bello essere psicorigido, ossia appiccicato con ansia agli angoli, sulle sedie, nei corridoi, sulle tastiere, bisogna essere saldi, come inchiodati, ma anche mobili, come aquiloni leggeri e sorvolanti, questi qualcuno comunque sono lì, nessuno sa bene come sono arrivati, c’è sempre un mistero, un segreto intorno al loro arrivo, una leggenda, qualcosa di torbido ed eccitante, di fuorilegge e lurido, ma i qualcuno, quando noi ci agitiamo e ci diamo da fare per diventarne noi pure un po’, per averne anche noi una dose, avvitarci meglio dentro il nostro luogo di lavoro, rendendo in qualche modo certo, naturale, il salario di fine mese, noi, anche se ci diamo dentro per avere anche la mobilità dei qualcuno, e non solo la loro solida presenza gravitazionale, ce li troviamo comunque, da sempre, già lì, possono essere molto vecchi, possono essere già senili e dallo sguardo nebbioso, o possono essere addirittura più giovani di noi, i qualcuno ci aspettano, ci aspettano al piano di sopra, davanti alla porta di entrata, appena entriamo in sala loro sono già seduti, ma i qualcuno sono brava gente, gente di mondo, una volta che noi saremo sbucati dalla porta, un po’ affannati, un po’ tentennanti, con i passi che cercano di aderire al parquet, al marmo, alle piastrelle policrome, loro si alzano, non stanno sempre seduti, non siamo nel medioevo, i qualcuno è gente democratica, sono lì segretamente e da sempre, non diranno mai quando e come si sono intrufolati nell’ufficio, nella sala, dietro il tavolone, la cattedra, ma quando ci vedono, sguarniti e traballanti, nel nostro tentativo prolungato di diventare anche noi dei qualcuno come loro, si alzano, e ci tendono la mano, anche incoraggianti se la giornata è buona, o in ogni caso ci salutano, anche cordialmente a volte, oppure ci fanno un cenno col capo, una specie di sorriso, giusto per avvertirci, “Attento, sei al cospetto di qualcuno, non fare lo stronzo, non rovinare subito tutto, fai filare lisce le cose, che io ho responsabilità impensabili, e che nemmeno potrei confessarti, fai quello che devi, quindi, e chissà, chissà un giorno, forse anche tu sarai maggiormente responsabile, ma ora non perdiamo tempo, non farmi più perdere tempo”, questo lo sapete bene anche voi, un qualcuno non perde mai tempo, non può perdere tempo, è tutto occupato nell’essere il qualcuno che è, nell’esercitare la sua missione, mica come noi, quelli che il tempo lo massacrano, ne spendono a palate, lo gettano dal balcone, e tutto per cercare di diventare un po’ stabilmente, un po’ meno per finta, un qualcuno anche loro.

 

⦿

 

Io questa cosa l’ho capita, anche perché è abbastanza semplice, è una regola così, molto diretta, molto facile da applicare, ma bisogna applicarla con vigore, l’unica cosa richiesta è il vigore o, diciamo, la convinzione, non so se sia meglio vigore e convinzione, o forse il convincimento, che però sembra complicare la cosa, quando invece è davvero semplice, una regola di base, da applicare ovunque, magari già andava bene nel secolo scorso, ma in questo ancora meglio, tu vai lì, insomma, e appena arrivi dici subito che va tutto bene, che è davvero una bella cosa, e che questa cosa bella ti è venuta bene, e che sei contento, e puoi pure dirlo che sei contento, anche se non deve essere necessariamente vero, con questo non voglio dire che devi mentire, che devi inventarti una contentezza che non c’è, anche perché a ben guardare ci deve sempre essere una contentezza, e quindi noi si vuole scherzare, che sarebbe davvero strano che uno che va così bene, e a cui tutto sta andando bene, non sia poi tracimante di contentezza e scherzoso, che non bisogna neppure esagerare, ma non è difficile essere contenti, per ciò questa regola è così universale e perenne, che quasi potrebbe essere definita una regola ferrea, come una legge naturale, uno arriva lì, e appena viene visto da qualcuno, o qualcuno gli si avvicina, che magari gli vuole pure parlare o sentirlo parlare, perché quello arrivato lì ha poi davvero un motivo per comunicare, mettiamo che sono io, in una qualsiasi situazione del mio secolo, appena arrivo devo cominciare a dirla subito questa cosa, prima di tutto il resto, devo dire che effettivamente va tutto bene, ma tutto di un gran bene, con quel vigore che è anche convinzione, perché, in fondo, a pensarci, non è che ci sia mai stata contraddizione tra vigore e convinzione, che sono persino, forse, due cose diverse, per cui c’è il convincimento vigoroso, ma non è che uno per avercelo deve fare uno sforzo, o meglio sì, un pochettino, uno sforzo semplice però, uno sforzo che viene facile, che può venire a tutti, non è mica come certe prestazioni atletiche, che non sono alla portata di una persona qualsiasi, io arrivo, guardo tutti bene in faccia, faccio un largo sorriso, ma più del largo sorriso conta davvero quello che dico, e io dico una cosa soprattutto, e in modo tale che da tutti sia capita, e che sia capita anche all’istante, dico: guardate, adesso, davvero, qui, va tutto bene, è ottimo, e sono contento, ma davvero contento, di una grande contentezza, perché meglio di così, anche ora che ci penso, le cose non potrebbero andare bene, e vorrei che voi ve ne rendeste conto che le cose stanno così, e tutto è quindi migliorato, è fantastico, perché uno si può anche lasciare trasportare, ora non so, non vorrei, ma credo che non ci sia niente di male, se uno si sente trasportato a dire che va tutto bene, e che quindi è contento, magari può anche dire: ragazzi, è incredibile, oppure: ragazzi, muoio di contentezza, anche se magari risulta eccessivo, bisogna fare in modo di dire facilmente una cosa che è facile: va tutto bene, siamo a posto, fila tutto liscio come l’olio, siamo in una situazione ottimale e di grande soddisfazione, e così io credo che bisogna fare sempre, anche se poi, ogni tanto, pur andando bene tutte le cose, e bene per davvero, magari a uno gli viene anche altro da dire, sì, perché magari uno ha voglia di dire una cosa un poco più difficile, non dico difficilissima, ma un po’ diversa, nel tono ad esempio, meno esagitata, uno vorrebbe stavolta cominciare con altro, magari con una qualsiasi balzana, remota, bizzarra idea che gli è venuta in testa, un’osservazione rapsodica, perché è anche così, soprattutto è così che le cose vengono da dire, si trasformano in cose da dire, uno mica lo sa con esattezza prima, quel che vorrà dire dopo, cioè mentre uno parla non lo sa, c’è un intervallo, anche piccolo, ma però uno non sa mai bene dove esattamente comincerà, con quale parola, su quale argomento, non so, magari un brutto argomento, con una parola dentro magari triste, o tristemente allusiva, ma se invece inizia con la regola d’oro, la regola ferrea, quella facile e universale, allora dice semplicemente una cosa, la stessa cosa, sempre, cioè: va davvero magnificamente bene, muoio dalla contentezza, e poi lo ripete alcune volte, con anche, volendo, delle variazioni di tono, senza il rischio di dire altro, di parlare diversamente, con dentro delle difficoltà, delle ombre, delle imprecisioni che impensieriscono, e mettono magari l’ansia.

 

 

*

 

 

Anything goes (il quaderno dei calcoli)
commento a “6 Apostrofi” di Andrea Inglese

di Elisa Davoglio

 

“objectivity”, “truth”, it will become clear that there is only one principle that can be defended under all circumstances and in all stages of human development. It is the principle: anything goes.
Against Method (1975), Paul Karl Feyerabend

 

io voglio che ci sia conscio dove c’era l’inconscio, e per fare questo la tenuta mnemonica non basta, ci vuole un quaderno, cose scritte nero su bianco, e se io devo uscire a comprarmi un’aspirina, voglio non solo pensarci su, e poi mettermi in moto, voglio anche verificare sul quaderno che effettivamente mi trovo in quell’esatta circostanza in cui è del tutto raccomandabile comprare un’aspirina, e quindi […]
Andrea Inglese, da 6 Apostrofi

 

 

I

 

così credo che bisogna darsi da fare, farsi dal fare, in relazione con altri corpi, in un tempo e in un luogo, in movimento o in quiete, in contatto o meno con le stanze, odori, organismi più o meno sensibili

 

con il sapore, il colore degli oggetti percepiti

 

 

 

II

 

negli ultimi tempi mi sono dato abbastanza da fare ed i risultati tardano ancora ad arrivare

 

ritengo di aver fatto un buon colloquio però dipende sempre dal metro di giudizio e da altri fattori

 

ho avuto buoni spunti, tutto va bene

 

“ragazzi, muoio di contentezza, anche se magari risulta eccessivo, bisogna fare in modo di dire facilmente una cosa che è facile: va tutto bene, siamo a posto, fila tutto liscio come l’olio, siamo in una situazione ottimale e di grande soddisfazione”

 

 

 

III

 

sono in attesa di essere contattato per il secondo passaggio, nel caso abbia passato il primo passaggio, in base al loro giudizio

 

poi ho mandato una candidatura, e altre candidature, senza farmi problemi di condizioni modeste, di incidenti, spifferi d’aria, colori snervanti, composte conversazioni

 

tutto è stato fatto per esibire l’uscita dalla stanza con l’angolo corretto, dalla posizione migliore per scattare immagini senza reazione, tiepide, condivisibili e dimenticabili

 

“choosy”

 

 

 

III

 

ho sostenuto un colloquio

 

se ho superato il primo passaggio, e in tal caso sarò contattato da loro entro due settimane a partire da oggi, andrò di sicuro a fare questa esperienza

 

 

 

IV

 

tra una settimana scade il termine per sapere se ho passato o no il primo passaggio presso dove tenni un colloquio e tra due settimane scade il termine per sapere se ho passato o no il primo passaggio in merito ad un colloquio individuale

 

cercavano un consulente e con loro feci un colloquio di gruppo.

 

“mettiamo che sono io, in una qualsiasi situazione del mio secolo, appena arrivo devo cominciare a dirla subito questa cosa, prima di tutto il resto, devo dire che effettivamente va tutto bene, ma tutto di un gran bene, con quel vigore che è anche convinzione, perché, in fondo, a pensarci, non è che ci sia mai stata contraddizione tra vigore e convinzione”

 

 

 

V

 

che a dire il vero, sono sempre un po’ superficiali perché si guarda più alle apparenze che alla sostanza e in profondità

 

ai colloqui di gruppo devi metterti in mostra e devi riuscire a spiccare sugli altri per determinate caratteristiche comportamentali e di personalità: ad esempio, il modo in cui tiri fuori un fazzoletto, se hai il fazzoletto, se hai bisogno in genere di fazzoletti

 

se in genere, sai uscire, entrare dalla stanza, occupando le giuste posizioni, senza imbarazzo nel raggiungere il posto giusto, il posto eletto e determinato dal metodo in atto

 

spero di essere risultato interessante agli esaminatori quanto meno per essere chiamato al secondo passaggio, che prevede (al secondo passaggio sì) un colloquio individuale e non più di gruppo.

 

 

 

VI

 

dalla stanza alzarsi, procedere, uscire

 

è replicabile con una diligente costanza senza memoria, che coinvolge e muove ogni singolo oggetto, ogni singola funzione, successivamente uguale, ripetibile

 

successivamente indistinta, applicata al metodo

 

 

 

VII

 

naturalmente non li rifiuto però per farli occorre avere determinate caratteristiche nella personalità

 

devi avere un po’ il senso degli affari, del commercio e certe caratteristiche del movimento degli oggetti, sugli oggetti, sulle funzioni replicabili, parrebbe all’infinito

 

convincere le persone richiede un certo sforzo, l’applicazione del metodo dei passaggi concatenati, conseguenti

 

il salto destinato solo ad una coerente e condivisa forma di entusiasmo, assimilabile agli applausi, alla passione leggera con cui si commuove

 

il metodo va ripassato a tal punto da dimenticarlo, renderlo freddo, autonomo, un calcolo, scritto bene, ponderato

 

 

 

VIII

 

vediamo se vengo o no contattato almeno da uno dei due nel giro di questi prossimi 15 giorni, massimo

 

 

 

IX

 

non penso che andò bene, per gli esaminatori, il colloquio di gruppo che si tenne 2 settimane fa

 

in quanto non ho ottenuto risposta questa settimana: e questa era la settimana indicata dagli esaminatori in caso di esito positivo

 

i colloqui di gruppo non sono una bella trovata secondo me: in mezzo a tante persone che si recano a farli con te devi metterti in mostra e devi riuscire a colpire gli esaminatori, superando tutti gli altri o quasi, per determinate caratteristiche della personalità

 

nel senso che lo scopo non è solo quello di vendere ma è anche quello di crescere, di espandersi sul mercato

 

e quindi cercano persone che hanno anche quelle caratteristiche per, un domani, prendere in mano i propri affari e costruirci sopra qualcosa di personale, e così via

 

qualcosa di attivo, come un palazzo dove aggiungi i piani, e che pare solido, e sicuro, per la gente che va a viverci dentro

 

la gente che deve viverci dentro, deve sentirsi al riparo dai terremoti, dalle cadute che si ripercuotono fin dentro alla camera, terrorizzando, fermando gli esterni all’ingresso, quelli che hanno paura di cadere più che di morire, protetti dal rigore del calcolo corretto, che impedisce il precipizio dalle stanze

 

però tutto questo significa anche che tante persone, diversificate nella personalità, devono omologarsi a un modello unico di personalità, uguale per tutti, per riuscire a fare lavori del genere, adeguarsi al metodo delle scale, che congiungono i piani

 

i piani che si raggiungono in massa, vengono percossi, malmessi fino alla rottura da gente che non porta più nelle tasche dei sassi per offendere, solo per apparire più feroce e pesante, solamente per metodo

 

detto questo, io penso che o devono essere tolti i colloqui di gruppo oppure devono essere mandati ai colloqui individuali, dopo quelli di gruppo, tutti i candidati

 

e solo dopo gli esaminatori tirano le somme

 

“o decido sempre di non fare un bel niente, anzi appena vi dico una cosa, appena vi metto al corrente di un mio progetto, è assolutamente certo che io non ne farò nulla, e potete venire tranquillamente fino in camera, venite in camera come se doveste cercarmi, ma non c’è nessuna sorpresa mai, io sono in camera come sempre”

 

 

 

X

 

io detti il meglio di me 2 settimane fa, ma evidentemente non sono spiccato in particolare ai loro occhi, al loro metodo di giudizio

 

“oggi siamo venuti, così, come uomini assieme a uomini, senza nessuna possibilità di sguardo, di parola, per cadere, per calpestare qualcosa, disattenti, con impazienza d’uomo”

 

la camera invasa si può tinteggiare, aprire una finestra, sollevare la polvere sotto gli oggetti, invocare altra polvere, schiantarsi, tentare, e proseguire

 

[in corsivo stralci da “6 Apostrofi”, di Andrea Inglese]

 

 

*

 

 

Prove d’ascolto è un progetto di Simona Menicocci e Fabio Teti

 

 

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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